Antirazzismo e lotta di classe negli Usa degli anni Trenta
C'è molto da imparare dall'esperienza del National Negro Congress. Nell’America del New Deal, fu capace di fondare una coalizione guidata da uomini e donne nere per combattere sia il suprematismo bianco sia lo sfruttamento che ne è alla base
In questi giorni c’è la tendenza a mettere in contrapposizione classe e razza. Come ha avuto modo di dire Hillary Clinton, inasprire i controlli su Wall Street non metterà certo fine al razzismo. Creare posti di lavoro – dicono i critici a Bernie Sanders – non eliminerà affatto la profilazione razziale. Combattere lo sfruttamento economico, sostengono gli oppositori, non intaccherà il fortino della supremazia bianca.
Ma niente di tutto questo avrebbe avuto molto senso per il National Negro Congress (Nnc). Nato nel febbraio 1936, il Nnc ha cercato di costruire una coalizione antirazzista di massa affondando le sue radici nel movimento dei lavoratori, una coalizione in grado di attaccare sia la gerarchia razziale che lo sfruttamento economico che la sostiene. Il suo obiettivo era niente di meno che fare a pezzi le “leggi Jim Crow” e rendere i neri americani cittadini di “prima classe” – realizzando così i sogni della democrazia egalitaria e interrazziale comparsi per la prima volta nell’era della Ricostruzione [il periodo che va dalla fine della Guerra Civile e dall’abolizione della schiavitù fino al 1877, ndt].
Aldilà delle discussioni geopolitiche (che innescarono una rottura interna nel 1940), l’Nnc portò a casa alcune vittorie importanti prima di essere sciolto dalla “caccia ai rossi” della Guerra Fredda. Malgrado la vita breve, questo gruppo per i diritti civili ha ancora molto da insegnare su come si combatte il suprematismo bianco.
Il redattore di Jacobin Shawn Gude ha recentemente incontrato Erik Gellman, storico e autore di Death Blow to Jim Crow: The National Negro Congress and the Rise of Militant Civil Right, per parlare dell’organizzazione di massa del Nnc e della sua rilevanza nelle lotte odierne per una “Terza Ricostruzione”.
Cos’era il National Negro Congress, e che strategia adottò per combattere il razzismo delle leggi Jim Crow e la gerarchia razziale negli Usa?
Il National Negro Congress era un’organizzazione per i diritti civili che si sviluppò a partire da una conferenza alla Howard University. L’incontro del 1935 includeva molti intellettuali e attivisti neri di spicco come A. Philip Randolph, John P. Davis, e James Ford. L’organizzazione partì seriamente con la sua prima conferenza, organizzata a Chicago nel febbraio del 1936. Centinaia di delegati di differenti associazioni si riunirono insieme per dare vita a quello che Richard Wright ha descritto come l’incontro per una “Carta dei diritti dei neri”. Nel bel mezzo della Grande Depressione, provarono a individuare nuovi metodi per porre fine alle differenze razziali e far rinascere quella tensione radicale che aveva animato il Black Freedom Movement.
I leader del Nnc pensavano al Congresso come a un’organizzazione delle organizzazioni. Esistevano già tanti gruppi nelle comunità nere in tutto il paese: volevano servirsi di questa energia per prendere il potere come membri della coalizione emergente del Fronte Popolare nei tardi anni Trenta.
Cosa distingueva l’Nnc da altri gruppi per i diritti civili?
Erano molto più interessati alle dinamiche di classe. Pensavano che un attivismo working-class, basato sul lavoro, avesse più potenzialità di un capitalismo del benessere o del nazionalismo nero alla Garvey [che predicava il ritorno in Africa di tutti i neri del mondo, ndt] che aveva dominato gli anni Venti.
Un’altra differenza stava nell’attenzione che ponevano alle reti anticoloniali e antirazziste internazionali. Erano allarmati dal diffondersi del fascismo in tutto il mondo – l’invasione dell’Etiopia da parte di Mussolini, la Guerra Civile Spagnola, e l’ascesa di Hitler – e credevano che per combattere il fascismo in tutte le sue forme fossero necessarie coalizioni ampie.
Questa strategia li distingueva da gruppi come i Naacp [National Association for the Advancement of Colored People] o l’Urban League [un’organizzazione che combatteva per migliori condizioni economiche per gli afroamericani, ndt], che ricercavano forme di negoziazione più moderate e preferivano un approccio meritocratico, che consisteva nel dare rilievo alle élite afroamericane più istruite. L’Nnc voleva invece incoraggiare la resistenza all’interno della working-class.
Più nello specifico, voleva inserire i militanti neri nell’emergente movimento del sindacalismo industriale. Si associò con il Congress of Industrial Organizations (Cio) per organizzare i lavoratori dell’industria dell’acciaio, dell’imballaggio, del tabacco e delle automobili, e altre ancora. L’Nnc e i suoi giovani rami più a sud, il Southern Negro Youth Congress (Snyc), mostravano anche una forte leadership femminile, con attiviste di spicco come Thelma Dale (Perkins), Esther Cooper Jackson, Dorothy Burnham, Marie Richardson, e molte altre a guidare campagne politiche, culturali ed economiche, soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale.
Che tipo di connessione avevano individuato tra lo sfruttamento economico e il razzismo negli Usa?
Pensavano che il razzismo fosse un fattore chiave di divisione all’interno del movimento dei lavoratori americano. Il razzismo non solo impediva agli afroamericani di avere successo e prosperare, ma ostacolava il processo di sindacalizzazione dei lavoratori bianchi e ne impediva la sicurezza economica.
Avevano inoltre individuato tutta una serie di opportunità nel costruire un movimento più ampio, basato sulla classe. Il Fronte Popolare, nato nel 1935, mise insieme molti gruppi che lottavano per un allargamento in senso più progressista e radicale del New Deal. Era anche presente un nuovo movimento sindacale, il Cio, che parteggiava per forme di sindacalismo industriale più ampie. Nei limiti sviluppati da un “sindacalismo da diritti civili” (un termine impiegato da Robert Korstad), la rete messa su dal Nnc fu un fattore chiave di catalizzazione.
L’Nnc inoltre reinterpretava la storia americana, mettendo gli afroamericani al centro invece che ai margini. Ritenevano che i lavoratori neri fossero un soggetto fondamentale per ribadire i valori americani di solidarietà e le tradizioni di protesta. In questa interpretazione, si ricollegarono agli schiavi ribelli, al ruolo degli afroamericani nella Guerra Civile, e al movimento sociale democratico della Ricostruzione guidato da neri. Credevano che questa storia, di cui essere orgogliosi, giustificasse il loro ruolo centrale negli anni Trenta e Quaranta nello sferrare un «colpo mortale a Jim Crown», come un mezzo per rendere concreta ed espandere la democrazia americana.
Una generazione di propaganda suprematista bianca è quasi riuscita a oscurare la democrazia interraziale che è esistita nel sud durante la Ricostruzione. L’Nnc ha imparato molto da quel movimento politico sociale, e ha provato a riprodurlo in un’epoca che includeva anche la depressione, la guerra, e la ricostruzione post-bellica.
Quello che speravano di fare nei tardi anni Trenta era spingere il New Deal il più possibile verso sinistra, migliorando la democrazia e addirittura creandone una nuova, come il loro alleato Langston Hughes ha notoriamente illustrato nella poesia dal titolo “Let America Be America Again”. Pensavano che un governo federale militante potesse regolare il capitalismo e mettere i diritti umani davanti ai diritti di proprietà, per assicurare la validità del Tredicesimo, Quattordicesimo e Quindicesimo emendamento della Costituzione per tutte e tutti gli americani.
Sicuramente non riuscirono a realizzare la rivoluzione che avevano in mente. Ma alcuni pezzi del secondo New Deal dei tardi anni Trenta, come il Wagner Act, la Resettlement Administration, e altre leggi e programmi governativi, furono sicuramente più progressisti di quelli della prima ondata di New Deal. Credo che ciò sia dipeso dall’attività di gruppi come il National Negro Congress, che ha catalizzato le attività degli attivisti per i diritti civili in tutto il paese ed è riuscito a far pressione da sinistra.
Che tipo di lavoro sul campo era portato avanti dal Nnc? Il loro focus organizzativo e le loro tattiche variavano davvero molto da luogo a luogo.
Mi sono concentrato su sei differenti località dove l’Nnc e il Snyc furono particolarmente attivi durante la loro esistenza tra il 1936 e il 1947. Il mio libro è stato il primo tentativo di tracciare l’attività del Nnc, ma spero non sia l’ultimo. Tracce di comitati locali sono emerse in tutta la nazione, fomentando campagne antirazziste creative che dovrebbero essere ulteriormente indagate.
Ho scoperto che l’Nnc era diverso da, mettiamo, il Naacp, che funzionava come un’organizzazione top-down. In alcuni casi il Naacp arrivò addirittura a sospendere gli atti costitutivi dei collettivi locali quando i leader nazionali disapprovavano le loro azioni. L’Nnc dava valore alla creatività nell’organizzazione di base. L’attivismo antirazzista si sviluppò in maniera variabile in tutta la nazione, e agli attivisti del Ncc in questi posti venne data l’autonomia e la libertà d’azione per muoversi in direzioni differenti.
Uno dei capitoli del mio libro, per esempio, esamina il movimento dei lavoratori del sud nei tardi anni Trenta, a Richmond. Trovo affascinante che il Southern Negro Youth Congress organizzasse i sindacati dei lavoratori del tabacco ben prima che il Cio osasse anche solo pensare di organizzare i lavoratori neri del sud. Questo mostra che i lavoratori neri erano all’avanguardia nel Fronte Popolare, che aveva un grosso potenziale per distruggere le leggi Jim Crown. Ma, come ha dimostrato Ira Katznelson nel suo libro, Fear Itself, la “gabbia sudista” del suprematismo bianco era formidabile, e intralciava il potenziale democratico delle politiche del New Deal.
Altri capitoli guardano ad altre dinamiche. Quello sulla seconda guerra mondiale si concentra su New York, dove i militanti aprirono la strada a nuove opportunità politiche (come quella di eleggere Ben Davis al Consiglio Cittadino e Adam Clayton Powell al Congresso), ma furono anche costretti a operare sotto le limitazioni imposte dai loro alleati durante la seconda guerra mondiale. In questi anni, i sindacati firmarono un accordo di “stop agli scioperi”, e i leader del Partito Comunista dissero – parafrasando un po’ – che non avrebbero fatto nulla per il discorso razziale finché la guerra non fosse finita. E ancora una volta l’Nnc, guidato da un dinamico gruppo di donne nere, incoraggiò nuove forme di attivismo antirazzista, da un punto di vista politico e culturale, che rinvigorirono l’Nnc e lo misero in condizioni di lottare nuovamente appena finita la guerra.
L’ultimo capitolo del libro si addentra nel South Carolina, che in quegli anni era un posto davvero interessante. Tra il 1945 e il 1947, un network di sinistra a guida nera di stanza lì credette davvero di poter uccidere Jim Crown. Prima che la Guerra Fredda si consolidasse, c’erano attivisti fiduciosi del fatto che la democrazia potesse essere importata negli Stati Uniti, con l’ottimismo tipico della fine della guerra. Avevano una prospettiva internazionale, che spiega come mai l’Nnc fosse la prima organizzazione afroamericana a inviare una petizione alle Nazioni Unite (appena formatesi) contro la violazione dei diritti umani.
Credo che Washington DC sia un caso davvero affascinante. Qui l’Nnc ha provato a organizzare i lavoratori, ma poiché la città aveva una base industriale meno presente, ha fatto anche tanto lavoro di contrasto alla violenza poliziesca. Nel tuo libro scrivi che nel 1939 il Baltimore Afro-American riportò che, in seguito al lavoro svolto dall’Nnc e alla sua petizione, non fosse stato ucciso nessun afroamericano a Washington DC per oltre un anno. È un risultato notevole. L’Nnc fu anche in grado di collegare la violenza poliziesca alla repressione sui luoghi di lavoro e contro gli scioperi. Così, mentre combattevano la violenza della polizia contro gli afroamericani, stavano anche provano a legare la questione al più ampio sforzo di costruire una coalizione multirazziale, basata sul lavoro.
Collegarono l’idea della sicurezza economica all’autonomia fisica, specialmente a Washington DC, dove i quartieri neri erano accuratamente ghettizzati e controllati dalla polizia. Misero insieme questi due problemi, la violenza razziale e l’instabilità economica. Diedero vita a una coalizione più ampia che collegava la brutalità della polizia al linciaggio, una strategia che sfidò e fece infuriare Walter White del Naacp.
White concepiva la campagna anti-linciaggio in maniera più ristretta, fatta di negoziati con l’amministrazione Roosevelt e limitata al supporto per la proposta di legge anti-linciaggio al Congresso, che alla fine fallì. L’Nnc guardava al linciaggio come parte di un panorama più ampio, che includeva la violenza della polizia, la servitù per debiti, e l’instabilità economica. John P. Davis si riferì a tutto ciò come allo «spirito del linciaggio», poiché queste forme di brutalità si intrecciavano tra di loro per rendere gli afroamericani economicamente e socialmente impoveriti.
Ci puoi parlare della rottura interna all’Nnc avvenuta nel 1940?
Durante la convention Nnc del 1940 a Washington, John L. Lewis, allora a capo del Cio, parlò opponendosi all’entrata in guerra. Lewis non era un comunista, ma non voleva un’altra guerra combattuta da uomini della working-class per quello che riteneva essere il profitto delle corporation. John P. Davis, che era stato segretario esecutivo e architetto dell’Nnc sin dal suo concepimento, supportò le richieste di Lewis, ma partendo da un punto di vista più influenzato dal comunismo.
Per dare un po’ di contesto, nel 1939 l’Unione Sovietica aveva siglato il Patto di non aggressione con la Germania. Nel giro di una notte, i comunisti e alcuni dei loro alleati più a sinistra iniziarono a predicare che entrare in un’altra guerra mondiale avrebbe portato al sacrificio della working-class per favorire mire imperialiste. La politica di protesta cambiò radicalmente e prese un’altra direzione quando la Germania invase l’Unione Sovietica nel giugno del 1941, aprendo la strada a ciò che chiamo un «colpo di frusta ideologico». Dopo un ulteriore cambiamento, e un ritorno al Fronte Popolare, Davis rassegnò le dimissioni come capo del Nnc.
Per i neri di sinistra, durante il periodo fra il 1939 e il 1941, andare avanti tenendo insieme queste coalizioni ampie fu complicato e confusionario. Mentre il presidente del Nnc A. Philip Randolph aveva precedentemente risposto a chi accusava l’Nnc di simpatie comuniste, per la conferenza del 1940 era ormai convinto che l’organizzazione fosse troppo influenzata dai suoi alleati principali – il Cio (e Lewis) ma soprattutto il Partito Comunista. Come capo dell’Afl – affiliato di Brotherhood of Sleeping Car Porters – Randolph non aveva una grande fedeltà verso il Cio. Era un convinto sostenitore del Partito Socialista sin dalla prima guerra mondiale a New York, dove aveva a lungo combattuto i comunisti in qualità di segretario. L’allontanamento del 1939 dall’antifascismo e dal Fronte Popolare lo aveva convinto a stringere i suoi legami con loro. Come risultato, Randolph si era dimesso da presidente, e molti socialisti e liberali andarono con lui. L’Nnc si divise in due nel 1940.
Ma ritengo che questa divisione non fu così debilitante per nessuno dei due gruppi. Randolph e i suoi alleati presero la testa del March on Washington Movement, il cui principale risultato fu di minacciare una marcia di 100.000 neri a Washington. L’Fdr chiuse gli occhi ed emanò l’Ordine Esecutivo 8802, che portò alla Fair Employment Practice Committee e creò diversi posti di lavoro per gli afroamericani durante la guerra. Nel frattempo, l’Nnc iniziò a lavorare su una sua propria campagna che doppiò quella di Randolph nella richiesta di posti di lavoro nelle industrie che preparavano la guerra. L’Nnc protestava per le discriminazioni nei grossi impianti di costruzione di aerei a Baltimora e a Los Angeles, e ottenne posti di lavoro in quegli e in altri impianti con campagne di protesta.
Per farla breve, l’Nnc e Randolph continuarono a fare politica con vigore dopo il 1940, ma la tragedia di questa divisione fu che nessuno dei due gruppi fu in grado di costruire quel tipo di movimento di massa che avevano immaginato nei tardi anni Trenta.
Puoi parlarci della fine dell’Nnc? È una storia che riguarda più che altro l’avvento della Guerra Fredda.
Non era inevitabile che la Guerra Fredda li toccasse in quel modo. Fu solo intorno al 1947, quando la loro rete di relazioni fu spinta sulla difensiva e i loro alleati li abbandonarono, che iniziarono a cadere a pezzi come organizzazione.
Il governo inserì l’Nnc e l’Snyc nella lista delle organizzazioni del “Fronte Comunista” e iniziò a tormentare, deportare e persino sbattere in galera i suoi membri. I principali alleati del gruppo – i comunisti e il Cio – reagirono in modi che li compromisero ulteriormente. Il Cio decise di sposare l’anticomunismo del Taft-Hartley Act del 1947. Il suo leader, Phil Murray, emanò una direttiva che proibiva ai sindacati di lavorare, tra gli altri, con l’Nnc. Come risultato, i membri Nnc furono tagliati fuori proprio da quel movimento sindacale industriale che avevano aiutato a costruire solo dieci anni prima.
E successivamente il Partito Comunista, invece che provare a mantenere una politica includente come quella del Fronte popolare, decise di andare in una direzione ancora più settaria e isolò i leader neri. Secondo me, questa strategia fu autolesionista, perché i comunisti con la c minuscola, compagni sparsi e membri neri di medio livello del Pc, finirono con l’essere esposti e traumatizzati dall’House Un-American Activities Committee così come da altri gruppi anticomunisti locali.
Thelma Dale Perkins, una dei leader Nnc che ho intervistato per questo libro, disse che un giorno del 1947 realizzò che l’organizzazione non sarebbe sopravvissuta. Lei personalmente trasportò tutti i registri Nnc alla biblioteca Schomburg ad Harlem perché sapeva che quello sarebbe stato l’unico posto dove sarebbero stati protetti, anziché finire tra le mani dei maccartisti come prova o distrutti da quegli stessi attivisti che avevano lavorato con l’Nnc per paura di persecuzioni.
In generale, quali furono i successi e quali i fallimenti dell’Nnc? E quale lezione possiamo imparare da questa organizzazione per le lotte attuali contro il razzismo e lo sfruttamento?
La chiave per l’Nnc è comprendere che queste persone credevano che avrebbero distrutto le leggi Jim Crow nel corso della loro generazione. È un fatto importante, perché gli storici hanno spesso trattato gli anni Trenta e Quaranta come un «preludio al Movimento per i Diritti Civili». Ma questi attivisti radicali non è che si dicessero l’un l’altro «sai, stiamo gettando le base per far sì che la prossima generazione possa portare a termine il lavoro».
Non riuscirono a distruggere le leggi Jim Crow per molte ragioni, ma sostenere che fallirono significa ignorare ciò che invece hanno ottenuto in quegli anni. In molti modi, erosero il sostegno ideologico alle leggi Jim Crow sia a nord che nell’ovest e in un certo senso anche a sud. Diedero vita a una nuova cultura nera militante e sperimentarono nuove forme di protesta politica di massa per le strade. Aiutarono inoltre una generazione di lavoratori neri sindacalizzati a ottenere un posto fisso in fabbrica. E la loro concezione di “diritti civili”, un termine che stava appena emergendo in quel tempo, come base per la stabilità economica e i diritti umani, rappresentò un modello importante, specialmente per il movimento degli anni Cinquanta e Sessanta che fece di questi dei concetti prioritari.
E malgrado le persecuzioni anticomuniste della Guerra Fredda, rimase un legame tra la generazione degli anni Trenta e Quaranta e la generazione successiva, fatta di attivisti per i diritti civili. Per raccontare un aneddoto, l’Snyc in Alabama includeva Sallye Davis, la cui figlia più piccola, Angela Davis, crebbe in quel contesto. Questi legami non sono semplici coincidenze.
L’Nnc era un gruppo interessante anche per via del suo tentativo di fare un’organizzazione delle organizzazioni. Tentò di costruire una coalizione antirazzista ampia e a guida nera, e nel farlo provò a radicalizzarla. La sua storia è significativa per la nostra epoca, fatta di disuguaglianze economiche e razziali. Sono emersi gruppi che combattono questi problemi, ma hanno bisogno di lavorare in coalizioni più ampie per raggiungere i loro obiettivi.
In generale, credo che il New Deal e l’epoca della seconda guerra mondiale furono un periodo davvero creativo per le mobilitazioni politiche, sia culturalmente che politicamente. Credo che oggi gli attivisti dovrebbero imparare sia dalle vittorie che dagli errori che ne limitarono l’impatto. Così come le persone nell’Nnc videro la Ricostruzione come un periodo chiave, oggi potremmo guardare indietro alle proteste politiche degli anni Trenta e Quaranta, che ci parlano con urgenza dei problemi contemporanei. La violenza della polizia, la disuguaglianza economica, e le idee e le politiche fasciste erano endemiche nel 1939, e sono endemiche nel 2019.
*Erik Gellman è un professore associato di storia all’University of North Carolina e autore del libro Death Blow to Jim Crow: The National Negro Congress and the Rise of Militant Civil Rights. Shawn Gude è redattore di Jacobin. Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Gaia Benzi.
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