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Beati i popoli che non hanno bisogno di mecenati

Marta Fana 18 Aprile 2019

Il coro di applausi per la "generosità" dei miliardari che finanziano la ricostruzione di Notre-Dame segnala la subalternità della politica, che considera un tabù imporre fiscalmente una responsabilità sociale sui diritti e i beni comuni

L’incendio non era ancora stato domato del tutto quando il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron annunciava una colletta per la ricostruzione della cattedrale di Notre-Dame. A distanza di poche ore, i giornali potevano titolare sulle ingenti donazioni che i milionari francesi hanno subito messo a disposizione. Il giorno dopo Le Monde annunciava che le donazioni provenienti da imprese e “fortune” francesi avevano già raggiunto gli 800 milioni di euro, poche ore dopo la cifra è di un miliardo di euro. Un coro di applausi nei confronti della magnanimità e filantropia di questi miliardari a cui è tanto cara la cultura e la storia.

C’è chi titola “Notre-Dame, così il capitalismo salverà la Cattedrale” affermando che  «Siamo di fronte all’ennesima dimostrazione che quando le imprese vengono lasciate libere di creare, possono essere anche meglio dello stato». La banalità dell’ideologia neoliberale è racchiusa in questa frase. Lasciare le imprese e i milionari la libertà di decidere dove, come, quanto, quando e come partecipare al benessere collettivo è solo una atto di subalternità della politica al capitale. La storia e la cultura sono beni pubblici, collettivi, la cui cura e promozione non possono essere delegate all’arbitrio privato (si sarebbe donato allo stesso modo se a prendere fuoco non fosse stata una chiesa cattolica, peraltro molto visitata?), ma devono rientrare negli interessi democratici dello Stato. Lasciare la libertà alle imprese e ai milionari di decidere quando donare senza che sia imposta loro la responsabilità sociale, di redistribuzione delle ricchezze, è esattamente la causa di quel terribile incendio. Una scelta politica di fronte alla quale, la costernazione non può prevalere sulla ragione. Se lo Stato piuttosto che favorire la libertà delle imprese, detassandole pesantemente, avesse dato priorità al restauro, alla manutenzione, probabilmente non ci troveremmo in questa situazione. La scelta sta tutta qui: dare priorità alla ricchezza di pochi o assumersi la responsabilità di proteggere e migliorare il benessere sociale, di cui la cultura fa parte.

A Notre-Dame, come in un’infinità di altri siti del patrimonio artistico-culturale, manca manutenzione e messa in sicurezza, forme sì queste di degrado giustificate col “non ci sono soldi”. Guarda caso i soldi arrivano in un batter d’occhio quando c’è da pulirsi la coscienza. Vengono da quei milionari cui proprio il Presidente Macron ha ridotto quelle che eufemisticamente in Francia erano chiamate “imposte di solidarietà sulla ricchezza” (ma che altro non è se non una vera patrimoniale, non sulle prime case, ma su patrimoni oltre il milione di euro), scatenando l’ira della società francese che ha preso forma nel movimento dei gilets gialli. Non guasta ricordare che la recente riforma fiscale ha ridotto il numero dei milionari soggetti all’imposta sulla fortuna, applicata solo a chi ha un patrimonio immobiliare netto superiore a 1,3 milioni di euro, del 40% – parola di Bruno Le Maire, ministro dell’Economia del governo in carica – riducendo il gettito per le casse dello Stato di 3,2 miliardi di euro (in un solo anno).

Oggi, una manciata di milionari prova a mostrare il volto pulito, solidale. Anche questa volta però, siamo di fronte al gioco delle tre carte: le donazioni, infatti, sono deducibili dall’imposta sul reddito delle persone fisiche ma anche dall’imposta sulla fortuna immobiliare così come su quelle delle società. In particolare, come si legge sul sito della Fondazione del patrimonio che gestisce teoricamente la colletta, la deduzione dell’imposta sul reddito delle persone è pari al 66% della donazione, al 75% nel caso di imposta sulla fortuna nel limite di 50.000 euro e del 60% nel caso delle società entro il limite dell’0,5% del fatturato. Insomma, chi dona 66 mila euro si vedrà riconosciuta una deduzione di 50 mila euro sulla tassa sulla fortuna immobiliare. Senza alcuna sorpresa, il beneficio fiscale avvantaggia le donazioni delle grandi imprese: come riporta France Inter, tra i grandi donatori c’è il gruppo Lvmh della Famiglia Arnaud che ha fatturato 48,8 miliardi di euro nel 2018. Della donazione promessa di 200 milioni, lo stato cioè i contribuenti, gliene restituiranno 120 in deduzione. Mentre nella realtà dei fatti è ancora una volta la collettività a  sostenere i costi della ricostruzione, i ricchi potranno attribuirsene il merito. Non una novità per il capitalismo.

Il nodo politico di fondo non è la deduzione fiscale, pertanto a ben poco serve lo slancio di generosità di François-Henri Pinault – tra gli uomini più ricchi di Francia – che vi rinuncia. Dal punto di vista politico il governo francese sta ancora una volta mostrandosi orgogliosamente subalterno ai grandi magnati. Gli stessi che usano la politica per proteggere i propri interessi e aumentare i propri privilegi, in modo più spietato ma non dissimile nelle forme della vecchia aristocrazia, quella che ha sempre accumulato le proprie ricchezze sullo sfruttamento delle maggioranze e le ha poi trasmesse ai propri eredi, meritevoli di aver avuto la fortuna di nascere da quei genitori. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: crescenti diseguaglianze, compressione degli spazi democratici e tendenza al sempre maggiore elitismo delle istituzioni democratiche, come il sistema di istruzione o quello sanitario. Al contrario della subalternità, rivendicare la sovranità politica, cioè il ruolo di controllo sul capitale e la possibilità di governare a favore della maggioranza, è oggi l’unico mezzo per difenderci dall’ineluttabilità del capitalismo rapace dal volto generoso e allo stesso tempo mantenere come obiettivo la giustizia sociale. In questo senso, la sovranità politica deve essere intesa come ribaltamento dei rapporti di forza e non come perseguimento degli interessi dei capitalisti.

Se abolire la classe dei miliardari rimane un obiettivo generale, la transizione attraverso cui ciò è possibile parte dal rifiuto del mecenatismo e della filantropia liberale, da sostituire con un progetto che, partendo dalla redistribuzione e dal riconoscimento universale dei diritti sociali, restituisca alla politica il senso profondo della democrazia. Rivendicare un processo riformista che aumenti radicalmente la progressività fiscale e assoggetti a tassazione soprattutto i redditi da capitale, in ogni forma, così come i redditi di quell’1% più ricco è un primo passo per restituire dignità alla maggioranza. La stessa che invece ha oggi bisogno della filantropia di un calciatore per godere del diritto alla mensa. È il caso della decisione da parte del centrocampista dell’Inter Candreva di contribuire al pagamento della mensa per una bambina veronese la cui famiglia non poteva pagare; gesto umano, che mostra ancora una volta la disumanità e la grettezza delle politiche leghiste (e non solo), però inutile sul piano sociale. Finché le mense scolastiche saranno a pagamento perché la fiscalità generale ha deciso di risparmiare i ricchi, esisterà sempre qualcuno più povero che non potrà permettersela, lontano dai riflettori e senza un calciatore a cui dire grazie. E sarà umiliato. Sacrificare qualche privilegio di pochi è il minimo prezzo che la politica deve imporre per assicurare i diritti ai molti, finché certo i primi non saranno aboliti.

*Marta Fana,PhD in Economics, si occupa di mercato del lavoro. Autrice di Non è lavoro è sfruttamento (Laterza).

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