Bene, ma non benissimo
Nella sua prima intervista televisiva, Kamala Harris è riuscita ad aggirare trappole ed evitare gaffe. Ma la sostanza delle sue risposte su politiche sociali e guerra a Gaza è preoccupante
a vicepresidente Kamala Harris ha fatto la sua attesissima intervista con la Cnn e, per quanto riguarda le performance dei candidati, è stata… buona.
È abbastanza assurdo che l’intervista abbia avuto il livello di clamore che ha avuto, in primo luogo perché, almeno fino a oggi, rispondere alle domande dei giornalisti è stata una routine insignificante del lavoro di un politico, specialmente di chi corre per diventare presidente. Non per Harris, che ha dovuto affrontare crescenti critiche per il suo fermo rifiuto di qualsiasi interazione non programmata con i media da quando è diventata la candidata democratica. C’è una ragione per cui i democratici, per quanto allarmati dall’incapacità di Joe Biden di parlare in modo coerente, sono stati per molto tempo più fiduciosi nel presidente in netto declino rispetto ad Harris, la cui campagna presidenziale del 2020 è stata un imbarazzante flop e che ha raccolto numerosi commenti negativi come numero due di Biden per i suoi errori gratuiti.
Nella misura in cui non ha dovuto far altro che evitare gli episodi potenzialmente virali e disastrosi che l’hanno tormentata negli anni precedenti, Harris ha superato il salto più facile. Anche così, nonostante tutti sapessero che la domanda sarebbe arrivata, Harris non ha ancora una buona risposta sul perché esattamente abbia cambiato idea su una serie di questioni che ha sostenuto quando si è candidata per la prima volta alla presidenza, elenco che ora include non solo politiche progressiste come il divieto di fracking e il Medicare for All, ma anche principi democratici moderati come l’opposizione al muro di confine di Donald Trump, che Harris ora promette di costruire ulteriormente. Harris ha semplicemente continuato a ripetere che i suoi valori non sono cambiati, una frase preconfezionata che è stata sufficiente per farle superare un’intervista con Dana Bash ma che potrebbe non funzionare altrettanto bene con un interlocutore più aggressivo.
Ma ciò che conta davvero è la sostanza di quel che ha detto. E qui il verdetto è molto meno roseo.
Finora la campagna di Harris è spesso sembrata intenzionalmente progettata per confondere gli osservatori su che tipo di presidente sarebbe. Vuole aumentare le tasse sulle grandi corporation, ma sta corteggiando attivamente i magnati delle grandi aziende. Non ha commentato in un modo o nell’altro se manterrà al suo posto la presidente della Federal Trade Commission Lina Khan dopo che i miliardari che la sostengono hanno chiesto la sua estromissione. Il suo principale consigliere per la politica estera è un importante sostenitore dell’accordo con l’Iran, mentre gli addetti ai lavori di Harris affermano pubblicamente che l’accordo sarà praticamente carta straccia se lei dovesse tornare alla Casa Bianca.
L’intervista dell’altra sera non sarà rassicurante per nessuno che spera che Harris guidi il paese in una direzione più progressista, o anche solo che sia una presidente competente. È significativo che nell’intera intervista, lunga quasi trenta minuti, Harris si sia animata di più e sia stata più specifica quando ha risposto a una domanda leggera su come Biden le ha dato la notizia delle sue dimissioni.
Al contrario, quando le è stato chiesto cosa avrebbe fatto il primo giorno alla Casa Bianca, la vicepresidente ha arrancato.
«Diverse cose», ha detto, tra cui «fare il possibile per sostenere e rafforzare la classe media», prima di riempire il tempo con chiacchiere sulle speranze e le aspirazioni degli americani e lanciarsi in una critica a Trump. Ci sono voluti Bash che ripeteva la domanda e altri venti secondi di parole vaghe prima che Harris finalmente arrivasse a una proposta politica specifica: estendere il credito d’imposta per figli a 6.000 dollari per il primo anno di vita di un bambino.
Che ci siano volute così tanti abboccamenti e lusinghe da parte di un intervistatore perché Harris nominasse questa politica (specifica e popolare) e la vaga promessa di «investire nella famiglia americana intorno all’edilizia popolare» – nonostante il fatto che, come ha sottolineato lei stessa, aveva «già esposto una serie di idee» – non è molto incoraggiante. O la vicepresidente non pensa che le sue proposte siano popolari e ha paura di tirarle fuori, o non ha una solida comprensione del suo programma politico (Incalzata sulla crisi della tenuta economica, Harris ha anche brevemente menzionato «l’affrontare un problema come l’aumento dei prezzi» e il contributo per l’anticipo di 25 mila dollari per l’acquisto della prima casa).
Ci sono stati altri punti deboli. La Harris ha ancora una volta pubblicizzato la proposta di legge di estrema destra dei Democratici sulle frontiere, che elimina il diritto di asilo, e lo ha fatto senza delineare quel tipo di visione alternativa positiva al programma di Trump sull’immigrazione, crudele e incentrato sulle deportazioni, che una volta era la norma per i Democratici. Ha subito accettato di nominare un repubblicano nel suo gabinetto e la sua campagna ha poi rilanciato questa promessa in un comunicato stampa.
Ma il punto più basso è stato nella sua risposta alla domanda su Gaza. La distanza percepita di Harris dalla disastrosa politica mediorientale di Biden è stata venduta come uno dei suoi punti di forza prima che diventasse la candidata, e Harris è stata in grado di evitare la rabbia che ha accolto Biden mostrando pubblicamente più empatia per le sofferenze e le aspirazioni palestinesi e apparendo a volte sul punto di assumere una linea più dura nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Ma dopo l’intervista dell’altra sera, nessuno dovrebbe credere che Harris stia offrendo un’alternativa al sostegno incondizionato, raccapricciante e potenzialmente catastrofico di Biden per quella che è ormai ampiamente riconosciuta come una campagna israeliana di genocidio.
Alla domanda «Faresti qualcosa di diverso?», incluso fermare l’invio di armi a Israele, Harris ha ribadito la sua convinzione che Israele «ha il diritto di difendersi» e ha ripetuto più e più volte che «dobbiamo raggiungere un accordo».
«Ma nessun cambiamento nella politica in termini di armi?» ha chiesto Bash.
«No», ha risposto Harris.
Bash ha sbagliato, in primo luogo, a inquadrare la richiesta di un embargo sulle armi come qualcosa che «vogliono molte persone della sinistra progressista». Sondaggio dopo sondaggio è evidente che questa richiesta ha il sostegno della maggioranza di un ampio spettro di elettori.
Ad esempio, un sondaggio di giugno della Cbs News ha rilevato che il 61% degli elettori si oppone all’invio di più armi a Israele, tra cui il 62% degli indipendenti e il 63% dei moderati, e con maggioranze che attraversavano linee razziali, di genere ed età (Solo gli ultrasessantacinquenni avevano la maggioranza del sostegno per più spedizioni di armi, sebbene il 44% di quella fascia fosse contrario).
Un altro sondaggio recente ha rilevato che il consenso a una candidata democratica cresce se sostiene un cessate il fuoco e un embargo sulle armi contro Israele, scoperta supportata da altri sondaggi. Questo fatto è così incontrovertibile che persino i presentatori pro-democratici e pro-Harris su Msnbc lo stanno sottolineando.
Ma la sua risposta in questa intervista non solo colma qualsiasi distanza tra Harris e Biden che finora era riuscita a far intendere alla gente. Rivela anche che la sua comprensione della situazione in Medio Oriente è tanto incoerente quanto quella del presidente.
Senza esagerare, è assurdo a questo punto sostenere che «dobbiamo raggiungere un accordo», intendendo un cessate il fuoco, ma opporsi a fermare il flusso di armi verso Israele. Anche fonti israeliane ammettono che Netanyahu è il principale ostacolo al cessate il fuoco, proprio come hanno fatto funzionari egiziani e di altro tipo coinvolti nei colloqui infiniti sul cessate il fuoco, perché, come lo stesso Biden ha detto apertamente al pubblico mesi fa, Netanyahu vuole che la guerra duri il più a lungo possibile in modo da poter rimanere al potere (e perché vuole che Trump vinca a novembre, motivo per cui il primo ministro israeliano ha detto a maggio che avrebbe continuato a combattere per altri sette mesi, in altre parole fino al mese successivo alla fine delle elezioni presidenziali).
Visto lo stretto margine nello Stato del Michigan, densamente popolato da musulmani e arabi, la risposta di Harris alla domanda di Bash su Gaza, e la sua decisione di legarsi completamente all’approccio di Biden, è la mossa più rischiosa dal punto di vista elettorale che questa politica notoriamente avversa al rischio abbia fatto nel suo breve periodo da candidata.
Harris ha evitato il disastro in questa sua unica intervista dopo un mese intero da candidata. Ma rileggere quella frase dovrebbe far capire perché i democratici non possono tirare un sospiro di sollievo.
*Branko Marcetic è collaboratore di JacobinMag, dove è uscito questo articolo. Ha scritto Yesterday’s Man: The Case Against Joe Biden. La traduzione è a cura della redazione.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.