
Buona la seconda
La nuova stagione di «The Bear» mantiene la qualità della prima. E racconta bene come le vicende si accaniscano contro chi prova a sfondare senza avere molti soldi
Ero preoccupata prima di guardare la seconda stagione di The Bear – chiamata Parte II nell’episodio di apertura – perché non riuscivo a immaginare come potesse sostenere il livello di intensità avvincente raggiunto nella prima stagione. Non avrei dovuto farlo. Sebbene questi dieci episodi serrati prevedano drastici cambiamenti narrativi alla trama di base, The Bear è ancora eccezionale.
È probabilmente la serie migliore mai realizzato sull’ambizione smisurata, perché drammatizza in maniera straziante il modo in cui le probabilità si schierino contro chiunque non ha molti soldi e cerchi il successo. Tenendo presente che è quasi impossibile raggiungere la grandezza anche se hai molti soldi.
La prima stagione di The Bear era incentrata su Carmen «Carmy» Berzatto (Jeremy Allen White), un giovane chef di straordinario talento che interrompe la sua carriera in ascesa a New York City per tornare a casa e cercare di salvare dalla rovina la paninoteca italiana di famiglia, l’Original Beef of Chicago. «The Beef» era stato gestito dal fratello di Carmy, Mikey (Jon Bernthal), fino a quando la tossicodipendenza, gli enormi debiti non pagati con lo zio Cicero (Oliver Platt) e tutte le altre schiaccianti pressioni per mantenere una piccola azienda di famiglia in rovina non lo avevano spinto al suicidio.
I tentativi di Carmy di trasformare la paninoteca in un vero ristorante secondo i suoi rigorosi standard hanno spinto la narrazione della prima stagione. Doveva conquistare i cuochi di linea recalcitranti, in particolare la feroce Tina (Liza Colón-Zayas), dedita al vecchio modo di fare le cose. E il manager insicuro e stridente Richie Jerimovich (Ebon Moss-Bachrach), chiamato «Cugino» perché cresciuto con i ragazzi di Berzatto, pareva incapace di ogni ruolo. Più ossessionato dalla famiglia di chiunque altro, aveva espresso la sua furiosa invidia per Carmy opponendosi a ogni cambiamento che proponeva.
Ma la nuova assunta di Carmy, l’esperta sous-chef Sidney Adamo (Ayo Edebiri), si era rapidamente resa preziosa, e il dolce cuoco Marcus (Lionel Boyce) era stato il primo convertito a imparare ad amarla scambiandosi il rispettoso titolo di «Chef», mentre scopriva di avera un’inaspettata ambizione nel diventare abile creatore di dolci squisiti.

La prima stagione si era conclusa con la scoperta della scorta segreta di denaro di Mikey, centinaia di migliaia di dollari di denaro non restituiti allo zio Cicero. La seconda stagione inizia con il tentativo ancora più rischioso di Carmy di sventrare The Beef e trasformarlo in The Bear, un raffinato ristorante, nel giro di pochi mesi. Ironia della sorte, lui e Sydney – un partner in questa nuova impresa – devono andare dallo zio Cicero per aavere più soldi una volta che hanno fatto il budget e si sono resi conto di quanto costerà un tentativo di lancio sulla luna quasi impossibile come questo. Lo zio Cicero viene convinto solo quando Carmy gli promette che sarà il proprietario dell’intera attività se non potranno ripagarlo entro diciotto mesi. Con quel lasso di tempo ristretto, un lancio sulla luna diventa più simile a un lancio su Giove.
Sidney studia le prospettive dei nuovi ristoranti a Chicago, e sono tutte cattive notizie: ristoranti che chiudono dappertutto, servono lunghi tempi prima che i profitti arrivino e ci sono partner corrotti che scappano con i soldi. Quelli del settore della ristorazione a cui si rivolge per un consiglio possono solo fare una smorfia quando vengono a sapere della situazione al The Bear.
Inizia il periodo tracciato dal promemoria ossessivo del ticchettio dell’orologio («Undici settimane al lancio») mentre la squadra incontra ogni ostacolo immaginabile per il successo. Muffa e termiti nell’edificio, soffitti che crollano, servizi igienici malfunzionanti che sfidano qualsiasi competenza idraulica, permessi da ottenere che sono un incubo burocratico, tasse municipali a ogni passo, contrattempi in cucina mentre le abilità culinarie di Sidney vanno in tilt e crisi personali. La madre di Marcus sta morendo e la sorella Natalie «Sugar» Berzatto (Abby Elliott), project manager, rivela che il suo allarmante pallore e la sua nausea sono dovuti a una gravidanza non prevista.
La domanda è se Sidney possa arrivare ad essere motivato come Carmy, se qualcuno possa diventare così motivato senza avere già un moto di ambizione incorporato che lo guida inesorabilmente. Certamente è contagioso, lo yen per la grandezza (o comunque, la ricerca della grandezza). Non è divertente. È per lo più estenuante e di solito si traduce in un fallimento. Ma è anche avvincente.
Ciò è illustrato in modo toccante dal modo in cui i cuochi di linea Marcus, Tina ed Ebraheim (Edwin Lee Gibson) sono sempre più coinvolti. Lui e Tina vengono mandati a scuola di cucina nel frattempo, il ristorante viene sventrato e ristrutturato ed Ebraheim si lamenta: «Perché devo andare, so già tutto».
Ma presto eccolo a scuola, col grembiule bianco immacolato e il berretto che ufficializzano la sua formazione. Lì scopre di non poter tagliare le verdure con la velocità e la precisione degli altri. È doloroso vedere il volto di quest’uomo più anziano, i capelli grigi, che impara a tagliare le verdure a un livello di abilità superiore dopo una vita passata a cucinare. Lo vediamo fuori orario, quando tutti se ne sono andati, mentre taglia tutto da solo.
Marcus ha una parentesi idilliaca a Copenhagen, imparando a fare dolci che sono opere d’arte. Viene addestrato da un giovane londinese di nome Luca (Will Poulter) che ha iniziato a cucinare così presto da esercitare già da quattordici anni. «Sbagliato. È peggio. Fallo di nuovo», dice implacabile ma senza cattiveria, mentre Marcus cerca di acquisire folli abilità culinarie come posizionare bene qualche piccolo abbellimento in un dessert impeccabile.
Questa formazione è resa sopportabile dalla fermezza di carattere di Marcus, dall’ampiezza dell’intera esperienza di viaggio e dalla volontà di Luca di condividere la sua storia di essersi scontrato con un cuoco di gran lunga migliore, dopo anni di arroganza. Supera la furiosa invidia attaccandosi allo chef superiore per imparare tutto ciò che poteva.
«Come Scotty Pippin con Michael Jordan», dice Marcus, in uno degli innumerevoli paragoni con lo sport, con le sue teorie sul team building, il suo riconoscimento dei misteri del talento e dei miracoli di risultati eccezionali e il costante sforzo per raggiungere livelli di abilità quasi impossibili.
È il punto cruciale in cui le aspirazioni altissime incontrano la ristrettezza orribilmente ingiusta, radicata e trascinante verso il basso della vita lavorativa e della classe medio-bassa che la serie drammatizza così bene. Senza dubbio le persone più brillanti che siano mai vissute al mondo erano – e sono – lavoratori che non hanno mai avuto la possibilità di perseguire le proprie ambizioni o realizzare i propri talenti. O solo scoprire quali erano le loro ambizioni e i loro talenti, perché erano troppo occupati, troppo stanchi e troppo scoraggiati cercando di guadagnarsi da vivere.
Il momento più toccante della seconda stagione, fino alla metà del quinto episodio, è quando Sidney, sapendo che sarà sopraffatta dai suoi doveri ad ampio raggio come partner di Carmy nella gestione del ristorante, chiede a Tina di essere la sua sous-chef. . La ventenne Sidney balbetta e si dibatte mentre chiede alla formidabile Tina di mezza età di prendere questa posizione sotto di lei, coprendosi ripetutamente: «Probabilmente non vorrai farlo». Ma quando finalmente lo dice, Tina la abbraccia così forte che la solleva da terra.
C’è un’immagine magnificamente ferma su Tina dopo che Sidney se ne va, mentre Tina sta lì con un sorriso esaltato sul viso, guardando la realtà trasformata dal senso improvvisamente elevato di se stessa. Il solo fatto di essere invitata a esibirsi a un livello superiore, a unirsi a un gruppo di persone di talento brillante in un’impresa entusiasmante – sembra impossibile per così tante persone che a loro non pensano possa succedere – è tra le cose più elettrizzanti in vita.
Questi passaggi sono analizzati con molta parsimonia – generalmente sono monopolizzati dai ricchi, che hanno comunque tutte le opportunità e non possono apprezzarli e non affrontano quasi nessuna conseguenza se falliscono – ed è un vero tributo a The Bear, cattura il sentimento di meraviglia ed estasi mentre il mondo si apre delle possibilità.
*Eileen Jones insegna alla University of California, Berkeley. Si occupa di critica cinematografica per JacobinMag, dal quale è tratto questo articolo. La traduzione è a cura della redazione.
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