
Cambiare la realtà guardando il cielo
«Ufo 78» dei Wu Ming racconta gli anni Settanta dalla loro fine, dai giorni spartiacque del sequestro Moro, e dalla suggestione di massa per gli avvistamenti alieni
Era un romanzo atteso quello dei Wu Ming sugli anni Settanta. Un decennio che la vulgata storiografica dominante prova a far passare come «anni di piombo» ma che è in realtà il decennio dei movimenti studenteschi, delle grandi lotte operaie e dello Statuto dei lavoratori, delle profonde conquiste culturali e civili come il diritto al divorzio e all’interruzione volontaria di gravidanza, della politicizzazione diffusa e della nascita di culture politiche a sinistra dello stesso Partito comunista, insieme a innumerevoli sperimentazioni sociali e culturali.
Ce ne sarebbe abbastanza per scrivere un’epopea. Con Ufo78 (Einaudi, 2022) i Wu Ming assumono invece un punto di vista inaspettato. Scelgono infatti il 1978, l’anno di frontiera oltre il quale inizia una stagione completamente diversa: quella che porterà al riflusso e al disimpegno politico e culturale degli anni Ottanta, fino poi al crollo del socialismo reale, allo scioglimento del Pci e infine alla crisi di tutto il sistema politico italiano all’inizio degli anni Novanta.
La scelta dell’anno non è però quella più inaspettata. In fondo, nel 1978 successe di tutto: si succedettero tre papi (Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II); si dimise il Presidente della Repubblica Giovanni Leone in seguito al suo presunto coinvolgimento nello scandalo Lockheed; ci furono le ultime grandi conquiste dei movimenti degli anni Settanta (la legge Basaglia di chiusura dei manicomi, l’istituzione del Sistema sanitario nazionale, la legge che legalizza l’interruzione volontaria di gravidanza); fu rapito e ucciso Aldo Moro dalle Brigate Rosse; a Cinisi fu assassinato dalla mafia Peppino Impastato; l’Argentina vinse i mondiali di calcio mentre in quello stesso paese migliaia di prigionieri politici venivano torturati e sparivano.
Molte di queste vicende fanno ovviamente parte del romanzo, ma al centro c’è un avvenimento completamente rimosso: nel 1978 ci furono in Italia 2.000 avvistamenti dichiarati di Ufo, il record nella storia. Fu una vera e propria epidemia culturale di massa, in parte influenzata dal film Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg, che uscì nelle sale italiane proprio il 24 febbraio del 1978.
Iniziamo allora da qui: perché avete deciso di raccontare gli anni Settanta dalla loro fine e perché l’angolo di visuale è quello della suggestione di massa per gli avvistamenti alieni?
Wu Ming 4: Il 1978 è un anno spartiacque. Da un lato, come dicevi, porta a compimento alcune conquiste di un percorso decennale di lotte, dall’altro inaugura qualcosa di nuovo proprio a partire dal sequestro Moro. Si tratta infatti della prima «grande emergenza» e crea quasi un modello di governo in Italia: da quel momento in poi ci abitueremo a essere governati da uno stato di emergenza che ne sostituisce un altro e diventa quindi la normalità.
Sempre in quell’anno iniziano i primi segnali di una tendenza culturale e sociale nuova. Al cinema nel ‘78 non c’è soltanto Incontri ravvicinati del terzo tipo, è anche l’anno di John Travolta e de La febbre del sabato sera, film che determina un cambiamento epocale: inizia a impazzare la disco music, la vita si sposta progressivamente dalle strade e dalle piazze – che erano state il luogo di incontro e conflitto per un decennio – in luoghi più chiusi, le discoteche e le case. Il 1978 è poi l’anno dove per la prima volta sui grandi quotidiani italiani compaiono notizie che prima non comparivano: se fino ad allora i giornali ruotavano intorno alla politica e ai cataclismi naturali, da lì in poi iniziano ad avere risalto notizie frivole e mondane legate al privato. Si tratta di una strategia, di un modo per favorire un rientro nel privato dopo dieci anni di impegno collettivo di massa, dando sempre più spazio a notizie slegate da problematiche sociali.
Dal 1978 si apre quindi una stagione nuova, pur ancora diversa dall’epoca degli anni Ottanta. Quelli che definiamo anni Ottanta andrebbero in effetti in Italia fatti partire dal 1982, con la vittoria della nazionale di Bearzot ai Mondiali di Spagna e le strade che si riempiono di bandiere tricolore: improvvisamente un altro mondo prende possesso delle piazze. Il periodo tra il 1978 e il 1982 è quello che il giornalista Carlo Rivolta definì l’aspra stagione, e i momenti spartiacque sono molto interessanti, complessi e sfaccettati.
Prima hai dimenticato un altro avvenimento importante del 1978: l’arrivo sulla televisione italiana del primo cartone animato di robot giapponese, Ufo Robot Goldrake. Un evento che segnerà l’immaginario della generazione nata nei primi anni Settanta e in cui di nuovo c’entrano gli alieni che vogliono invadere la terra. Gli Ufo erano dovunque in quel momento, erano proprio nella cultura popolare: nel 1978 esce la canzone Extraterreste di Eugenio Finardi; Franco Franchi incise una canzone che si chiamava Mamma! Ho visto un Ufo; allo Zecchino d’oro ci fu in gara una canzone dal titolo Uffa gli Ufo; Enzo Tortora nella sua famosa trasmissione Portobello intervistò un uomo che sosteneva di essere stato rapito dagli alieni, e così via.
Eppure questo interesse di massa per gli alieni di quell’anno è stato dimenticato. La domanda che ci siamo posti è: Cosa c’entrano questi 2.000 avvistamenti di luci nel cielo con tutto il resto che accadeva in quell’anno? È solo una coincidenza o c’è un nesso? Perché il rapimento Moro e la mania per gli Ufo hanno convissuto nello stesso spazio-tempo?
Wu Ming 2: È interessante guardare alle statistiche sugli avvistamenti di Ufo registrate dagli ufologi. Se infatti nel 1978 si toccò il picco dei 2.000 avvistamenti, nel 1979 questi tornano a una quantità normale e la curva scende di botto già a febbraio.
In uno spettacolo del 1978, Polli da allevamento, Giorgio Gaber metteva la passione per l’ufologia di quello stesso anno nel più generale riflusso dei movimenti, con lo spostamento dell’interesse per le cose che non c’entrano con l’impegno sociale e politico e che svuotano le piazze. Se questa interpretazione fosse stata vera però ci si doveva aspettare una progressiva crescita degli avvistamenti anche negli anni successivi, con l’approfondirsi di quello stesso riflusso. Invece dopo il ‘78 gli avvistamenti diminuiscono. L’interpretazione secondo cui si guardava il cielo per evadere dalla realtà terrificante degli anni di piombo sembra insomma smentita dai fatti. Occorre cercarne un’altra.
La metafora ufologica è in realtà una metafora che praticate da tempo, basta pensare al vostro penultimo romanzo collettivo, ProletKult, e al nome della collana di libri che Wu Ming 1 dirige per Alegre, Quinto Tipo. Gli incontri ravvicinati del «quinto tipo», in ufologia, sono quelli che vanno oltre l’avvistamento, dove avviene una comunicazione bidirezionale e collaborativa fra terrestri e intelligenze aliene. La metafora allude alla ricerca di oggetti narrativi non identificati, narrazioni ibride tra saggio e romanzo, e ai contatti con intelligenze aliene al mainstream.
Ufo 78 è un vero e proprio romanzo ma è scritto come se fosse un oggetto narrativo non identificato: è un thriller ma è anche un’indagine antropologica sull’Italia alla fine del grande ciclo storico degli anni Settanta e un’inchiesta giornalistica sulla misteriosa sparizione di due ragazzi in un campo scout. I personaggi del romanzo vengono intervistati anche nel presente, creando spesso il dubbio in chi legge su cosa sia finzione e cosa sia reale di quel che viene raccontato, fino alla bibliografia stessa del libro. Avete trovato un modo per intrecciare le sperimentazioni sugli oggetti narrativi non identificati e il vostro modo di scrivere i romanzi storici?
Wu Ming 2: Ufo78 è un romanzo che simula di essere un’inchiesta scritta con tecniche romanzesche. Per noi è una novità, non avevamo mai scritto un libro con questa tecnica. C’è una voce narrante che non ha un genere, non si mette mai in prima persona ma non è completamente disincarnata: è la voce di una persona che ha fatto un’inchiesta e scrive una specie di docufiction. L’inchiesta in partenza non è né sugli anni Settanta, né sul sequestro Moro, né sugli Ufo. La voce narrante parte da un episodio di cronaca misterioso, la scomparsa di due ragazzini su una montagna durante il campo scout, su cui nascono varie leggende: non si sa se siano stati uccisi, se hanno avuto un incidente o se siano stati rapiti dagli alieni. La nostra voce narrante scopre che su questo caso ha scritto un libro un famoso autore di saggi paleocosmonauti, Martin Zanka. Si tratta di un personaggio direttamente ispirato a Peter Kolosimo. Kolosimo fa parte di quella temperie aliena del 1978 e anni limitrofi: era uno scrittore che in quel periodo vendeva migliaia di libri scritti con in testa l’ipotesi che le antiche civiltà del pianeta terra fossero entrate in contatto con civiltà aliene.
Altra cosa che rende questo romanzo molto diverso dai nostri libri precedenti è la dimensione del presente. Di solito i nostri sono romanzi metastorici, usano la storia per parlare di qualunque possibile presente. In Ufo78 invece il presente è già dentro al libro perché la voce narrante vive oggi, e gli stessi personaggi del libro sono intervistati ai giorni nostri.
La protagonista femminile del vostro romanzo, l’antropologa Milena Cravero, si interroga più volte sulle caratteristiche di questa epidemia culturale ufologica e su quali bisogni intercettano le visioni aliene, chiedendosi se questo fenomeno irrazionale di massa sia un diversivo o rappresenti qualcos’altro. Questo interrogativo richiama alcune vostre riflessioni più recenti su come relazionarsi alle fantasie di complotto, cresciute a dismisura negli ultimi anni e spesso catturate dall’estrema destra. Ne La Q di Qomplotto Wu Ming 1 insiste sull’inefficacia del ratiosuprematismo, ossia dell’approccio che si confronta con alcune convinzioni surreali spiegandone la fallacia logica e scientifica, senza guardare i nuclei di verità da cui provengono e i bisogni a cui rispondono quelle stesse fantasie. In Ufo78 andate oltre perché alla fine è proprio un tentativo di avvistamento degli Ufo che porta a vedere la realtà sulla terra. Viene fuori che incanto e impegno non sono così alternativi, e che forse è auspicabile un’alleanza tra fantasia e ragione?
Wu Ming 4: Non sta scritto da nessuna parte che guardare il cielo significhi evadere dalla realtà. Voler evadere da una prigione può essere infatti il punto di partenza per dichiarare al mondo che è esso stesso una prigione. Questo è l’equivoco dei ratiosuprematisti: pensare che basta applicare la ragione e prima o poi avremo catalogato tutto. In realtà l’umanità dalla notte dei tempi guarda il cielo e ci vede delle cose, senza per questo necessariamente non agire sulla terra. L’antropologa del nostro romanzo lo capisce incontrando gli ufofili, che si distinguono dagli ufologi perché non sono feticisti del logos ma amano gli Ufo proprio in quanto non identificati. Quando ti scontri con qualcuno che crede davvero che ci sono gli alieni o qualunque altra cosa, molto difficilmente riuscirai a confutare le sue credenze con delle prove scientifiche, facendo un semplice debunking. Una credenza si approccia in un altro modo e quello degli ufofili è un approccio creativo e alla fine danno il contributo essenziale alla risoluzione dell’indagine del libro. Si scopre la verità qui e ora, quella materiale, guardando il cielo.
Wu Ming 2: È interessante notare che nel periodo del lockdown duro di marzo e aprile 2020 si è riscontrata una nuova impennata di avvistamenti di Ufo. A guardar bene, sia l’emergenza terrorismo del 1978 sia il primo lockdown pandemico sono stati due periodi di fervore identificativo: durante il sequestro Moro sono stati identificati e fermati ai posti di blocco milioni di italiani così come durante il lockdown non potevi uscire se non avevi l’autocerificazione e c’erano ovunque i carabinieri per strada che ti fermavano. Due esperienze significative e anomale di richiesta di identificarsi. Forse allora non è così strano che in una temperie del genere la gente cerchi gli Ufo, che sono per definizione gli oggetti volanti non identificati.
La contraddizione è che alcuni dei personaggi del nostro romanzo, i cosiddetti ufologi razionalisti, cercano il non identificato per identificarlo a sua volta, chiedendosi cosa sono le luci che sono state avvistate (una sonda, un satellite, Venere vista con un cielo particolare, un lampione visto da un ubriaco, ecc.). E cercano anche di identificare il testimone per misurarne la credibilità. Uno dei consulenti di Steven Spielberg per Incontri ravvicinati del terzo tipo era l’ufologo Joseph Allen Hynek che scrisse un libro importante sugli avvistamenti di Ufo in cui sosteneva che il testimone più attendibile è quello che corrisponde a un certo identikit: quasi sempre maschio, bianco, di classe media e senza troppi grilli per la testa. Una persona che insomma non avrebbe bisogno di vedere gli Ufo per sopperire a qualche altra mancanza. Un approccio che ci riporta a quello ratiosuprematista di fronte alle fantasie di complotto.
Già a metà anni Novanta esistevano invece alcune realtà di ufologi radicali che chiedevano di rispettare il diritto alla non identificazione degli oggetti volanti, senza chiedersi per forza cosa fossero ma piuttosto perché li vedo e cosa vogliono dirmi. Si tratta dell’approccio ufofilo che nel romanzo retrodatiamo negli anni Settanta. Ci interessava capire se la non identificazione degli Ufo andava a braccetto con l’estrema identificazione di tutto ciò che si muoveva sulla superficie terrestre e se quello sguardo al cielo, più che una fuga, fosse una ricerca di utopia alternativa.
Del resto la discussione sul valore politico della fantascienza era nello spirito degli anni Settanta, basti pensare alla rivista Un’ambigua utopia che cercava di proporre una lettura politica dei testi di fantascienza: attraverso la creazione di mondi su pianeti diversi dal nostro si può parlare di alternative possibili rispetto alla società umana così come si è sviluppata finora.
*Wu Ming 2 e Wu Ming 4 fanno parte del collettivo di scrittori che, col nome di Luther Blissett, ha esordito nel 1999 con il romanzo Q (Einaudi), per poi pubblicare molti altri romanzi e racconti. Giulio Calella, cofondatore e presidente della cooperativa Edizioni Alegre, fa parte del desk della redazione di Jacobin Italia. Questa intervista è la trascrizione rieditata del dialogo avvenuto a Roma per la presentazione di Ufo78.
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