C’è vita nell’emergenza
Nonostante l'orrore, la morte e le difficoltà materiali, in tutto il paese emergono le prime lotte, si aprono conflitti, ci si confronta tra pari sul da farsi. Perché il futuro andrà conquistato pezzo per pezzo
Il carosello di mezzi militari per le strade di Bergamo che portano bare da seppellire rende l’idea dell’orrore e della sensazione di morte che serpeggia per le strade del paese e del pianeta intero. Il modo in cui, in brevissimo tempo, il pianeta intero ha cambiato faccia e si è mostrato ancora una volta unito e connesso anche se in nome della pandemia fa impressione.
L’emergenza ci attraversa, entra nelle nostre esistenze e si trasforma in crisi economica. Eppure dentro l’emergenza emergono i segnali della vita che tenta di farsi strada. Si affacciano conflitti e spazi di discussione e azione che proprio in nome della difesa della salute e della qualità della vita costruiscono le condizioni della sopravvivenza in questo scenario mutevole e incerto. Non ci troviamo di fronte a una lotta impari tra un Leviatano tecnocratico e uomini e donne dispersi e atomizzati. Siamo in un campo in cui emergono contraddizioni e in cui, nonostante le difficoltà, si delineano spazi di azione e resistenza.
Dopo settimane di comunicazioni politiche discordanti, tra allarmi contagio e inviti all’aperitivo, il governo chiede un sacrificio enorme alla cittadinanza: costringe tutti e tutte noi a stare chiusi in casa, se non per andare a lavorare, allo scopo di rallentare la diffusione del Coronavirus e impedire che le strutture ospedaliere vadano al collasso. È una misura estrema, che testimonia che la debolezza del sistema sanitario universale viene pagata dai singoli individui e ai lavoratori del settore, sui quali viene scaricata la responsabilità del corso degli eventi e ai quali viene imposto di fare materialmente, con il loro lavoro di cura e dentro le mura delle proprie abitazioni, da argine alla pandemia. A fronte di questo la politica e l’esecutivo cosa stanno facendo? A tale mobilitazione coatta delle risorse sociali, allo svuotamento delle strade e degli spazi pubblici, al sacrificio di mesi di formazione universitaria, istruzione scolastica ed educazione infantile, corrisponde un impegno straordinario dell’esecutivo?
«Nessuno dovrà perdere il lavoro», aveva promesso il ministro dell’economia Roberto Gualtieri. Nel testo del «decreto cura» approvato due giorni fa in consiglio dei ministri compaiono misure deboli e ancora poco incisive. Si prevede il blocco di ogni procedura di licenziamento per sessanta giorni. Il testo impegna i 25 miliardi di euro di indebitamento votati in Parlamento. Si comincia da un «bonus babysitter» di 600 euro per i nuclei familiari con figli fino a 12 anni di età. In alternativa, sia i dipendenti pubblici e privati che gli autonomi possono accedere a 15 giorni di congedo parentale straordinario con un’indennità pari al 50% della retribuzione. Chi va a lavoro si troverà cento euro al mese in più in busta paga, ricavati dalla riduzione del cuneo fiscale. Autonomi, partite Iva e Cococo iscritti alla Gestione separata Inps possono disporre di un’indennità una tantum di 600 euro, che dovrebbe essere rinnovata dal decreto del mese prossimo e che viene ricavata da un fondo a esaurimento di due miliardi di euro. Viene soltanto sospeso il pagamento di mutui, tasse e oneri contributivi così come saltano temporaneamente tutte le condizioni e obblighi di lavoro ai quali sarebbero (il condizionale è d’obbligo) sottoposti tutti quelli che percepiscono un reddito di cittadinanza. Viene consentito l’accesso alla Cassa integrazione in deroga per i lavoratori di tutte le imprese anche di un solo dipendente fino a raggiungimento della soglia di stanziamento prevista.
Può bastare? Pare proprio di no. L’economia del paese è in ginocchio, stanno per saltare interi settori produttivi e commerciali. Siamo di fronte all’effetto di una crisi pesantissima ma assistiamo anche al palesarsi delle debolezze di un modello di sviluppo miope e fragile. Si pensi al mito tossico di una frase come «potremmo vivere di solo turismo» e a quanto suoni oggi ancor di più grottesca un’aspirazione del genere. Persino il roboante annuncio di 20 mila assunzioni tra il personale medico si è ridotto all’offerta di un contratto di 12 mesi. La crisi sarà lunga e 600 euro al mese non bastano per vivere. Sono anche al di sotto della soglia stabilita dal Reddito di cittadinanza. Occorre esigere misure più strutturali, a partire dalla sanità, ad assunzioni vere e a estendere il reddito di cittadinanza alzando i suoi minimi. Per fare questo l’attuale struttura dell’Unione europea va rotta con politiche radicali. Incredibilmente, Trump è più avanti della Ue con la sua proposta di helicopter money sia pure ancora abborracciata. La Banca centrale europea e i criteri di Maastricht vanno rivisti, permettendo un intervento pubblico e monetario di portata mai vista prima.
Mentre il dogma dell’austerity e quello ancora più grottesco del vincolo di bilancio previsto dai trattati Ue si sciolgono come neve al sole, è arrivato il momento di chiedere molto di più e rivendicare da subito un’inversione di rotta di fronte all’ideologia sciagurata che ci ha condotto fino a questo punto: al punto più basso che neppure le previsioni più catastrofiste immaginavano.
Ci sarà tempo per fare un bilancio più preciso del disastro che colpisce soprattutto il cuore industriale e produttivo del paese, ma già da giorni appare certo che se i presidi medici sul territorio avessero funzionato nell’interesse pubblico, ad esempio svolgendo la funzione di prevenzione e non solo quella di cura, ci si sarebbe accorti da subito dei focolai di polmonite che covavano nelle province lombarde. E se gli industriali non avessero impedito l’istituzione di piccole zone rosse di contenimento nel bergamasco e nel bresciano, come denunciano tutti a partire dagli amministratori locali, il pur avanzatissimo modello sanitario lombardo probabilmente non sarebbe in ginocchio.
Qualche giorno fa su queste pagine è comparso un appello per tenere insieme le rivendicazioni e consentire, nonostante l’emergenza e la condizione di isolamento forzato alla quale siamo sottoposti, di organizzarsi attorno ad alcune vertenze specifiche, e abbiamo ricevuto centinaia di adesioni a sostegno. Accanto a quella iniziativa, che non voleva essere identitaria e tantomeno rituale, se ne sono raccolte altre. Proviamo a metterle in fila, in una rassegna di certo parziale (segnalateci mancanze) che però già delinea un quadro d’azione dal basso nello stato di emergenza.
Si è tenuta online un’assemblea nazionale virtuale sul Reddito di quarantena, che ha messo insieme sindacati di base, movimenti di precari e centri sociali di diverse regioni (qui la pagina Facebook). «Pur restando a casa centinaia di persone di tutta Italia hanno potuto discutere e organizzarsi, attraverso una piattaforma di webconferencing», raccontano i promotori dell’iniziativa. Nel report dell’assemblea esortano a «oltrepassare il qui e ora caratterizzato dallo stato d’emergenza, e spingersi verso progettualità di medio periodo. Dobbiamo saper analizzare velocemente così tante contraddizioni e possibilità, e allo stesso tempo esplorare dimensioni nuove e sconosciute». La prima richiesta è «un serio intervento a sostegno del reddito, a partire da quelle categorie che già stanno pagando pesantemente questa situazione, mediante trasferimenti monetari diretti e indiretti e l’accesso gratuito a servizi fondamentali. ‘Io Resto in casa’ significa per troppi essere privi dell’unica fonte di reddito. Per questo, per stare a casa abbiamo bisogno subito di un reddito di quarantena, un sostegno economico».
Anche il Forum Disuguaglianze Diversità parte dal presupposto che le misure messe in campo siano ancora ampiamente insufficienti. Cristiano Gori e Fabrizio Barca hanno lanciato una proposta per contenere le ricadute sociali ed economiche della crisi attuale. Sostengono si debba partire dagli strumenti esistenti, modificandoli ed espandendoli in modo da adattarli tempestivamente alla situazione emergenziale.
C’è chi sta a casa e chi una casa non ce l’ha o vive in condizioni di fortuna. Il governo ha disposto il blocco degli sfratti per sessanta giorni. Ma Unione inquilini ha ricordato che migliaia di lavoratori stagionali e braccianti vivono in veri e propri slum, baraccopoli funzionali alla produzione agricola e malsane già da prima che scoppiasse l’epidemia, per questo ha inoltrato un dossier a governo e amministrazioni locali per chiedere che vengano requisiti stabili e si creino zone di accoglienza per eventuali necessità di isolamento.
Le lotte sui luoghi di lavoro sono esplose già all’inizio dei decreti sulla contenzione, immediatamente dopo quelle nelle carceri (sono state raccontate in parte qui e qui). Milioni di lavoratrici e lavoratori sono costrette e costretti a operare senza le necessarie precauzioni, non sanno a chi lasciare i bambini, non sanno come tornare a casa senza mezzi pubblici, o vengono messi in ferie forzate. In questa situazione è scattata la molla dello sciopero, talvolta spinto dal basso, talvolta dai sindacati. Fiom, Usb, SI-Cobas e ADL-Cobas hanno denunciato in diverse circostanze la situazione. Si assiste anche alle prime forme di mobilitazione transnazionale. Un documento diffuso dai lavoratori di un hub Amazon di New York si è rapidamente diffuso fra le lavoratrici e i lavoratori in Italia.
Probabilmente, lo specchio di questo conflitto fra capitale e lavoro, in difesa della vita, ai tempi del Covid-19 è Amazon, con i suoi 250 mila dipendenti solo in Europa e i suoi milioni di clienti. In queste settimane Amazon si sta giocando una battaglia decisiva nel settore del commercio, e con un vantaggio enorme: quello di essere by design un’azienda per la consegna di qualsiasi prodotto a persone rintanate in casa. L’azienda di Bezos vede davanti a sé la possibilità di conquistare nuove quote di mercato e nuovi clienti, proprio mentre i negozi sono chiusi. Ma per farlo ha bisogno che qualcuno lavori nei magazzini della sua filiera, pronto a consegnare qualsiasi tipo di merce, anche in periodo di emergenza. Beatrice Busi, Alessandro Delfanti e Erika Biddle riportano di «un video virale che circola tramite WhatsApp in cui un addetto alle consegne per Amazon che indossa guanti e mascherina dice: ‘Non preoccuparti, riceverai comunque la tua fottuta cover per Hello Kitty per iPhone!’». In Italia, il più grande magazzino di Amazon nel paese, quello di Castel San Giovanni (Piacenza) si trova nell’epicentro dell’epidemia: ogni giorno i dipendenti arrivano dalle vicine zone del pavese e lodigiano, così come dalle limitrofe province emiliane e piemontesi. L’assenteismo è alto, chi può si è messo in ferie o in malattia. Ma gli ordini esplodono e l’azienda sta rastrellando manodopera attraverso le agenzie interinali, aumentando i rischi di propagazione del virus e per di più approfittando di lavoratori precari che fanno più fatica a esigere il rispetto delle norme di sicurezza. Martedì anche i sindacati confederali hanno proclamato uno sciopero denunciando il mancato rispetto da parte dell’azienda delle misure di sicurezza imposte dal governo a tutti i normali cittadini. È questo quello che chiedono i lavoratori e le lavoratrici in lotta non solo in Italia ma anche in Francia, Spagna, Polonia e Stati Uniti.
Sono molte anche le iniziative di solidarietà e mutuo soccorso che provano a rompere l’isolamento imposto dalla quarantena e aiutarsi a vicenda (qui c’è una mappatura molto ampia). Dall’esperienza di Casa Pigneto e della Quarantena solidale della Libera Repubblica di San Lorenzo a Roma a quello dello sportello Non sei sola non sei solo di Milano, sono tantissime le iniziative di solidarietà. La rete Fuorimercato ha annunciato la campagna #iorestosolidale e nei prossimi giorni insieme ad altre associazioni e strutture sindacali si prepara a lanciare la proposta di una cassa di mutuo soccorso a sostegno dei soggetti trascurati dalle misure economiche del governo.
Sono iniziative che dimostrano che la crisi sanitaria non ci rende tutti e tutte uguali e che nessuno ci regalerà nulla: per ripartire davvero bisognerà strappare il futuro un pezzo dopo l’altro.
*Giuliano Santoro, giornalista, scrive di politica e cultura su il Manifesto. È autore, tra le altre cose, di Un Grillo qualunque e Cervelli Sconnessi (entrambi editi da Castelvecchi), Guida alla Roma ribelle (Voland), Al palo della morte (Alegre Quinto Tipo).
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