Chi paga le politiche sociali?
Quando si tratta di approvare programmi sociali non dovremmo chiederci se «possiamo permettercelo». La domanda giusta da porsi è dove reperire le risorse
Il 19 novembre scorso, la Camera ha approvato la misura da 2,2 migliaia di miliardi di dollari chiamato Reconciliation bill, che contiene un ampio pacchetto di spese sociali per scuola materna universale, Medicare e Medicaid ampliate, congedi familiari retribuiti e altro ancora. Il testo ora passa al Senato, dove è necessario il voto di tutti e cinquanta i Democratici.
L’attuale disegno di legge è molto più ristretto rispetto al piano originale da 3,5 migliaia di miliardi di dollari proposto dal presidente Joe Biden, in gran parte a causa della riluttanza dei Democratici conservatori che si sono dichiarati preoccupati per il costo del disegno di legge. Spiegando la sua opposizione al piano originale, il senatore della Virginia Occidentale Joe Manchin ha sostenuto che «l’importo che spendiamo ora deve essere commisurato a ciò di cui abbiamo bisogno e che possiamo permetterci».
È una frase che si ripete spesso ogni volta che si prendono in considerazione nuovi programmi sociali del governo: potrebbe essere una bella idea, ma noi come paese non possiamo permettercelo.
Questa logica è sbagliata, poiché non tiene conto di un dettaglio importante: quando si tratta di spesa sociale, gli statunitensi stanno già pagando i conti. Indipendentemente dalla legislazione approvata o meno dal Congresso, i cittadini continueranno ad ammalarsi, i genitori dovranno capire come prendersi cura e come dare un’istruzione ai propri figli piccoli, i figli adulti cercheranno di garantire cure ai genitori anziani, il cambiamento climatico continuerà devastare le comunità, e così via.
Quindi la domanda che abbiamo di fronte non è se possiamo permetterci di pagare per nuovi programmi e benefit sociali. Riguarda qual è il modo migliore per coprire le spese sociali che gli statunitensi stanno già pagando.
Ci sono tre possibili risposte alla domanda su chi paga le spese sociali. In primo luogo, i governi possono pagare tassando i propri cittadini. In secondo luogo, i datori di lavoro possono pagare utilizzando le entrate aziendali per fornire sussidi legati all’occupazione. In terzo luogo, gli individui e le famiglie possono pagare di tasca propria, fare affidamento sul lavoro non retribuito di amici e parenti o decidere di farne del tutto a meno.
Per gran parte del ventesimo secolo, gli Stati uniti hanno riposto alla domanda «Chi paga?» facendo ricorso a un mix di tutte e tre le risorse di cui sopra. Il governo ha fornito alcuni sussidi sociali come la previdenza sociale, il Medicare e l’istruzione pubblica. Aiutati dagli incentivi fiscali, molti datori di lavoro hanno offerto una vasta gamma di sussidi come l’assicurazione sanitaria e le pensioni, creando quello che il politologo Jacob Hacker definisce un «regime di welfare pubblico-privato». E con un terzo della forza lavoro sindacalizzata, e persino i datori di lavoro di aziende non sindacalizzate sotto pressione per avere eguale trattamento di salari e sussidi delle aziende sindacalizzate, molti lavoratori hanno guadagnato abbastanza per sostenere le loro famiglie e gestire le spese sociali non coperte dai programmi governativi e dai datori di lavoro.
Questa risposta tipicamente americana alla domanda «Chi paga?» ha gravi difetti. Ha sottovalutato o tralasciato ampie fasce della popolazione, in particolare le persone di colore. Inoltre, si è basata sul modello del capofamiglia maschile, che presume che i salariati maschi possano fare affidamento sul lavoro non pagato (e sottovalutato) delle donne in casa per prendersi cura dei lavoratori e delle loro famiglie. Nonostante questi limiti, ha contribuito a una drastica riduzione della disparità di reddito e ha creato condizioni di vita più sicure per milioni di americani.
Ma invece di correggere i difetti del sistema del dopoguerra, i datori di lavoro e i governi a partire dagli anni Settanta lo hanno abbandonato. Attaccando i sindacati che avevano combattuto e ottenuto molti dei sussidi che caratterizzavano il modello del dopoguerra, i datori di lavoro hanno tagliato i posti di lavoro, congelato gli stipendi e ridotto o eliminato completamente l’assicurazione sanitaria, le pensioni e altri benefit accessori. Per quanto spettava loro, la risposta alla domanda «Chi paga?» era diventata «Non noi».
Da parte sua, la spesa sociale del governo è stata disomogenea. Grandi programmi universali come Medicare e Social Security si sono dimostrati resistenti alla maggior parte degli sforzi di ridimensionamento e l’Obamacare ha incluso un’importante espansione di Medicaid, sebbene questo sia stato bloccato in alcuni stati dominati dai Repubblicani. Nel frattempo, diversi programmi destinati agli americani a basso reddito si sono dimostrati più vulnerabili. In un contesto in cui i datori di lavoro hanno drasticamente ridotto il loro impegno a fornire prestazioni sociali e gli individui e le loro famiglie devono far fronte a salari stagnanti, la risposta del governo si è rivelata inadeguata.
Il risultato è che la risposta alla domanda «Chi paga?» è diventata sempre più «Gli individui e le loro famiglie». Per coloro che possono permettersi i premi e i contributi alle stelle dell’assicurazione sanitaria privata, l’aumento dei costi dei farmaci, l’escalation dei costi per l’assistenza all’infanzia e agli anziani e i contributi massimi annuali ai loro fondi pensione, potrebbe essere solo un piccolo fastidio. Ma con salari medi troppo bassi e disparità di reddito a livelli che non si vedevano dagli anni Venti del Novecento, queste spese aggiuntive fanno sì che la maggior parte degli individui e delle famiglie abbiano difficoltà a sbarcare il lunario.
Le disposizioni del Build Back Better Act ridurrebbero lo stress per gli individui e le famiglie coprendo una parte maggiore dei costi relativi al prendersi cura gli uni degli altri. Ma non si tratterebbe di nuovi costi. Sarebbero costi che gli individui e le famiglie stanno già sostenendo. La differenza sarebbe chi paga: invece di essere concentrati tra i diretti interessati, i programmi del governo spalmerebbero i costi già esistenti sulla più ampia popolazione di contribuenti.
Non è un concetto nuovo. Tutti pagano le tasse per finanziare l’istruzione primaria e secondaria, comprese le persone senza figli in età scolare e i genitori che mandano i propri figli in una scuola privata. Le persone che lavorano pagano le tasse sui salari per finanziare i sussidi della sicurezza sociale di coloro che non lavorano più. Il Reconciliation bill si limiterebbe ad applicare questa idea a un insieme più ampio di costi di assistenza.
Rendere i sussidi gratuiti può portare gli individui e le famiglie a usarne di più. Ma le spese sociali portano benefici a lungo termine. Eliminare le tasse universitarie in modo che più studenti possano laurearsi senza essere schiacciati dal debito studentesco avvantaggia tutti. Pagare i genitori per stare a casa con i loro bambini e bambine riduce lo stress dei genitori a breve termine migliorando allo stesso tempo lo sviluppo del bambino.
Possiamo discutere su quali sono i nuovi programmi sociali sui quali varrebbe la pena investire. Ma un dibattito onesto inizia riconoscendo che la questione non è se possiamo permettercelo. La domanda giusta è chi paga per questo. Quando Joe Manchin e altri falchi del deficit affermano che non possiamo permetterci nuovi programmi sociali, ciò che stanno veramente dicendo è: «Pensiamo che gli individui e le famiglie dovrebbero trovare il modo di gestire questi costi per conto proprio».
Ma gli individui e le famiglie statunitensi hanno sostenuto crescenti costi sociali negli ultimi quattro decenni e ne hanno pagato il prezzo. Adesso è tempo di provare qualcosa di diverso.
*Barry Eidlin insegna sociologia alla McGill University di Montreal e ha scritto Labor and the Class Idea in the United States and Canada (Cambridge University Press, 2018). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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