
Cile, un luglio turbolento
L’onda lunga della protesta generalizzata, iniziata nel 2019, non si arresta. E i risultati elettorali dicono che il divorzio tra la piazza e la politica tradizionale è sempre più irreparabile
Domenica 18 luglio, a soli due mesi dalla maratona elettorale di maggio che ha segnato una durissima sconfitta per la destra al governo, il Cile ha riaperto i seggi in occasione delle elezioni primarie dei candidati alla presidenza della Repubblica per il prossimo mandato 2022-2026. I risultati hanno smentito categoricamente i sondaggi della vigilia che davano quasi per scontata la vittoria del comunista Daniel Jadue per la lista di sinistra Apruebo Dignidad e del candidato dell’ultradestra pinochetista Joaquín Lavín per la coalizione Chile Vamos, che include il partito politico dell’attuale capo dello Stato Sebastián Piñera. I candidati delle prossime presidenziali, che si celebreranno il 21 novembre, saranno, invece, l’outsider di destra Sebastián Sichel, un banchiere democristiano ex ministro di Piñera e, per la sinistra, il deputato nazionale Gabriel Boric, il vero vincitore della tornata elettorale.
Boric, di soli trentacinque anni (l’età minima legale per essere candidato a Presidente della Repubblica) ha costruito la sua carriera politica nelle file della Federación de Estudiantes de la Universidad de Chile ed è stato uno dei protagonisti della grande rivolta studentesca del 2011. Membro del Frente Amplio, un’alleanza di partiti di centrosinistra, è considerato un riformista vicino all’establishment ed è stato accusato più volte dai movimenti sociali e dalla sinistra radicale di aver collaborato con il governo di Piñera per smobilitare la rivolta del 2019 e proteggere lo status quo. Nei prossimi mesi, Boric dovrà sfoggiare le sue migliori doti di equilibrista politico per costruire una candidatura presidenziale forte capace di vincere contro una destra molto più unita e omogenea. Sarà fondamentale vedere come si muoveranno i due grandi assenti di queste elezioni non obbligatorie, il Partido Socialista e la Democracia Cristiana, i due partiti di centro che governarono ininterrottamente dal 1990 al 2010 e che stanno vivendo una grave crisi di rappresentatività politica. Per questo hanno preferito non partecipare alle primarie e aspettare i risultati per definire future ed eventuali alleanze.
Oltre al calendario elettorale, avanza, con difficoltà e imprevisti, l’altro grande processo politico del presente e del futuro cileno: la Costituente. I 155 membri dell’Assemblea, eletti lo scorso maggio, si sono riuniti per la prima volta il 4 luglio nei giardini dell’antica sede del Parlamento, a pochi metri dal palazzo presidenziale de La Moneda, per dare inizio alla redazione della nuova Costituzione con un mandato di nove mesi (prorogabile per un periodo di ulteriori tre). La giornata era iniziata sotto i migliori auspici, con centinaia di manifestanti che sfilavano pacificamente per il centro di Santiago. Un’apparente serenità interrotta dall’improvvisa repressione delle forze speciali dei Carabineros, che ha spinto un gruppo di costituenti a interrompere l’insediamento della Costituente per scendere in strada a negoziare il ritiro delle forze dell’ordine dalla zona. Una volta riportata la calma e ripresa la seduta, è stata eletta come presidentessa dell’Assemblea la professoressa universitaria mapuche (la principale etnia indigena del Cile) Elisa Loncón Antileo, una decisione che, da una parte conferma la vocazione progressista della maggioranza dei costituenti e dall’altra rappresenta un passo storico altamente simbolico: una donna mapuche presiederà i lavori di modifica del testo costituzionale ereditato dalla dittatura pinochetista che, tra le altre cose, non riconosce neppure l’esistenza dei popoli indigeni sul territorio cileno. Nel suo primo discorso, la neopresidentessa, accompagnata dalla machi (figura spirituale del popolo mapuche) Francisca Linconao, ha salutato i suoi colleghi in mapudungún (la lingua mapuche) affermando che si stava avverando «il sogno dei suoi antenati» e celebrando il carattere pluralista, democratico e partecipativo dell’Assemblea. Elisa Loncón sarà affiancata dal vicepresidente Jaime Bassa, avvocato e membro fondatore dell’organizzazione Marca Tu Voto, una delle prime iniziative popolari a favore di una nuova Costituzione. Il prossimo passo sarà redigere il più velocemente possibile il regolamento dell’Assemblea. Più tempo si dedicherà al dibattito intorno al regolamento, meno ne rimarrà per discutere le questioni di fondo della nuova legge fondamentale dello Stato. Una vera e propria lotta contro il tempo che non sembrerebbe essere agevolata dal governo di Piñera. La seconda sessione della Costituente, fissata inizialmente il lunedì 5 luglio, è infatti slittata al mercoledì a causa della mancanza nelle sale dell’antico Parlamento di computer, microfoni e di una connessione internet adeguata. Uno scandalo che è costato il posto a un funzionario del governo, Francisco Encina, designato poche settimane prima con l’unico compito di organizzare la logistica e le apparecchiature della sede dell’Assemblea.
Nelle strade e nei quartieri, la mobilitazione esplosa nell’ottobre 2019, pur con minor intensità, continua. Il 6 luglio, mentre la professoressa Elisa Loncón saliva alla ribalta della cronaca per la sua nuova e importantissima carica istituzionale, a pochi chilometri dal centro città moriva, all’età di 82 anni, Luisa Vergara Toledo, madre dei fratelli Rafael e Eduardo Vergara, militanti del Movimiento de Izquierda Revolucionaria-MIR (Movimento della Sinistra Revoluzionaria), assassinati dai Carabineros nel 1985 a Villa Francia, uno dei bastioni della resistenza contro la dittatura nella città di Santiago. Pochi anni dopo, nel 1988, apparirà il corpo senza vita del terzo figlio di Luisa, Pablo Vergara, in circostanze mai chiarite. Luisa Vergara Toledo con gli anni è diventata la madrina de lxs que luchan, una referente di coloro che si ribellano e lottano per un Cile migliore. Durante i funerali, la moltitudine che accompagnava il feretro l’ha salutata per l’ultima volta cantando «Luisa, Luisa querida, lxs que luchan jamás te olvidarán» (Amata Luisa, i ribelli non ti dimenticheranno mai).
All’alba di giovedì 8 luglio, un gruppo di liceali dell’Asamblea Coordinadora De Estudiantes Secundarios-Aces, organizzazione studentesca che raggruppa i collettivi delle scuole superiori pubbliche, occupava la sede del Instituto Nacional de Derechos Humanos-INDH, situata nell’elegante quartiere capitolino di Providencia. L’Indh si dedica alla promozione e difesa dei diritti umani in Cile e, nonostante si tratti di un ente indipendente, si finanzia quasi esclusivamente grazie ai contributi statali. Gli occupanti, asserragliati da più di due settimane, hanno dichiarato di non voler abbandonare l’edificio fino a quando non verranno liberati tutti i prigionieri politici della rivolta di ottobre del 2019 e denunciano un silenzio complice dell’Instituto di fronte alla violenza sistematica delle forze dell’ordine cilene. Una violenza che, neppure ventiquattro ore dopo questa azione studentesca, è costata la vita al giovane mapuche Pablo Marchant, membro della Coordinadora Arauco-Malleco-Cam, organizzazione politica che lotta per recuperare i territori originari indigeni, occupati principalmente da imprese esportatrici di legno e prodotti ittici nel sud del Cile. Marchant è stato raggiunto da una pallottola alla testa sparata dai Carabineros durante una protesta nella patagonia cilena contro l’impresa Forestal Mininco di proprietà della famiglia Matte, una delle più ricche e influenti del paese. Il corpo del giovane, considerato un weichafe (guerriero in mapudungún) dalla sua comunità, è stato sepolto a pochi chilometri dalla città di Temuco, dopo un solenne eluwun, il tradizionale rituale funebre mapuche.
L’onda lunga della protesta generalizzata, iniziata il 18 ottobre 2019, non sembra voler retrocedere. Alla luce dei risultati delle ultime primarie si può concludere che il divorzio tra la piazza e la politica tradizionale è sempre più irreparabile. È presto per delineare possibili scenari in un contesto socio politico imprevedibile, ma l’unica speranza concreta sembrerebbe essere riposta nell’Assemblea Costituente che, attraverso un testo costituzionale progressista, includente, femminista e plurinazionale, ponga le basi per un nuovo Cile.
*Alberto Pesapane è avvocato in Argentina e studente del master in studi latinoamericani presso l’Universidad Nacional de San Martín della provincia di Buenos Aires.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.