
Citizen Sinclair
«Mank», film di David Fincher, pone la questione della paternità di «Quarto potere», il capolavoro di Orson Welles. E riporta alla ribalta la figura dello scrittore socialista Upton Sinclair e le vicende della sua «Epic Campaign»
All’inizio del 2019, quando la campagna elettorale per le presidenziali 2020 era agli esordi, la copertina di un numero di Jacobin negli Usa riprendeva, adattandola a Bernie Sanders, quella di un pamphlet del 1933 di Upton Sinclair, il prolifico giornalista e scrittore socialista americano, morto nel 1968 a novant’anni, allora in corsa per il governatorato della California contro il repubblicano in carica Frank Merriam in scadenza nel 1934.
In quel periodo Sinclair aveva al suo attivo quasi una cinquantina dei novanta libri della sua carriera, in molti dei quali aveva già ferocemente attaccato parecchie istituzioni tra cui Hollywood, stampa, banche, chiesa, matrimonio. Non aveva ancora vinto il premio Pulitzer, arrivato nel 1943 con Dragon’s Teeth sull’ascesa del nazismo, terzo libro di una saga di undici romanzi sulla storia degli Stati uniti. Qualche anno prima aveva invece scritto Oil!, riadattato nel 2007 da Paul Thomas Anderson per Il petroliere con Daniel Day-Lewis. E soprattutto, non ancora trentenne, dopo una lunga indagine sul posto lavorando anche sotto copertura come operaio, aveva scritto The Jungle, il romanzo che rivelò le terrificanti condizioni igieniche e lo sfruttamento operaio nei macelli e nell’industria della carne di Chicago, tuttora considerato uno di quei libri destinati a cambiare il corso della storia. Pubblicato nel 1906 e immediatamente tradotto in una ventina di lingue, The Jungle, che ispirò anche Santa Giovanna dei Macelli di Bertold Brecht, non sollevò solo una protesta planetaria per la lordura delle stockyards e per le porcherie di ogni genere che finivano dentro i macinati, ma indusse l’allora presidente Theodore Roosevelt a istituire la prima versione della Drug and Food Administration (qui l’intera vicenda compresi i controversi rapporti tra Sinclair e Teddy Roosevelt).
La militanza politica di Sinclair nel partito socialista di Eugene Debs e Jack London lo aveva portato anche a candidarsi a cariche pubbliche senza però riuscire a vincere. Nel 1933, in piena Grande Depressione, decise quindi di correre con il Partito democratico per avere più chance. L’entusiasmo di massa e la mobilitazione di decine di migliaia di volontari lo portarono a vincere le primarie con buone prospettive di sconfiggere il Repubblicano Frank Merriam. In quel pamphlet del 1933, che in pochissime settimane divenne il best seller della California, Upton Sinclair presentava il suo Epic Plan, in cui l’aggettivo «epic» univa al valore semantico l’acronimo di End Poverty In California. La copertina recitava:
Io, governatore della California e come ho posto fine alla povertà. Una storia vera del futuro. Questo non è solo un pamphlet. È l’inizio di una crociata. Un piano biennale per conquistare la California. Per vincere le primarie democratiche e usare un vecchio partito per un nuovo scopo. Il piano EPIC: (E)nd (P)overty (I)n (C)alifornia.
Nella copertina del citato numero di Jacobin del 2019, al disegno del volto di Sinclair si era sostituito quello di Bernie Sanders e le parole erano:
Io, presidente degli Stati uniti e come ho posto fine alla povertà. Una storia vera del futuro. Questo non è solo un numero di una rivista. È l’inizio di una crociata. Un piano ventennale per conquistare una nazione.
Le trame parallele del film Mank di David Fincher
Sorprendentemente nell’ultimo film di David Fincher Mank, nome col quale tutti a Hollywood chiamavano il critico teatrale, drammaturgo e sceneggiatore Herman Mankievicz, personalità geniale, dalla battuta arguta e tagliente sempre pronta, ma anche alcolizzato, giocatore e scommettitore incallito, la storia della Epic Campaign non costituisce solo una parte consistente ma il motore di tutta la vicenda. È la trama parallela introdotta esattamente a un terzo del film, quando le conversazioni su Upton Sinclair occupano quasi interamente la lunga sequenza di uno dei flashback che, come in Quarto Potere, caratterizzano Mank. L’unica apparizione di Upton Sinclair (l’attore Bill Nye) è posta esattamente a metà del film, a sottolinearne simbolicamente la centralità. Si tratta della scena di un suo comizio a Hollywood al quale Mank capita per caso e che Fincher lascia in disparte ad ascoltare.
Mank si rivela dunque molto più della storia con cui era stato presentato, ossia quella della stesura della sceneggiatura di Citizen Kane (Quarto Potere) da parte di Herman Mankievicz (ancora una volta un Gary Oldman da Oscar) e del conflitto con Orson Welles (Tom Burke) per la paternità di quello script. Mank alterna il presente del 1940 a flashback che coprono il decennio precedente a partire dal 1930, con particolare insistenza sugli anni ‘33-34 della Epic Campaign.
Nel 1940 un brutto incidente d’auto costrinse Herman Mankievicz a una lunga convalescenza riabilitativa a letto. Il film è costituito dai due mesi che Mank passò in un ranch californiano affittato da Welles per permettergli di scrivere la sceneggiatura a letto, indisturbato e lontano dagli occhi indiscreti della stampa. Mank, bisognoso di soldi, aveva infatti accettato di lavorare come ghost writer, lasciando dunque a Welles l’intero credito della sceneggiatura, su una storia che raccontasse la vita di un personaggio significativo di quei tempi attraverso vari punti di vista. Ciò che alla fine uscì da questo ritiro fu la prima stesura di Citizen Kane, uno dei più importanti film della storia del cinema. Rendendosi conto che quella sceneggiatura era la cosa migliore che avesse mai scritto, Mank ne rivendicò il credito, riuscendo a strappare la co-sceneggiatura e condividendo quindi con Orson Welles, seppur a distanza perché nessuno dei due partecipò alla serata degli Oscar, l’unica statuetta che il film si portò a casa nel 1942, nonostante le nove nomination ricevute.
Mank è una meraviglia estetica di bianco e nero, tagli di luce, uso di chiari e scuri, ombre, foschie e semifoschie e altri accorgimenti tecnici con cui David Fincher e il suo direttore della fotografia Erik Messerschmidt hanno omaggiato e fatto rivivere Gregg Toland, il grande innovatore nel campo della cinematografia che Orson Welles volle a tutti i costi. Inoltre, al di là dei parecchi richiami a particolari scene di Quarto Potere che vediamo nascere dalla mente di Mankievicz, ci sono riferimenti sulla complessità e aderenza alla realtà di quel film, data la forte componente meta-cinematografica di Mank.
Fincher ci ricorda insomma che lo scopo di un film come il suo è quello di avvicinarsi quanto più possibile alla realtà, anche attraverso modifiche e forzature. Nella decennale diatriba su quanto Orson Welles abbia o non abbia modificato o trasformato lo script di Mankievicz, David Fincher prende le parti del secondo, approvando la sceneggiatura scritta negli anni Novanta da suo padre Jack. Il fatto anzi che David lo accrediti come unico sceneggiatore, nonostante le variazioni che da regista vi ha sicuramente apportato, sembra essere non solo un omaggio a suo padre, scomparso nel 2003, ma un un simbolico riconoscimento a una categoria spesso sottovalutata rispetto all’autorialità del regista.
Inevitabili dunque, date le premesse, anche le innumerevoli polemiche suscitate da Mank. Eileen Jones su Jacobin critica ad esempio la rappresentazione di Herman Mankievicz come il «filo-socialista», che non era. Ma indipendentemente dalla veridicità del personaggio Mank, quel che ci interessa sottolineare è la fedeltà storica con cui i due Fincher hanno avuto il merito di riesumare da un passato dimenticato la figura di Upton Sinclair e la sua Epic Campagne, una vicenda che non solo occupa i due terzi del film ma viene anche supportata da filmati autentici degli anni Trenta.
La sequenza che introduce Upton Sinclair
L’ingresso in scena di Upton Sinclair avviene dunque a un terzo del film come argomento chiave di un flashback ambientato nel 1933. Siamo a una delle tante feste che William Randolph Hearst, il magnate dell’editoria su cui è ricalcato il personaggio di Charles Foster Kane, teneva nel suo castello di San Simeon, il modello per la Xanadu di Quarto Potere. Mezza Hollywood, più il segretario personale di F.D. Roosevelt, Rexford Tugwell, è riunita per celebrare il compleanno di Louis B. Mayer, l’onnipotente boss dittatore della Metro Goldwyn Mayer, nonché presidente del Partito repubblicano della California. Uno scambio di opinioni su Adolf Hitler dà il la al produttore David O’Selznick per introdurre l’argomento Sinclair:
O’Selznick: A proposito di socialisti che dire dell’ultimo libro di Sinclair [il pamphlet Io, Governatore della California]? Vuole consegnare l’impresa privata allo stato della California.
Al conseguente acceso dibattito prendono parte L.B. Mayer, il suo braccio destro Irving Thalberg, W.R. Hearst, Rex Tugwell, Mank e sul finire l’attrice Marion Davis, amante e convivente di Hearst:
Mayer: Quel ratto bolscevico va messo come Hitler sulla lista di quelli da non prendere sul serio.
Mank: C’è una differenza abissale tra comunismo e socialismo.
Mayer: Entrambi vogliono qualcosa per niente.
Mank: Ad esempio la manodopera gratuita?
Thalberg: Metà costi e lavoro solo temporaneo.
Hearst: Penso sia lecito supporre che nessuno qui vorrebbe un crociato socialista come salvatore della California. Certo non Roosevelt. Dico bene, Rex?
Tugwell: In via confidenziale il presidente dice che va tenuto d’occhio, specie ora che i Repubblicani sembrano intenzionati a ricandidare Frank Merriam.
Thalberg: Sinclair ha già corso due volte e cosa ha ottenuto, il 2% dei voti?
Hearst: Ma via, signori, quell’uomo è un autore.
Mank: Come lo era Thomas Jefferson.
Hearst: Andiamo Mank, Upton Sinclair come Thomas Jefferson!
Mank: Ha ragione W.R., Jefferson non ha mai fatto approvare leggi contro il monopolio del petrolio, o contro i trust ferroviari, né ha fatto riformare i macelli del bestiame.
Thalberg: È uno scriba arrabbiato, un provocatore.
Mank: Perché provoca la riflessione.
Thalberg: Sempre dalla parte degli scrittori, Mank. Povere anime che sopravvivono alla depressione con 5.000 dollari alla settimana.
Mayer: Comunisti.
Thalberg: L.B. non ha torto.
Mank: Irving, lei è un uomo di cultura. Conoscerà la differenza tra comunismo e socialismo. Nel socialismo tutti condividono la ricchezza, nel comunismo tutti condividono la povertà.
Thalberg: Grazie Signor Mankiewicz.
Mank: Upton vuole solo che lei destini parte della sua gratifica natalizia, Irving, a chi le fa le pulizie in casa.
Dopo qualche battuta scherzosa e un accenno del pianista all’Internazionale, il discorso riprende:
Mayer: Come presidente eletto del Partito repubblicano dello stato vi dico che qui non succederà niente. Le persone che contano in California non lo permetteranno. Tutte queste chiacchiere sono utili come pisciare contro vento.
Mank: Elegante metafora.
Marion: Ho sentito Papi [il nomignolo di Hearst] al telefono che aiutava il presidente a formare il suo gabinetto come quando si sceglie un cast. Loro possono fermare uno come Sinclair, non è vero Papi?
Questa scena e quella successiva, in cui Marion e Mank passeggiando da soli in giardino parlano dei motivi per cui Hearst e Mayer odino tanto Sinclair, non hanno riscontri precisi nella realtà, contrariamente a molte altre, ma tutto ciò che viene detto corrisponde a verità, così come tutto ciò che Fincher mostra sulla Epic Campaign e sulla parte avuta da Mayer e Hearst nel complotto organizzato contro di lui, senza tralasciare una sintetica ma significativa battuta, pronunciata più avanti nel film, sul ruolo avuto anche da F.D. Roosevelt nella sua sconfitta. Unica invenzione il personaggio di Shelly Metcalf, che nulla toglie però al modo in cui ha agito l’establishment, accelerando anzi e sottolineando con efficacia gli avvenimenti.
Cenni storici sulla Epic Campaign
Quando nel 1933 Upton Sinclair corse col Partito democratico per la carica di governatore della California, viveva in quello stato da una quindicina d’anni. Convinto che nonostante la Grande Depressione non ci fosse «alcuna scusa per la povertà in uno stato ricco come la California», dove si lasciavano marcire immense quantità di frutta e verdura, Sinclair mise al centro della sua proposta politica, espressa nel citato pamphlet Io Governatore della California, il concetto della «produzione per l’uso» invece della «produzione per il profitto».
L’idea si ispirava alle cooperative sorte dal 1932 in California, dopo che un disoccupato, stanco di cercare lavoro invano, aveva offerto la sua manodopera a un agricoltore senza più soldi per pagare i lavoranti, in cambio di cibo per la sua famiglia. Il passaparola diede presto vita a oltre 150 cooperative, in cui ciascun adulto metteva a disposizione di tutti le proprie competenze. Si erano così formate delle comunità autosufficienti di uomini, donne, bambini e anziani, che spesso sorgevano su terreni abbandonati. Il regista King Vidor ne diede una versione idilliaca e romanzata nel 1934 in Our Daily Bread, un film che lui stesso produsse e alla cui sceneggiatura collaborò anche Joseph Mankievicz.
L’Epic Plan di Sinclair prevedeva però un progetto più strutturato, secondo il quale lo stato della California avrebbe dovuto confiscare le fabbriche e le aziende agricole rimaste vuote e inutilizzate per darle in gestione ai lavoratori disoccupati, sostituendo dunque al sistema della production for profit quello della production for use. Il piano si estendeva anche all’industria cinematografica dove, a parte i colossi, molti studi minori avevano chiuso i battenti.
L’appoggio popolare senza precedenti riscosso da Sinclair e le crescenti preoccupazioni per gli scioperi che nel 1934 dilagarono in tutta la nazione, con l’apice a San Francisco dove tutte le attività restarono ferme per due mesi e dove ci furono sanguinosi scontri tra polizia e manifestanti, cominciarono a generare terrore non solo tra i Repubblicani ma anche nell’establishment Democratico. A un pranzo delle major Hollywoodiane che sostenevano il Partito democratico, come la Warner, il presidente del Comitato Nazionale Democratico si appellò direttamente a F.D. Roosevelt affinché impedisse la nomina di Sinclair. Ma il presidente non si pronunciò, mentre dal canto suo Sinclair scelse come suo vice un democratico più tradizionale.
Il giorno delle primarie 350.000 nuovi elettori democratici portati alle urne dalla Epic Campaign permisero al partito democratico di superare per la prima volta in 35 anni il numero dei votanti Repubblicani. Sinclair, che ottenne più voti degli altri candidati messi insieme, dichiarò che, se eletto governatore, la California avrebbe aderito in toto al New Deal.
Sinclair vinse le primarie e la sua nomina segnò l’inizio di una intensa propaganda contro di lui, orchestrata e diretta da Louis B. Meyer, con il sostegno di tutti gli studi Repubblicani, e da W.R. Hearst, nonostante in quel periodo fosse ancora un sostenitore di F.D. Roosevelt, entrato in carica solo all’inizio del 1933. Hearst aveva un conto personale aperto con Sinclair che nel 1919 lo aveva attaccato in The Brass Check: A Study of American Journalism, per la distorsione dei fatti in favore del sensazionalismo e per il continuo attacco ai socialisti.
Contro Sinclair si schierarono naturalmente anche gli altri principali interessi finanziari e istituzioni della California quali grosse industrie, compagnie immobiliari, agenzie pubblicitarie, chiesa e anche la stampa che non apparteneva a Hearst.
Enormi cartelloni pubblicitari e manifesti sul pericolo rappresentato da Sinclair vennero affissi ovunque, false interviste vennero passate nei programmi radiofonici e nei cinegiornali della Mgm. Si puntava sulla paura della «bolscevizzazione della California» e dell’invasione dei disoccupati di tutta la nazione. Uomini sandwich vestiti da straccioni con cartelli pro-Sinclair vennero assunti per circolare nelle strade. Tra i tanti falsi prodotti da L.B. Mayer e spacciati come documenti autentici nei cinegiornali, un treno merci affollato di attori nei panni di vagabondi in viaggio verso la California ad aspettare l’entrata in vigore dell’Epic Plan.
Il risultato fu che i Democratici tradizionali si spaventarono sempre più all’idea di Sinclair governatore, nonostante nell’ultima convention pre-elettorale lo stesso Sinclair avesse tolto dal suo Epic Plan alcuni dei punti ritenuti più radicali.
Quanto a Sinclair, erroneamente convinto di aver avuto l’implicito sostegno di F.D. Roosevelt durante una visita nella sua residenza di New York, telegrafò al presidente pochi giorni prima del discorso radiofonico alla nazione in programma per il 22 ottobre, ricordandogli un patto che in effetti non c’era mai stato. Quella sera, incollati alla radio, Sinclair e i militanti della Epic Campaign attesero invano l’endorsement di Roosevelt, che non fece il benché minimo accenno alla situazione californiana.
Interesse principale di Roosevelt era l’attuazione del suo New Deal, col quale voleva garantire agli americani un piano di protezione sociale nazionale su sanità, lavoro e vecchiaia. Il fatto che i Repubblicani lo facessero passare come un piano «socialista», puntando anche sull’uso del termine «social» contenuto nella descrizione, e che imputassero a Roosevelt le colpe degli scioperi per aver varato provvedimenti che legittimvano le riunioni sindacali (preliminari, nella loro propaganda, a una pericolosa guerra civile messa in atto dai lavoratori) portarono Roosevelt a valutare attentamente l’opportunità di un sostegno a Sinclair. Essendo l’elezione per il governatore californiano concomitante con le elezioni di medio termine, Roosevelt non poteva permettersi di perdere neanche un seggio in Congresso, anzi doveva cercare di aumentare il numero di deputati e senatori Democratici. E comunque Roosevelt, pur reclamando un diretto intervento dello stato nelle politiche sociali, non aveva intenzione di sovvertire il sistema capitalistico e non voleva pertanto essere associato a Sinclair.
Le cose precipitarono quando, a cinque giorni dalle elezioni, Roosevelt mandò da Sinclair un emissario, J.F.T. O’Connor, che gli chiese addirittura di ritirarsi dalla campagna e di convincere i suoi a votare per il candidato del Partito progressista Raymond Haight, in modo che la coalizione potesse sconfiggere Merriam, salito nei sondaggi. Sinclair si rifiutò categoricamente.
Il giorno seguente O’Connor, a colloquio con Merriam, stipulò con lui un patto: il governatore Repubblicano avrebbe avuto il sostegno del Partito democratico per la sua rielezione, in cambio Merriam avrebbe dichiarato una vittoria bipartisan e annunciato il suo appoggio al New Deal.
Fino all’ultimo giorno gli attivisti della Epic Campaign combatterono strenuamente, Sinclair parlava alla radio tutti i giorni e nel suo appello alla vigilia delle elezioni disse:
La questione centrale della campagna ora è questa: riusciranno a ingannarvi con le loro bugie per farvi votare nei loro interessi invece che nei vostri? La decisione sta a voi.
I dieci milioni di dollari spesi in propaganda anti-Sinclair e la decisione finale di Roosevelt ebbero la meglio e Merriam vinse con 1.138.620 voti contro il comunque astronomico numero dei 879.537 voti ottenuti da Sinclair con pochi soldi e tantissimo impegno civile.
Dopo la sconfitta Sinclair tornò alla sua attività di scrittore, senza abbandonare mai però le lotte per le cause in cui credeva. In compenso quelle elezioni di medio termine non solo portarono 27 candidati della Epic Campaign nel congresso della California, ma diedero una forte spinta al Partito democratico, che quattro anni dopo avrebbe rimpiazzato i Repubblicani nominando governatore il vice scelto da Sinclair. Ma soprattutto, dopo la vittoria nazionale del Partito democratico, che ottenne il 77% di camera e senato, il Congresso inserì alcune delle proposte di Sinclair nel New Deal di Roosevelt.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale ha seguito per tre anni la Political Revolution di Bernie Sanders.
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