
Come cambia la camorra dentro la gentrificazione
Mentre Napoli negli ultimi anni diveniva la città italiana con il maggior aumento di turismo, le organizzazioni criminali modificavano i propri luoghi e mezzi di profitto. E la repressione non è bastata, e non basterà, a sgominare i clan
Le diverse bombe esplose in Campania, otto ad Afragola in venti giorni, e gli atti intimidatori nel centro storico di Napoli hanno messo sotto i riflettori gli interessi criminali delle camorre, sollevando il velo sul nuovo rapporto con la turistificazione del centro storico. È evidente che ad accendere i riflettori nazionali sia stata la bomba carta esplosa davanti l’ingresso della Pizzeria di Gino Sorbillo, su una delle principali e frequentate vie delle città. È presto per dire quale sarà l’esito delle indagini degli inquirenti, ma sta di fatto che è stato un segnale allarmante: come se fosse esplosa una bomba a via Montenapoleone a Milano o su via dei Fori Imperiali a Roma. Tant’è che il procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho ha parlato di «una camorra terroristica». Al di là della cronaca giudiziaria, è interessante indagare dal punto di vista sociale quello che sta succedendo nel centro storico della città; interessante perché ci aiuta a leggere, in chiave contemporanea, gli interessi criminali e la natura stessa del fenomeno camorristico.
Alcuni elementi di contesto
Sono diversi gli atti intimidatori rivolti agli esercizi commerciali e le “stese” tra clan in aperta rivalità che si intrecciano per le strade del centro storico. Napoli in questi anni ha avuto un’enorme esplosione dal punto di vista dell’incremento del turismo. La città si è lasciata alle spalle le immagini dei cumuli di rifiuti fino al secondo piano dei condomini. Superare l’emergenza rifiuti è stato il primo vero elemento che ha dato l’occasione di far splendere l’enorme patrimonio artistico e culturale, di esaltare la bellezza dei vicoli, l’accoglienza delle persone, la qualità dei propri prodotti a tavola. In particolare il centro storico è diventato un luogo sempre più sicuro. E pensare che fino agli anni Novanta era teatro di faide di camorra, luogo in cui la sera c’era clima da coprifuoco: come nel caso delle faide tra i clan Mariano e Di Biasi e tra lo stesso clan Mariano e un gruppo interno di scissionisti capeggiato dai boss Salvatore “Beckenbauer” e Antonio “Polifemo”.
I quartieri spagnoli, ma anche il centro storico, sono luoghi dove difficilmente si avvertiva una condizione di serenità e tranquillità. La rigenerazione inizia negli anni Novanta con le prime opere di riqualificazione e con un deciso cambiamento degli equilibri di potere dei clan della camorra in Campania (inizia lo strapotere dei casalesi nel casertano e dell’alleanza di Secondigliano nella città di Napoli) e dell’organizzazione degli interessi criminali della città che si sposteranno verso l’area nord ed est. Il centro storico diventa luogo di residenza degli studenti universitari che iniziano a popolare i vicoli della città e a cambiarne volto e vitalità. In questo contesto alcuni clan come i Lo Russo, Iorio e Ragosta iniziano già a investire negli esercizi commerciali del centro, soprattutto su ristorazione e street food. Il processo di riqualificazione ancora però non è completo quando la città viene colpita dalla vicenda dell’emergenza dei rifiuti, causata dagli interessi delle ecomafie e degli intrecci politici e imprenditoriali in Campania, all’inizio del nuovo millennio. È una scia e una crisi lunga che precipita sulla città e che dura otto anni. Napoli, mentre altri capoluoghi italiani del nord scoprono il turismo come ulteriore motore economico a seguito della de-industrializzazione, diventa “città di passaggio” per i turisti di tutto il mondo: luogo da attraversare senza sostare. Napoli è il porto di attracco, la città di transito per raggiungere Pompei, la costiera amalfitana e sorrentina, le isole di Capri e Ischia. Inoltre mentre i processi di gentrificazione in Europa fanno dell’espulsione dei ceti popolari dal centro storico delle città turistiche uno degli aspetti drammatici che cambia il volto dei centri, sostituendoli con modelli di città-vetrina, a Napoli resiste una città meticcia che non effettua mai davvero questa transizione. Il tessuto popolare e l’afflusso turistico sono così destinati a convivere.
La turistificazione e le camorre
Napoli negli ultimi otto anni ha cambiato volto, diventando un luogo dove fermarsi e godere di un centro storico in cui è possibile incrociare l’artigianato locale (a partire dall’arte presepiale), una ristorazione di qualità e a prezzi contenuti, un altissimo patrimonio artistico e culturale e una straordinaria vitalità. Napoli è la città con il più alto incremento di turisti in Italia tra il 2010 e il 2018. In particolare con il 91% in più di turisti è la seconda città d’arte d’Italia. Parliamo di cifre da capogiro: supera addirittura Roma con l’88% delle stanze prenotate nei periodi di alta stagione. Parliamo di una città invasa dai turisti 365 giorni all’anno: nel periodo natalizio è persino complicato passeggiare per le vie del centro, tale il traffico di persone che attraversano i decumani principali e i vicoli circostanti. Inizia in gran ritardo, e in forma per molti aspetti diversi dalle altre città europee, il processo di turistificazione del centro città. I “bassi” – luoghi popolari dell’abitare partenopeo – si vanno trasformando in b&b caratteristici per turisti; piccoli negozi di artigiani e piccoli commercianti vengono sostituiti da esercizi commerciali basati sullo street food. È un giro di affari da paura: la svendita degli appartamenti più popolari comprati a bassi prezzi e trasformati in appartamenti per turisti evitando di pagare le tasse – grazie a piattaforme come airb&b – la moltiplicazione di locali commerciali che aprono, chiudono e si trasformano per produrre street food lungo tutte le vie del centro; l’apertura di nuovi ristoranti e di negozi che vendono gadgets della città.
In questo contesto è impensabile che le camorre si concentrino semplicemente nell’attività di spaccio di droga. La camorra sta dentro le logiche dell’economia liberista e aggredisce ogni tipo di mercato: ciò che si guadagna con la droga si reinveste, e si moltiplica, in attività funzionali anche a “lavare” il denaro sporco degli affari criminali. Impensabile che se i clan hanno gestito in questi anni importanti locali al centro di Roma (vedi il caso della catena “Pizza Ciro”) o di Milano (vedi il caso di Donna Sophia dal 1931) o in altre città europee (Germania, Francia ed Inghilterra) aprendo catene di prodotti in tutto il mondo, non facciano lo stesso anche al centro di Napoli: tramite il racket, l’usura, gli investimenti privati. È ancora assai complicato tracciare gli affari e gli interessi criminali. Il turismo è un’economia irrefrenabile e velocissima in questi anni a Napoli. Senza una vera governance diventa difficile intercettare gli interessi e gli affari criminali. Il fatto che le denunce siano poche, a differenza di diversi anni fa, non vuol dire necessariamente che i clan abbiano disinvestito dalle attività di estorsione. Può darsi che i commercianti usciti dalla crisi commerciale del passato che porta spesso alla disperazione e successivamente alla denuncia, abbiano condizioni economiche vantaggiose e quindi valutino di quietare la violenza criminale.
Quale modello criminale dentro la gentrificazione
Se le mafie sono questo, cioè organizzazioni criminali che hanno come finalità l’accumulazione di profitti e di potere attraverso l’uso della violenza e della corruzione, non possiamo non pensare che dietro questa nuova economia generata dal turismo di massa non si possano nascondere interessi e pericoli che rischiano di mettere a dura prova la città di Napoli. Il turismo non è una voce irrilevante, una trasformazione da poco: ha cambiato l’economia intera di Napoli. Una città che per lungo tempo si è retta sulla produzione industriale nei quartieri a ovest (Bagnoli) e a est (San Giovanni e Ponticelli), pagando un enorme prezzo dal punto di vista dall’urbanizzazione scellerata e dell’inquinamento del territorio, con la de-industrializzazione ha visto cambiare le zone di radicamento delle camorre: negli anni Ottanta la povertà e l’assenza di una riqualificazione del centro storico erano luogo fertile per una camorra basata su estorsione e contrabbando di sigarette, mentre la presenza dell’industria e la forza e la cultura della classe operaia è stata un forte anticorpo nei quartieri periferici e industriali, a eccezion fatta di San Giovanni a Teduccio dove la presenza del porto favorì il predominio dei Mazzarella e Michele Zaza nel contrabbando. Le parti poi si sono invertite perché i luoghi di produzione della ricchezza della città si sono spostati: le periferie ex industriali senza lavoro, servizi e qualità della vita sono diventate il luogo naturale di una camorra che a Napoli fa del traffico della droga uno strumento fondamentale per consentire a clan sempre più pulviscolari di mantenere potere e ricchezza nei quartieri, mentre il centro storico riqualificato e pacificato ha visto in questi anni un forte indebolimento criminale, anche grazie all’azione giudiziaria e repressiva che ha indebolito alcuni storici clan come i Giuliano, i Contini e Mazzarella.
Tuttavia la repressione non è sufficiente a sgominare la capacità di autogenerarsi di un fenomeno criminale come la camorra. Ed ecco che oggi tornano pericolose, più giovani e più violente “paranze” di camorra in maniera prepotente per le vie del centro storico. Sono pulviscolari e in continua conflittualità tra di loro: nuove paranze contro storiche famiglie criminali del territorio; nuove scissioni e nuove affiliazioni criminali. C’è un’infinita ricchezza da dividere prodotta dalla straordinaria vivacità di Napoli, dalle sue mille energie ed eccellenze. Anche questa volta non basterà intervenire semplicemente con la repressione. Serve trovare il modo di inchiestare in profondità il rapporto tra economia del turismo e camorra, consentendo l’emersione delle nuove ricchezze, la regolamentazione dei flussi turistici, ma soprattutto l’equa redistribuzione dei profitti.
Il turismo ha la bella faccia delle strade piane e della felicità che attraversa la città, ma la medaglia ha un’altra terribile faccia: giovani pagati a nero a lavorare in locali che fatturano migliaia di euro al giorno, espulsione dei cittadini e dei giovani dal centro città, concentrazione del potere immobiliare nella mani di pochi gestori turistici. La medaglia ha due facce: o una straordinaria occasione di uguaglianza, trasparenza e innovazione o una macchina diseguale e corruttibile, destinata ad alimentare violenze, paure e camorre. Testa o croce? Non lasciamo il lancio della moneta al caso questa volta.
*Mariano Di Palma è coordinatore della segreteria di Libera in Campania.
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