Comunità giacobina
26 lezioni, 3 assemblee plenarie, 2 spettacoli teatrali, 31 relatori e relatrici e 200 partecipanti. Il racconto della terza edizione della Scuola giacobina
Fare comunità, creare nuovi luoghi di riferimento per ricostruire idee alternative a quelle dominanti, sperimentare «utopie concrete» da portare avanti con continuità nei propri territori, università o luoghi di lavoro.
Sono questi i concetti ripetuti in varie forme nella bella ed entusiasta assemblea conclusiva della terza edizione della Scuola Giacobina, al termine di tre giorni in cui si sono susseguite 26 lezioni, 3 assemblee plenarie e 2 spettacoli teatrali, con discussioni ricche e stimolanti tra 31 relatori e relatrici e circa 200 iscritte e iscritti, tra in presenza e online, con in più il centro sociale Bread&Roses che ha seguito collettivamente le lezioni a distanza dal proprio spazio barese.
Una scuola partecipata da persone in quasi perfetto equilibrio di genere ma con una leggera prevalenza di donne (54%), con il 67% degli iscritti con età inferiore ai 35 anni, una provenienza geografica variegata (con anche alcuni provenienti dall’estero) ma maggiormente concentrata nel centro-nord, una rappresentanza prevalente del mondo universitario (il 28% erano studenti e il 14% ricercatori universitari) ma con anche tanti impiegati (29%) e insegnanti (9%).
Una persona su cinque tra le presenti ha dichiarato di non aver avuto nessun impegno politico attivo da almeno tre anni, il resto ha avuto esperienze di attivismo plurali: solo il 14% dei partecipanti è stato iscritto negli ultimi tre anni a un partito politico, e solo l’8% ha aderito a un sindacato, mentre la maggior parte in questo stesso periodo è stata impegnata nell’ordine in centri sociali, reti studentesche, esperienze mutualistiche, associazioni di volontariato, movimenti ambientalisti, collettivi femministi e antirazzisti.
Le lezioni più partecipate delineano i temi percepiti come più urgenti sul piano politico e teorico: la lezione di Armanda Cetrulo sull’impatto dell’Intelligenza artificiale sul mercato del lavoro; l’analisi del discorso della destra neofascista al potere di Luca Casarotti; il racconto della lunga e drammatica storia della resistenza palestinese di Chiara Cruciati; la ricerca della convergenza tra lotte ambientaliste e di classe e tra ecosocialismo e teorie della decrescita con le lezioni tenute rispettivamente da Emanuele Leonardi e Riccardo Mastini. Ma partecipate e ricchissime di domande sono state ad esempio anche la lezione sui Grundrisse di Karl Marx, quella su guerre culturali e neoliberismo, quella sulla storia dei Consigli di fabbrica tracciata da Dario Salvetti e lo studio sulle rappresentazioni della working class nelle serie Tv fatto da Selene Pascarella.
La composizione è stata plurale anche rispetto alle motivazioni da cui è scaturita la stessa partecipazione: ci sono stati militanti di collettivi studenteschi che – dopo le mobilitazioni contro la guerra che hanno attraversato gli atenei negli scorsi mesi – hanno seguito con continuità tutto il filone di lezioni dedicato all’università e partecipato alla presentazione del venerdì sera dell’ultimo numero di Jacobin Italia, proprio per rilanciare con più forza la mobilitazione; attiviste transfemministe che hanno riempito le lezioni sull’intersezione tra violenza di genere, pratiche inclusive ed esclusione di classe; ma anche lavoratrici e lavoratori di cooperative ed esperienze mutualistiche in cerca di formazione politica utile al proprio stesso lavoro quotidiano e che hanno seguito con attenzione sia le lezioni storiche, come quella sull’autogestione operaia tenuta da Salvatore Cannavò, che la lezione di Leonard Mazzone più legata all’attualità delle pratiche di autoproduzione delle «imprese recuperate», in cui è stato illustrato anche il piano di reindustrializzazione della ex Gkn.
Proprio al sostegno della lotta del Collettivo di fabbrica di Campi Bisenzio è stata dedicata la serata del venerdì con il Working class beer Fest: un evento aperto anche ai non iscritti alla Scuola che è stato partecipato da alcune centinaia di persone venute ad ascoltare il reading degli operai già sperimentato durante il Festival di letteratura working class e poi a degustare la prima birra della working class italiana, prodotta dal Collettivo di fabbrica della Gkn insieme all’Associazione Fuorimercato (presente con le proprie autoproduzioni) e ad Arci, a sostegno della cassa di mutuo soccorso. È stata in fondo una prima risposta alla ricerca di modi concreti per dar vita a percorsi continuativi di autogestione, solidarietà e conflitto.
Significativo ed emozionante è stato anche portare il sabato sera a Casa Caciolle, luogo dove si è svolta la Scuola e che soprattutto dal 2008 ospita persone detenute in pene alternative al carcere, lo spettacolo della punkastorie Filo Sottile Far finta di essere fuori: una «requisitoria cantata» sul nostro presente securitario – reso ancora più inquietante dal Disegno di legge sulla sicurezza del governo Meloni – e sulle condizioni di vita delle persone detenute, con in mente una concretissima utopia: abolire il carcere è possibile ed è giusto.
Per tre giorni abbiamo respirato e cospirato insieme confermando, come nelle scorse edizioni della Scuola, che l’idea dell’apprendistato giacobino coglie un bisogno di approfondimento politico che esiste tra le nuove generazioni e non solo, pur se trova a sinistra pochi luoghi credibili. Molte e molti sono andati via con il rammarico di voler discutere ancora e conoscere meglio le esperienze politiche e di vita delle persone con cui hanno condiviso questi tre giorni. Altri con la richiesta esplicita di provare a dare una risposta collettiva al vuoto di politica alternativa del nostro paese, e di trovare esperienze in cui poter incanalare le energie venute fuori questo fine settimana. Ci siamo lasciati con l’impegno di dare continuità alla Scuola anche oltre l’appuntamento nazionale annuale: dove possibile con esperienze locali simili, sul modello della Scuola Utopie reali di Roma, oppure con la costruzione di circoli di lettura cittadini attraverso cui discutere e fare iniziativa intorno ai temi proposti trimestralmente da Jacobin Italia.
Intanto da questa settimana si aggira per il paese, con tanto di braccialetto al polso, qualche centinaio di giacobine e giacobini in più, con idee ed energie utili per «ghigliottinare» il pensiero dominante e tornare a pronunciare in modo credibile la parola «rivoluzione».
*Giulio Calella, cofondatore e presidente della cooperativa Edizioni Alegre, è editor di Jacobin Italia.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.