Con la pancia piena di rabbia e dignità
Dopo il corteo del 18 maggio e l'accampata per il diritto al lavoro e il progetto di intervento pubblico, i lavoratori della ex Gkn entrano in sciopero della fame: comincia la «settimana dell’imbarazzo» per chi finora ha perso solo tempo
Sarebbero bastati 3.600 secondi per leggere la proposta di legge regionale scritta dal Collettivo di fabbrica e dal gruppo di solidali che lo ha affiancato per creare un consorzio pubblico, mettere a disposizione lo stabilimento del progetto industriale della cooperativa Gff e di tutte le altre realtà associative e imprenditoriali che da tempo ci hanno manifestato il loro interesse a entrare da protagonisti nel condominio industriale.
Evidentemente 60 minuti sono troppi per chi ha – o dovrebbe avere – la responsabilità istituzionale di dar seguito a questo tipo di intervento pubblico: non aveva avuto tempo di inviare il testo agli uffici tecnici un mese e mezzo prima del corteo del 18 maggio, quando lo aveva ricevuto via mail. Non ha saputo trovarlo da quando, il 18 maggio scorso, sono state piantate le tende sotto il palazzo della Regione per chiedere l’approvazione della legge regionale.
Forse certi rappresentanti hanno introiettato a tal punto la presunzione di impotenza istituzionale da credere sinceramente di non poter far nulla. Forse, più semplicemente, stanno solo prendendo in giro i lavoratori e le lavoratrici dell’ex Gkn, dimostrando di non aver tempo per loro, essendo troppo occupati a parlare di lavoro, dignità e diritti in questa campagna elettorale.
Di certo sappiamo che ogni secondo, ogni minuto, ogni ora e ogni giorno di questo nostro tempo non ha la stessa durata per chi prende tempo e dispensa alibi e per chi, pur senza stipendio da cinque mesi, ha scritto una legge regionale al posto di chi è pagato per farlo.
Col tempo hanno giocato, da quasi tre anni a questa parte. Da quel famoso 9 luglio 2021 a oggi. Tre anni di lotta, di assemblea permanente, di tavoli chiesti al ministero dell’industria (Mimit) e mai convocati, di altri tavoli convocati, rinviati e puntualmente disertati da un’azienda che non ha mai presentato un progetto industriale degno di questo nome, che ha unilateralmente smesso di pagare gli stipendi dovuti e minacciato nuovi licenziamenti, mentre il governo «dell’interesse nazionale» restava a guardare.
Tutto questo tempo non è trascorso invano, perché nel frattempo innumerevoli riunioni sono state organizzate per scrivere, aggiornare e dettagliare un progetto industriale sostenibile da un punto di vista economico, sociale ed ecologico per ridare un futuro a quella fabbrica, all’insegna della produzione, montaggio e recupero di pannelli fotovoltaici e della produzione di cargo-bike. Due festival di letteratura Working class hanno restituito la parola ai protagonisti di questa storia, dando voce a questa e a molte altre lotte per un lavoro degno.
Noi che al posto di chi domina il tempo e le vite altrui non ci sappiamo stare, abbiamo fatto tutto questo al posto loro. Dentro questo noi non c’è solo il presente e il futuro di quella fabbrica di Campi Bisenzio: ci sono centinaia di solidali d’Italia e di tutta Europa che in questa storia hanno letto la possibilità concreta di lottare anche per la propria dignità e per quella dei loro figli. Ci sono migliaia di persone che hanno firmato in favore del progetto di una fabbrica pubblica e socialmente integrata col territorio. Ci sono le decine di migliaia di persone che hanno partecipato ai cortei convocati a Firenze per difendere il futuro di una fabbrica. Numeri che contano o, perlomeno, dovrebbero contare, soprattutto in tempo di elezioni.
Tutto ciò non è servito. Ma quella che potrebbe sembrare l’amara ammissione di una sconfitta segna ora l’inizio di una nuova fase di questa storia. Questa volta, sarà chi ha preso tempo per farlo perdere a questi lavoratori e a queste lavoratrici a dare un altro peso al ticchettio degli orologi, a meno di una settimana dalle elezioni europee. Ancora una volta, saranno i corpi di chi ha impedito la delocalizzazione dell’ex Gkn e sta evitando il rischio di derive speculative sullo stabilimento a parlare.
Dopo oltre cinque mesi di stipendi non pagati, il ricatto della fame è ufficialmente fallito: da oggi un gruppo di lavoratori ha iniziato uno sciopero della fame a oltranza per chiedere l’immediato «commissariamento di QF» (l’attuale proprietà dell’ex Gkn) al governo, l’«erogazione istantanea degli stipendi non versati» negli ultimi cinque mesi e «l’approvazione della legge regionale» che restituirebbe dignità e futuro a questa fabbrica, al suo territorio e alla famiglia allargata delle migliaia di persone che non hanno mai smesso di abbracciarla. Non è un gesto disperato di chi cerca attenzione o, peggio, commiserazione. Chi lo compie è perfettamente consapevole dei rischi connessi ed è lucidamente determinato a ribadire, ancora una volta, che questa storia durerà «fino a che ce ne sarà»: i soli a decidere se e quando finirà saranno, ancora una volta i lavoratori e le lavoratrici.
Ora che il tempo delle vane attese è scaduto ed è iniziata la «settimana dell’imbarazzo», a ciascuno e ciascuna di noi il lusso di decidere da che parte stare e di provare a incidere, nel proprio piccolo, da soli o insieme, su come debba andare a finire questa storia.
*Leonard Mazzone è ricercatore di Filosofia sociale e politica all’Università di Firenze. È autore, insieme a Romolo Calcagno, del libro Le imprese recuperate in Italia (Castelvecchi 2022) e socio-fondatore di Comunet-Officine Corsare e del Collettivo di ricerca sociale che da anni lavora al progetto della Rete italiana delle imprese recuperate.
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