Contro la politica del male minore
Nel corso della conferenza Socialism 2024, a Chicago, la sinistra fa un bilancio dell'azione di Sanders e Ocasio Cortez. E si interroga sull’utilità del voto contro Trump: «II lesser evilism è una delle cause che soffocano l’immaginazione politica»
Dal 31 agosto al 2 settembre a Chicago si è svolto Socialism 2024, un evento che la Windy City ospita annualmente e che quest’anno è stato connotato non solo dalla guerra in Palestina, tema presente in tutti gli incontri, ma anche dalla quasi concomitanza con la Convention Nazionale Democratica, conclusasi una settimana prima e svoltasi in un tripudio di festa per la rinuncia di Biden e la nomina di Kamala Harris.
Svuotata dai delegati Democratici, ma anche dalle migliaia di manifestanti che al di là delle recinzioni della zona dell’United Center hanno pianto e urlato la cruda realtà del genocidio palestinese condotto con la complicità statunitense, Chicago ha visto affluire decine di relatori e circa 2.300 partecipanti, un record mai registrato prima.
Tra le conferenze più interessanti, The Genocidal Returns of Lesser Evilism: The US Elections and Left Strategism organizzata dal collettivo socialista rivoluzionario Tempest Collective e condotta da tre dei suoi attivisti e autori: Brian Bean, Kristen Godfrey e Natalia Tylim, che al termine dell’evento hanno anche risposto alle nostre domande.
Il panel ha riproposto l’annosa questione della scelta elettorale del «male minore» e l’ha fatto in chiave umanamente comprensiva verso i singoli individui che «in un sistema dove non sanno dove andare» voteranno Harris «per la paura di Trump e della violenza del suo partito populista di razzisti sessisti xenofobi». Ma politicamente è stato molto critico verso realtà strutturali della sinistra quali «leader politici, burocrati dei sindacati, portavoce del complesso industriale non profit», che «scelgono di spendere le nostre risorse collettive, tempo ed energia per sostenere un male», invece di destinare quelle risorse al reclutamento e all’organizzazione delle «decine di migliaia di persone che nel breve e medio termine si possono aprire a un’alternativa, data la profondità della crisi politico-sociale e la catastrofe imperialista che stiamo vivendo».
Come Tylim ha sottolineato, «piaccia o no, le elezioni nazionali permettono la comprensione della politica e sono il filtro attraverso il quale la maggior parte della gente comprende la propria situazione attuale». A volte ciò comporta la necessità di un voto, altre invece «porta all’apatia e alla rassegnazione che il mondo fa schifo e non cambierà mai».
E se da una parte è vero che dopo «il massimo picco socialista del 21°secolo tra il 2012 e il 2016», da Occupy Wall Street alla «political revolution» di Bernie Sanders, la sinistra si è progressivamente frantumata al punto da diventare pressoché inesistente, dall’altra è anche vero che come conseguenza dell’attuale situazione israelo-palestinese «esiste oggi una generazione che sta imparando la lezione di che cos’è l’imperialismo americano e di che cosa è capace».
La struttura costituzionale degli Stati uniti è sempre stata incentrata sulla difesa della minoranza e della regola del capitale – spiega Tylim – Al tempo della fondazione degli Stati uniti ciò significava ovviamente la regola dello schiavismo. Persino dopo la guerra civile, nonostante la lotta monumentale che ha trasformato aspetti dell’ordine politico – prosegue – gli elementi centrali di quel sistema sono rimasti gli stessi. È un sistema che richiede centinaia di milioni di dollari solo per prendere parte alla politica elettorale, costo imprescindibile per entrare nel gioco di un sistema volutamente costruito per restringere il reame del possibile, come abbiamo chiaramente visto alla Convention la settimana scorsa con la celebrazione di law and order, sionismo, militarismo statunitense e cosiddetta border security.
Il dannoso impatto, ha approfondito Brian Bean, che il lesser evilism propagandato da tanta parte del mondo progressista esercita «su working class, poveri, oppressi, giovani radicali» è «una delle principali cause della debolezza della sinistra» perché «soffoca l’immaginazione politica, abbassa l’orizzonte politico di quello che è possibile e sopprime metodicamente l’idea che possiamo batterci per quello che vogliamo». E a nulla vale l’opinione secondo cui si possa agire su due fronti: sostenere e spingere le persone a votare per un partito e contemporaneamente «criticare la natura antidemocratica di uno Stato concepito per istituire la regola della minoranza a favore della classe capitalista»; affermare che Harris è «movable» e aperta al cambiamento e «nello stesso tempo rubare alla gente il tipo di lotta antagonista necessaria per combattere il partito di genocidio, guerra, incarcerazione di massa, e poliziotti razzisti dal grilletto facile». Un tale atteggiamento riporta la lotta nella «stanza dei negoziati e dei minuscoli cambiamenti politici e afferma che i nostri nemici sono i nostri amici».
Molto criticata anche in questo contesto, oltre che su molti media indipendenti di sinistra, è stata Alexandria Ocasio Cortez: la trasformazione da guerrigliera a deputata mainstream del Partito democratico cui devolve enormi cifre di denaro che potrebbero essere spese altrimenti; l’aver mentito alla Convention dicendo che «Kamala Harris lavora indefessamente per un cessate il fuoco»; l’essere passata da paladina ufficiale del Green New Deal – quando nel 2018 occupò l’ufficio di Nancy Pelosi insieme al Sunrise Movement – all’approvazione dell’Inflation Reduction Act (Ira), «un piano per il suicidio dell’ambiente» che, ha detto Bean, a fronte di «una minuscola frazione di quello che servirebbe per affrontare l’emergenza climatica, si basa su soluzioni di mercato nel settore privato, tecnologie non documentate di estrazione del carbone, massicci esborsi all’industria fossile e cessione di migliaia di acri di suolo pubblico».
Come per l’ambiente anche per l’immigrazione Bean ha affermato che «non è neppure chiaro se Biden sia stato davvero il male minore», considerando ad esempio che «Trump ha espulso due milioni di migranti nei suoi quattro anni di mandato e Biden ne ha espulsi 2 milioni e 800mila nei suoi primi due anni», senza contare che Biden ha «firmato un ordine esecutivo per continuare la costruzione del muro [di Trump], una posizione che Harris ha promesso di continuare».
Definire il Partito democratico il male minore significa dunque scagionare «la nostra classe di governo, il gruppo sociale più spietato, violento, egoista mai conosciuto sulla faccia della terra» e soprattuto avvalorare nella contingenza attuale «la nozione stessa che il sostegno al genocidio sia un male minore dovrebbe rendere l’intera equazione una totale assurdità».
È indispensabile dunque approfittare del risveglio delle coscienze creato dalla tragica situazione palestinese per far appello a tutte le forze di sinistra affinché agiscano in sinergia nella formazione di un movimento che parta dal basso e che sappia resistere al «canto della sirena del male minore».
Nel rispondere alle nostre domande Natalia Tylin ha alla fine avuto accenni «sandersiani»
Parecchi argomenti trattati in questa conferenza mi hanno riportato alle riunioni improvvisate all’esterno della Convention Nazionale di Filadelfia del luglio 2016, che riunivano sia vari gruppi di attivisti, molti nati dall’entusiasmo per Bernie Sanders, sia persone comuni per cui magari il primo gesto di attivismo era stato proprio trovarsi lì per sostenere Bernie contro Hillary. Si parlava di male minore, della necessità di organizzarsi, di agire capillarmente e di tessere contestualmente reti di relazioni per organizzare un movimento dal basso ampio e in grado di conseguire risultati. E ora dopo otto anni ci si ritrova a dover ricostruire tutto. Perché?
Nel 2016 abbiamo vissuto un grande momento che ha superato persino i confini della nostra immaginazione. Abbiamo davvero avuto la possibilità di costruire qualcosa di importante. E si sarebbe potuto fare se l’obiettivo di Bernie Sanders fosse stato quello di mettere in piedi un’organizzazione fedele al movimento socialista e ai suoi principi. Invece è rimasto nel Partito democratico dopo che gliene avevano fatte di tutti i colori, lo avevano attaccato, gli avevano impedito di essere il candidato. Lui avrebbe potuto costruire un’alternativa. Ma la sua strategia di trasformare il Partito democratico dall’interno è stata e continua a essere la sua principale debolezza e ha avuto come risultato di spostarlo a destra, collocandolo non solo miglia lontano da quello che era nel 2016 ma addirittura dalla parte opposta di alcune delle più importanti richieste del movimento socialista.
Non è un giudizio un po’ troppo drastico, che non non tiene conto dei decenni di militanza che Bernie può vantare fin dagli anni Sessanta e di alcune motivazioni personali dettate sia dalla profonda convinzione della pericolosità di Trump sia, probabilmente, dai segni che gli hanno lasciato le accuse di averne favorito l’elezione nel 2016?
Non sto parlando della psicologia di Bernie, ma della sua posizione politica che ha finito per comprometterlo. Non sto neanche esprimendo giudizi su quali siano le sue intenzioni, ma la sua strategia di cercare di spingere a sinistra il Partito democratico attraverso la sua partecipazione a quel reame non ha funzionato. Bernie è un socialista e quel che ha costruito nel 2016 avrebbe potuto fare la differenza. Dopo che il Partito democratico gli aveva tolto la terra da sotto i piedi, se il suo obiettivo fosse stato quello di costruire un veicolo indipendente che rappresentasse la working class, allora quello sarebbe stato il momento di parlare alla Dnc e dire: «Voi avete dimostrato da quale parte state e adesso tocca a noi dimostrare che possiamo costruire qualcosa di diverso». Avrebbe avuto dalla sua parte sezioni del movimento sindacale, delle varie organizzazioni non governative, dell’associazione degli inquilini e dei più vari movimenti comunitari e sociali che sarebbero affluiti a valanga dentro questa nuova organizzazione. Ma purtroppo quella grande occasione l’abbiamo persa.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue dal 2016 la Political Revolution di Bernie Sanders.
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