Da Sanders al People’s Party
Da un pezzo del movimento che ha sostenuto Bernie alle primarie nasce il tentativo di fondare un terzo major party
Dopo le convention democratica e repubblicana, domenica 30 agosto 2020 è stata la volta della diretta virtuale della prima convention nazionale del Movement for a People’s Party, evoluzione del movimento Draft Bernie for a People’s Party fondato all’inizio del 2017 da Nick Brana, ex-collaboratore di punta nella campagna di Bernie Sanders 2016 e poi di Our Revolution, l’organizzazione nata dopo le primarie 2016 di cui Nina Turner è stata presidente. Intento del movimento è fondare un terzo major party, non finanziato da corporation e con una articolata piattaforma di tipo sandersiano, in grado di competere con i due partiti che da anni Noam Chomsky e Gore Vidal definiscono «un unico partito con due ali destre».
Seppur ignorato dalla gran parte dei media mainstream, l’evento ha avuto l’attenzione di testate come Huffington Post, Los Angeles Times e Meet the Press e, oltre alla partecipazione di personaggi internazionalmente conosciuti, ha visto alternarsi, come preannunciato dal coordinatore dell’evento Nick Brana, noti esponenti del circuito americano dei comedians, dell’informazione indipendente, «di ex-delegati di Bernie all Convention democratica, di ex-candidati congressuali sostenuti dai nuovi progressisti eletti al congresso e dai Dsa [Democratic Socialists of America]», di esponenti sindacali e persone impegnate nei più vari settori della lotta per la giustizia, diversi dei quali iscritti a movimenti e partiti tra cui Our Revolution, Dsa, Alternative Socialists, Green Party, Peace and Freedom Party.
In conclusione la convention ha ricevuto la «benedizione» di tre appassionati discorsi: quello di Marianne Williamson, unica tra le ex-candidate presidenziali a sostenere Bernie Sanders dopo il proprio ritiro, l’intervento di Cornel West e quello di Nina Turner, le due massime rappresentanti del progressismo afroamericano, oltreché instancabili surrogates di Bernie.
Tra gli ospiti più noti, l’attore e attivista afroamericano Danny Glover, interprete di moltissimi film, da Il colore viola di Steven Spielberg, a Beloved del compianto Jonathan Demme, al recente Sorry to Bother You di Boots Riley; il Premio Pulitzer Chris Hedges, unico a criticare Bernie Sanders come del resto fece già quattro anni fa, che ha definito «un ubbidiente cane pastore»; e poi lo straordinario «personaggio» Jesse «The Body» Ventura, veterano del Vietnam, attore, ex-campione di wrestler, ex-governatore indipendente del Minnesota, nonché ex-candidato presidenziale 2020 del Green Party. Ventura, che per sua diretta esperienza ha raccontato di come i due partiti dominanti, terrorizzati all’idea di un terzo partito che faccia gli interessi della gente, sappiano coalizzarsi pur di impedirne l’ascesa, ha concluso il suo discorso così: «Ricordatevi sempre quel che disse il grande Jerry Garcia dei Grateful Dead: Se fai una scelta tra il minore dei due mali, significa comunque che stai scegliendo il male».
Tra i tanti attivisti, Chris Smalls, il dipendente del deposito Amazon di Staten Island, che il 30 marzo scorso, in piena esplosione pandemica, ha organizzato una protesta per le condizioni di pericolosità alle quali erano sottoposti i lavoratori del magazzino e tutta la comunità della zona. Licenziato due ore dopo l’inizio della sua protesta, Smalls ha cambiato totalmente la sua vita fondando il Congress for Essential Workers.
Rimandata invece a una prossima manifestazione, forse per motivi di salute, la partecipazione di Mike Grevel, che Jacobin Magazine definì l’anti-Biden in un’intervista dell’anno scorso in occasione della sua corsa nelle primarie democratiche, dove non fu ammesso nemmeno a un dibattito tanto era inviso all’establishment. Impossibile comunque l’intervento di tutti i sostenitori di peso del movimento, nella cui lunga lista figurano anche Oliver Stone, la giornalista Abbey Martin, e il membre dei Dsa Al Rojas, cofondatore e ora coordinatore nazionale del United Farm Workers of America (Ufw), che fin dal 1961 ha lavorato a fianco della figura eroica di Cesar Chavez.
Nel suo discorso Marianne Williamson ha definito la convention un susseguirsi di truthtelling che non ha confronti con quanto si è sentito nelle convention democratica e repubblicana, dominate dalla propaganda.
I movimenti progressisti dopo il 2016
Di Nick Brana mi ero occupata sulla rivista Vorrei nel 2017: esaminando il Partito democratico da una parte emergeva l’impressione che la sua dirigenza non avesse imparato nulla dalla sconfitta con Trump, o meglio che preferisse mantenere i propri ricchi privilegi anche a costo di continuare a perdere, facendo gli interessi dei potentati economici e finanziari anziché aprirsi alla gente comune. L’elezione dello yes-man dell’establishment Tom Perez a nuovo presidente del Comitato nazionale democratico il 25 febbraio 2017 ne era stato un chiaro segno. Dall’altra parte emergevano nuove realtà progressiste come appunto Our Revolution e Draft Bernie for a People’s Party, ma anche Justice Democrats, nato per riformare il partito dall’interno attraverso l’elezione, dai livelli cittadini a quelli federali, di figure progressiste che avrebbero potuto spingerlo verso sinistra. Se Draft Bernie for a People’s Party ha faticato a decollare, tanto che nel novembre 2017 ha modificato il suo nome in quello attuale, Our Revolution e Justice Democtrats si sono imposti velocemente a livello nazionale determinando, spesso insieme ai Dsa, vittorie importanti nei successivi cicli elettorali, come ad esempio quelle di Alexandria Ocasio Cortez, Rashida Tlaib e Ilhan Omar nel 2018, tutte riconfermate nel 2020, e di Jaamal Bowman, Mondaire Jones e Cory Bush quest’anno.
Da Draft Bernie al People’s Party
La proposta di Brana per Draft Bernie for a People’s Party partiva da due presupposti. Il primo: non si può riformare il partito democratico, perché troppo saldamente nelle mani di un’ala destra corrotta, organizzata, imbattibile e determinata a fare di tutto per affossare i progressisti. Secondo: il successo di Bernie Sanders e delle sue idee hanno segnato un punto di non ritorno nella politica statunitense.
Pur consapevole di come fino a quel momento fosse stato impossibile per un terzo partito attaccare il bipartitismo, protetto da regole scritte per stroncare sul nascere qualsiasi tentativo di incrinarlo, Brana si dichiarava convinto che l’ingresso sulla scena di Bernie Sanders avrebbe potuto fare la differenza già dal 2020: «Il New York Times ha riportato che in queste elezioni [2016] l’82 per cento delle persone era disgustato da questi due candidati con la più bassa popolarità della storia. Eppure né il Green Party né il Libertarian Party sono riusciti a raggiungere quel 5% che avrebbe almeno consentito loro di accedere al denaro riservato allo status di partito. Questo la dice lunga su come il sistema riesca a impedire la creazione di un terzo partito. Tuttavia la strada per costruirlo esiste» e avrebbe dovuto ripercorrere quella seguita da Abraham Lincoln negli anni Cinquanta del 1800, quando il sistema era già saldamente ancorato al bipartitismo con il Whig Party e il Democratic Party. Nel 1854 le divisioni interne ai Whig sulla questione della schiavitù avevano portato alcuni di loro a unirsi ai democratici schiavisti e altri al piccolo partito regionale abolizionista di Abraham Lincoln, il Partito repubblicano, che già nel 1856 era riuscito a rimpiazzare la maggioranza Whig, per poi vincere la Presidenza nel 1860.
Il concetto – diceva Brana – è che in pratica esiste già un partito dentro il partito, ossia quello creato da un personaggio di grande rilievo e popolarità, come è stato per Lincoln e come è ora per Bernie, e che per di più è il partito di maggioranza, avendo il seguito di una larga base popolare. Quindi basta prendere questo partito di maggioranza esistente all’interno del partito e portarlo via per fondare una nuova istituzione, che di fatto rappresenta ciò che la gente vuole.
Le proposte di Nick Brana erano ancora troppo utopiche e premature, dato l’enorme carico di incombenze che ai nostri giorni comporterebbe un’operazione simile a quella di Abraham Lincoln, soprattutto se da effettuare in un tempo così breve come quello preventivato da Brana. A cominciare dall’ostacolo rappresentato dalla potenza dell’impero dell’informazione mainstream governato dalle corporation, esattamente come lo è il monopartito formato da neo-liberismo democratico e neo-conservatorismo repubblicano.
Il supporto di Cornel West
Nick aveva comunque incontrato fin da subito il supporto e l’amicizia di attivisti importanti, in particolare Jimmy Dore, noto aggressive-progressive, conduttore del Jimmy Dore Show, la consigliera comunale di Seattle Kshama Sawant, per le cui battaglie contro Amazon Jeff Bezos nel 2019 ha inutilmente speso più di un milione di dollari per tentare di farla fuori, e soprattutto del professor Cornel West. Nel febbraio 2017 i quattro avevano tenuto un incontro pubblico a Washington che Cornel West, in apertura del suo discorso alla convention, ha ricordato come «un pomeriggio di grande ispirazione», aggiungendo parole di stima e affetto per Nick e per l’immenso lavoro svolto insieme all’attivista Ryan Knight in questi anni.
Dopo la vittoria di Hillary Clinton nel 2016 lo stimatissimo professore di Harvard si era schierato con la candidata verde Jill Stein, mentre quest’anno voterà per Joe Biden solo per sconfiggere Donald Trump, ma senza la minima stima né per il ticket presidenziale, né per l’establishment democratico, né per i tanti «fratelli neri» che si sono venduti ai privilegi del capitalismo, contro cui argomenta con passione in ogni suo intervento. Suo intento è dunque quello di combattere strenuamente insieme a Bernie, a Nina (che voterà per Biden con le sue stesse riserve) e ai progressisti, con ogni tipo di manifestazione e protesta fin dal primo giorno dell’eventuale vittoria democratica, per indurre Biden ad accogliere almeno alcune delle istanze sandersiane.
La partecipazione di Nina Turner
La posizione d’onore affidata a Nina Turner, che Brana ha presentato dicendo «Dottor West, non sono del tutto convinto che qualcuno possa farle seguito, ma se quel qualcuno esiste non può che essere la grande senatrice Nina Turner» è stata forse la più autorevole attestazione (Bernie e Alexandria Ocasio-Cortez sono per il momento fuori gioco per l’endorsement attivo a Biden) del fatto che «il Movement for a People’s Party segnerà un nuovo capitolo nella storia della nazione».
Se Cornel West è sulla barca di Nick fin dal 2017, l’adesione di Nina Turner, per la quale già da tempo si sono formati gruppi all’insegna di «Nina for President 2024», è invece cosa nuova, altamente simbolica per il futuro del movimento. Nina è stata infatti sempre molto fedele al Partito democratico. Nel settembre 2018 ho avuto il grande piacere di intervistarla a Brooklyn, pochi giorni prima delle primarie governatoriali dello stato di New York, dove Cynthia Nixon sfidava Andrew Cuomo. Alla domanda sulla possibilità o necessità di fondare un terzo major party, che ponevo a tutti coloro che riuscivo a intervistare, Nina rispose:
Sono stata una democratica per tutta la vita e ho combattuto all’interno di questo partito sperando che potesse tornare alle sue radici, quelle di Franklin Delano Roosevelt, di Barbara Jordan, di Shirley Chisholm. Ci sono stati grandi personaggi afroamericani che hanno dato tanto a questo partito […] Ci sono così tante persone che si aspettano che uno dei due partiti si prepari a diventare il loro partito e non il partito delle corporation e dell’uno per cento. E io continuo a sperare che sia il Partito democratico. Come abbiamo visto, la maggior parte di coloro che si sono registrati per votare si identifica come elettore indipendente, cosa che dovrebbe essere un’indicazione chiara per il mio partito a migliorarsi, perché in troppi se ne stanno andando, determinati nel dire che vogliono qualcosa di diverso, e i democratici devono darglielo. Essere qui a New York con persone come Cynthia Nixon, Zephyr Teachout, Alexandria Ocasio-Cortez, Jumanee Williams, che corre per la carica di vice-governatore, mi dà la speranza che l’ala progressista del Partito democratico prenderà il sopravvento, sarà vittoriosa e sarà per davvero al servizio della gente. Ecco perché sono ancora qui.
Kids Who Die
Ora però dopo altri due anni di schiaffi in faccia ai progressiti anche Nina, la preferita tra le potenziali vicepresidenti di Sanders e in seguito caldamente suggerita dall’ala sinistra come vicepresidente di Joe Biden (cosa che avrebbe dato concretezza alle false promesse sull’unità del partito e neppure presa in lontana considerazione) sembra determinata nell’impegnare le sue straordinarie forze e capacità comunicative per la formazione del People’s Party. Nina, che ha definito l’evento come «un pomeriggio e una serata di redenzione», ha detto a un certo punto del suo infiammato discorso:
Sapete che cosa mi è venuto in mente, fratelli e sorelle? Due persone mi sono venute in mente, una è Marvin Gay e What’s going on, e l’altra è Langston Hughes e una poesia che ha scritto nel 1938, quando era sconvolto dalle sofferenze delle Jim Crow [le leggi segregazioniste] e da quello che stava succedendo in questa nazione […] e la poesia era Kids who die». Poi Nina ha recitato alcuni versi di quella poesia – ripubblicata anche in memoria di Trayvon Martin, il 17enne ucciso nel 2012 in Florida da un vigilante giudicato non colpevole – versi che danno il via alle sue dolorose considerazioni su tutto quello che sta succedendo in particolare al popolo afroamericano in questi giorni di scontri razziali.
Ed è con Kids Who Die che concludiamo, rimandando a un video del 2015 nel quale i versi del grande poeta afroamericano Langston Hughes recitati da Danny Glover sono accompagnati da immagini che ripercorrono il calvario senza fine vissuto dagli afroamericani.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue da tre anni la Political Revolution di Bernie Sanders
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