Dalla parte dei e delle sex workers
La criminalizzazione di lavoratori e lavoratrici del sesso è un attacco alle condizioni materiali e allo stile di vita della working class. Dallo stato di New York parte una campagna per la depenalizzazione
«La prostituzione è un lavoro e non dovrebbe essere criminalizzata dallo stato», ha dichiarato a giugno la senatrice dello stato di New York Julia Salazar nella conferenza stampa in cui ha presentato il disegno di legge per depenalizzare il lavoro sessuale, il primo di questo tipo proposto a New York. Non avrei potuto dirlo meglio. Ma, un anno fa, nessuno si sarebbe aspettato di sentire queste parole o di vedere una simile proposta di legge venir fuori da Albany.
Sono decenni che i lavoratori e le lavoratrici del sesso lottano per vedere depenalizzato il loro lavoro, ma nell’ultimo anno, anche grazie al supporto della sinistra socialista, hanno dato alla questione molta più visibilità. Molte e molti sex workers sono iscritti ai Socialisti Democratici d’America (Dsa) e hanno lavorato alla campagna di Salazar nel 2018; e alcune e alcuni di loro stanno continuando a lavorare con la senatrice all’interno di Decrim NY, una coalizione di sex workers e alleati.
I e le sex workers hanno inoltre supportato attivamente la campagna elettorale di Tiffany Cabán per il posto di procuratore distrettuale del Queens. Cabán, come Salazar, è stata appoggiata e ampiamente supportata dai Dsa. Esplicita sostenitrice della depenalizzazione del lavoro sessuale, Cabán è arrivata così vicina a vincere le primarie che la campagna è stato oggetto di un complesso e controverso riconteggio e di una contesa giuridica sin dallo scorso giugno. (Per essere trasparenti: ho personalmente militato in entrambe le campagne elettorali, di Cabán e di Salazar.)
Sex workers e socialisti hanno già avuto un forte impatto sul discorso politico, togliendo la depenalizzazione dai margini del dibattito pubblico e facendola diventare mainstream. Nonostante il disegno di legge di Salazar non sia ancora passato, la sua proposta rappresenta un grande passo avanti e garantisce una base solida per le lotte future.
Persino Bernie Sanders potrebbe presto esprimersi a favore della depenalizzazione. Molti socialisti hanno giustamente criticato Sanders per aver votato il Sesta/Fosta, una legge federale contro il traffico di esseri umani che potenzialmente penalizza le piattaforme online che pubblicizzano qualsiasi tipo di lavoro sessuale, e che è stata vigorosamente osteggiata dai sex workers. Questi ultimi hanno spesso criticato il senatore per la sua scarsa attenzione all’argomento, e per questo voto.
Ma la campagna di Cabán, e i sex workers che hanno lavorato per arricchire la posizione della candidata sulla depenalizzazione, potrebbero aver cambiato le cose. Dopo l’endorsment a Cabán come procuratore distrettuale del Queens, Sanders, incalzato sull’argomento, si è dichiarato a favore della depenalizzazione. Elizabeth Warren, che pure ha appoggiato Cabán, ha risposto allo stesso modo. (Kamala Harris e Tulsi Gabbard hanno già appoggiato in qualche misura la depenalizzazione, anche se i lavoratori e le lavoratrici sono giustamente scettiche della posizione di Harris, perché non ha ancora trovato riscontro nelle sue azioni da pubblico ministero). Questi sono solo alcuni dei molti segnali di quanta strada abbia fatto la questione in così poco tempo, grazie alla mobilitazione.
Al loro convegno di Atlanta, la scorsa settimana, i Dsa, con un voto schiacciante, hanno adottato una risoluzione per supportare la depenalizzazione del lavoro sessuale, per opporsi al Sesta/Fosta, e per chiedere a Sanders di cambiare la propria posizione sul Sesta/Fosta e supportare la depenalizzazione.
Ma perché questa posizione è così importante per noi? Forse non è immediatamente ovvio. Molti delle argomentazioni principali della sinistra, malgrado siano totalmente corrette, potrebbero essere avanzate altrettanto facilmente dagli anarchici. In realtà, fino a tempi recenti eravamo abituate e abituati a leggere di diritti dei sex workers più su Reason [rivista anarchica americana, ndt] che nelle pubblicazioni socialiste. Tra le motivazioni libertarie c’è l’idea che il sesso tra adulti consenzienti non sia affare dello stato. Allo stesso modo le donne, la cui sessualità è stata a lungo un sorvegliato speciale, hanno diritto alla loro autonomia sessuale e corporea. I lavoratori e le lavoratrici, e gli imprenditori/imprenditrici dovrebbero avere la libertà di fare soldi in qualsiasi modo non danneggi gli altri. La politica non dovrebbe basarsi sul moralismo, il disgusto, il pregiudizio, o l’idea paternalistica che le donne abbiano bisogno di protezione e non siano in grado di decidere per loro stesse. Queste sono tutte ottime ragioni per supportare la depenalizzazione del lavoro sessuale, ed è un’ottima cosa che così tante persone che non si dichiarano socialiste le sottoscrivano. A queste ottime ragioni i socialisti ne aggiungono due, ugualmente convincenti e, soprattutto, convincenti anche per molti al di fuori del nostro movimento.
Primo, la depenalizzazione migliorerebbe le condizioni di lavoro della working class, inclusi alcuni dei suoi settori più marginalizzati. Mentre la depenalizzazione permetterebbe ai sex workers di cercare le migliori e più sicure condizioni di lavoro, consentendo loro di farsi pubblicità online, di vagliare attentamente i clienti, e di denunciare le violenze alla polizia, la criminalizzazione permette alla violenza contro i e le sex workers di prosperare. Ad oggi, le leggi contro la prostituzione espongono i e le sex workers alla violenza dello stato (alla violenza e brutalità poliziesca, alla prigione), e anche allo stupro e alla rapina, crimini che i lavoratori e le lavoratrici del sesso subiscono di frequente e che difficilmente vengono denunciati per paura di andare incontro a procedimenti penali. La depenalizzazione trasforma la violenza contro i lavoratori e le lavoratrici del sesso, oggi uno dei rischi più comuni del mestiere, in un crimine che può essere denunciato e perseguito.
La depenalizzazione ha inoltre il vantaggio di tenere il sistema giudiziario fuori dalle vite dei sex workers, rendendo loro più facile l’accesso alla casa, all’educazione, all’impiego al di fuori del commercio sessuale qualora lo preferissero, all’assicurazione sanitaria, ai farmaci, e ad altri elementi basilari della vita, come sottolinea Decrim NY. Tutto ciò garantirebbe ai lavoratori e alle lavoratrici del sesso più libertà di partecipare pienamente alla vita delle proprie comunità. Semplicemente, i socialisti dovrebbero supportare qualsiasi politica che riduca la criminalizzazione della working class e dia accesso a lavoratori e lavoratrici a una migliore qualità della vita.
Allo stesso modo, avere potenziali introiti al di fuori del sistema formale di lavoro salariato potrebbe aiutare tutti i lavoratori. Le motivazioni morali e di “salute pubblica” mettono in ombra questo dato, a volte di proposito. La classe capitalista ha sempre trovato moltissime fantasiose ragioni per opporsi al lavoro informale: che tu venda pompini o spinelli, o allevi maiali nel tuo cortile sulla Diciannovesima Strada a Manhattan, i moralisti borghesi e i troll salutisti invocano costantemente la censura. Questo perché, se i lavoratori dipendono un po’ meno dal dover vendere la propria forza-lavoro ai capitalisti, tutti i lavoratori e le lavoratrici guadagnano potenzialmente più controllo sulle proprie vite, e più potere per rifiutare condizioni di lavoro inaccettabili all’interno del sistema del lavoro salariato. Quando non puoi accedere al lavoro informale, sei costretto a dedicare la tua forza-lavoro all’arricchimento dei capitalisti. Opinionisti come l’editorialista del New York Times Nicholas Kristof hanno sempre celebrato le donne che abbandonano la prostituzione per andare a farsi sfruttare legalmente nelle fabbriche; per ovvie ragioni, questo tipo di cambiamento non migliora per forza le vite delle donne, ma è fantastico per la Nike. I socialisti dovrebbero prestare attenzione ai modi in cui le politiche sul lavoro informale privano i lavoratori e le lavoratrici di una via di fuga dal mercato del lavoro formale – e consolidano così il potere del capitale.
Una delle motivazioni di un certo femminismo socialista contro la depenalizzazione è che, dal momento che i socialisti vogliono un mondo in cui meno aspetti possibili della vita siano oggetto di mercificazione, perché dovremmo essere d’accordo nel legalizzare la mercificazione del sesso, che così tante persone trovano di cattivo gusto? Questo tipo di pensiero è fuorviante rispetto alle obiezioni socialiste alla mercificazione. Non è una questione di gusti, anche se a volte la sinistra inquadra la propria critica alla mercificazione come una denuncia della volgarità (un po’ come i puristi della musica impazziscono quando una canzone degli Stereolab è usata nelle pubblicità delle automobili). Ma noi ci opponiamo alla mercificazione dei bisogni umani non perché offende la nostra sensibilità, o perché è moralmente disdicevole essere pagati per fare qualcosa, ma perché i bisogni umani, per definizione, devono essere soddisfatti, e la loro mercificazione trasforma la sopravvivenza in una lotta crudele. La nostra capacità di avere accesso alle cure per il cancro, ad abitazioni decenti e a un’educazione dignitosa non dovrebbe dipendere dalla nostra possibilità di pagare. Ma questo ragionamento non si applica affatto al sesso, per quanto possa sembrare il contrario. Dal momento che il sesso dev’essere consensuale, può essere ritenuto un diritto umano soltanto da alcuni strambi estremisti “incel”. In realtà è molto più etico farsi pagare per il sesso che non per il cibo.
Alcuni esponenti di sinistra sono anche influenzati dagli argomenti di un certo femminismo sulla depenalizzazione che tendono a concentrarsi sul traffico di esseri umani e sullo sfruttamento dei minori, entrambi aspetti facilmente oggetto di sensazionalismi. Ma questi elementi sono già considerati reato, e non aumenteranno con la depenalizzazione del lavoro sessuale. In realtà, studiose come Kimberly Mehlman-Orozco vedono la depenalizzazione come un modo comprovato per combattere simili orrori; attualmente, la criminalizzazione spesso fa sì che le vittime del traffico di esseri umani siano loro stesse arrestate, mentre la depenalizzazione renderebbe molto più facile appoggiare quante e quanti denunciano abusi.
Infine, dovremmo continuare a supportare i diritti delle e dei sex workers – e, di conseguenza, la depenalizzazione – perché i lavoratori e le lavoratrici del sesso sono nostre compagne e compagni, una parte vitale delle nostre organizzazioni. Il movimento socialista comprende già molte e molti sex workers. Appoggiare la loro lotta è una questione di solidarietà e di giustizia, e aiuterà il nostro movimento a crescere.
*Liza Featherstone è redattrice di Jacobin, giornalista freelance, e autrice di Selling Women Short: The Landmark Battle for Workers’ Rights at Wal-Mart. Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Gaia Benzi.
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