Dall’ultimo banco
Ci siamo messi dalla prospettiva di quelli che hanno più da perdere dalla pandemia: studenti, lavoratrici e lavoratori di un settore che prima non è stato considerato essenziale e poi ha rivelato inefficienze, contraddizioni e potenzialità radicali
Per questo numero invernale di Jacobin Italia abbiamo deciso di sederci all’ultimo banco e osservare come vanno le cose nelle scuole italiane. Ci mettiamo dalla prospettiva di quelli che hanno più da perdere dalla pandemia, gli studenti e le studentesse meno attrezzate e le lavoratrici e i lavoratori di un settore che non è stato considerato essenziale (il primo a chiudere, tanto non serve «allo sforzo produttivo del paese») e poi è diventato l’apripista della riapertura rivelando la sua importanza ma anche tutte le sue inefficienze e contraddizioni. Problemi che con il Covid si sono acuiti ma che si devono ad anni di tagli e sacrifici a carico di istruzione e formazione. D’altro canto, come sa chi ha frequentato i bassifondi delle aule scolastiche, dall’ultimo banco si gode di maggiore libertà e al tempo stesso si guadagna una visione d’insieme, dalle retrovie, di quello che sta avvenendo in classe.
E allora Danilo Corradi ci introduce al tema, ragionando di scuola, di docenti troppo spesso precari e di studenti e studentesse passati nel tritacarne della valutazione e della selezione. Che sia l’occasione per porsi domande radicali su cose che fino a ieri davamo per scontate? A proposito di domande, Christian Raimo ci pone di fronte a un what if, in un pezzo di analisi delle politiche scolastiche che è quasi un’ucronia: cosa sarebbe successo se la scuola sperimentale di Chicago fosse sbarcata in Italia, come sembrava potesse accadere, all’indomani della fine del fascismo?
Marco Romito spiega bene che la scuola, oltre ad allargare le disuguaglianze, è divenuta terreno di competizione invece che di cooperazione: tra istituti, tra docenti, tra famiglie, tra studenti. Del resto, come argomenta Enrico Consoli, la pervasività della logica del mercato e della retorica delle start-up fa sì che invece di imparare e crescere insieme i processi formativi cerchino di stimolare la «forma mentis imprenditoriale». È l’ideologia profonda della retorica della «società della conoscenza», dei saperi senza conflitto e come mero strumento al servizio del capitalismo, di cui parla Lorenzo Zamponi. Per non parlare della favola distopica della meritocrazia, di cui discutono Fabrizio Barca e Giacomo Gabbuti, e del proliferare dei meccanismi di disciplinamento e controllo di cui si occupa Assia Petricelli. Il confronto tra tre studenti della generazione Fridays for Future, condotto da Giulio Calella, restituisce questi temi con la forza del punto di vista di chi fa attivismo studentesco.
Girolamo De Michele racconta il movimento che ha chiesto nei mesi scorsi che le scuole venissero aperte e che ha messo l’accento sulla centralità dell’istruzione dentro i processi di riproduzione. Carlo Scognamiglio riflette su scuola e strumenti digitali, nell’epoca della Didattica a distanza. Claudia Pratelli traccia il quadro dell’inversione di tendenza al ribasso degli ultimi anni sull’accesso al diritto allo studio. Una strada sbarrata che trova un fenomeno reciproco nel dilagare del mercato di diplomi e qualifiche di cui parla Michelangelo Pecoraro. Il nostro inserto apribile, a cura di Gaia Benzi e introdotto da Alessandra Di Bartolomeo, rappresenta l’infernale gioco dell’oca cui sono sottoposti i lavoratori precari della scuola.
Già, che ne è della didattica? Proviamo a fornire alcuni spunti pratici. Elisabetta Serafini spiega come la prospettiva di genere faccia fatica a entrare nei libri di testo, soprattutto nelle scuole primarie. Cosimo Marco Scarcelli descrive la pessima situazione intorno all’educazione sessuale. Di letteratura al tempo in cui le storie e le narrazioni esplodono in moltissime direzioni scrive Antonio Montefusco. Enrico Manera ragiona dell’insegnamento della storia dalla prospettiva e dal contesto delle contraddizioni presenti. A proposito della quale Mackda Ghebremariam Tesfau’ e Angelica Pesarini propongono dei materiali di pronto utilizzo per una didattica decoloniale.
A proposito di scuola: le illustrazioni di questo numero di Jacobin Italia nascono dal work-shop di illustrazione editoriale che il nostro art director Alessio Melandri ha tenuto presso il Mimaster nell’ambito del corso Master Editorial, realtà formativa internazionale con sede a Milano diretta da Ivan Canu. Le illustratrici e gli illustratori hanno avuto un’occasione di lavoro e sono stati assoldati per interpretare i testi e le idee del giacobino nero.
Il numero contemporaneo al nostro dell’edizione statunitense, Jacobin n. 39, è stato messo insieme proprio nei giorni rocamboleschi delle elezioni presidenziali e parla di un tema che, con tutte le differenze del caso, riecheggia anche a proposito della scuola italiana. Si occupa del fallimento dello stato, di come la controrivoluzione neoliberista abbia smantellato e reso inservibili le istituzioni. Il Covid, dice Richard Lachmann, ha palesato che gli Stati uniti sono al collasso, gli apparati statali funzionano solo per assolvere compiti che favoriscono i più ricchi. Per Branko Marcetic la pandemia per gli Stati uniti rappresenta quello che Chernobyl ha significato per l’Unione sovietica in termini di smascheramento delle inefficienze e dello sfascio della macchina amministrativa e di governo. Tanto che, racconta Meagan Day, attraverso il panopticon postmoderno dei social network ritornano forme di filantropia che ricordano le società prima del welfare. Da questo punto di vista è utile rivedere i film di John Carpenter che, come fa notare Eileen Jones, hanno come filo conduttore la distruzione dei legami sociali. Uno degli effetti di questa situazione è il potere autonomo, e incontrollabile anche dalla politica rappresentativa, delle forze dell’ordine di cui si occupa Peter Frase.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.