
«Ecco perché da femministe sosteniamo Sanders»
Il programma di Bernie coglie un aspetto decisivo del pensiero femminista: le questioni di genere, i problemi del lavoro salariato e il tema delle attività non retribuite sono interconnessi, non si possono affrontare a prescindere
Siamo femministe e votiamo per Bernie Sanders. In realtà, votiamo Sanders proprio perché siamo femministe.
Elizabeth Warren, Amy Klobuchar e i loro sostenitori, inclusa la redazione del New York Times, hanno dichiarato con forza che è giunto il tempo che sia una donna a diventare presidente degli Stati uniti. Warren e i suoi sostenitori stanno insistendo molto su quest’appello, basato sull’appartenenza a un genere. Se Bernie Sanders non fosse della partita, potremmo anche essere d’accordo. Ma la campagna di Sanders rappresenta un’opportunità storica – per le donne.
Non fraintendeteci. Saremmo felici di vedere una donna presidente, come tutte. Ma non al prezzo di perdere l’opportunità di costruire un movimento che potrebbe davvero migliorare la vita della stragrande maggioranza delle donne. E la campagna di Sanders rappresenta proprio quest’opportunità.
Tutti sanno che Sanders fa gli interessi del 99% contro quelli della «classe dei miliardari». Quello che traspare meno è che la sua campagna – e il movimento che la supporta – combatte attivamente il sessismo, e non solo nelle sue forme più esplicite: ne combatte le cause profonde radicate nella società capitalista.
Anche se le proposte politiche più note di Sanders – Medicare for All, l’università pubblica gratuita, il salario minimo di 15 dollari, il Green New Deal e il supporto ai sindacati – non sono sempre riconosciute come femministe, sono però indirizzate a curare il malessere sociale provocato dai meccanismi di genere, così come di classe e razza.
Dopo tutto, la stragrande maggioranza di chi percepisce un salario minimo è composta da donne. Alzare i salari è una misura che incide direttamente sulla libertà delle donne – tanto sul luogo di lavoro quanto a casa. E rafforzare i diritti nella contrattazione collettiva significa dotarci di un’arma potente nella lotta alle molestie e agli abusi sessuali sui luoghi di lavoro.
Allo stesso modo, Medicare for All, che Sanders supporta incondizionatamente, giova soprattutto alle donne, che rispetto agli uomini fanno maggiormente ricorso all’assistenza sanitaria e dunque affrontano più spese in campo medico. I guadagni sono particolarmente evidenti per le donne nere, latine o native americane, che spesso sono prive di assicurazione sanitaria – in percentuale maggiore rispetto alle donne bianche nell’attuale sistema orientato al profitto.
E poi c’è il Green New Deal, che ovviamente beneficia tutti e tutte. Non è soltanto una proposta politica ecologica e working class, ma anche antisessista e antirazzista. Ora come ora, le donne e le comunità non bianche sono costrette a combattere con le unghie e con i denti per la sopravvivenza spicciola – ad esempio, per avere accesso all’acqua potabile a Flint o nel Dakota. Questi soggetti sarebbero enormemente avvantaggiati dagli investimenti nelle infrastrutture ecologiche – e dai lavori sindacalizzati e ben pagati che ne deriverebbero. Il Green New Deal incarna una promessa militante: contrastare le politiche distruttive del capitalismo, insieme all’ossatura razzista e patriarcale che lo sostiene.
Di tutte le candidature attualmente presenti, Sanders è anche di gran lunga il migliore in quelle che vengono comunemente definite «questioni di genere»: i diritti riproduttivi, l’assistenza all’infanzia, la maternità e la paternità, e i diritti dei e delle trans. È facile riempirsi la bocca con queste cose, e anche altri candidati lo fanno, ma la campagna di Sanders individua le risorse materiali necessarie a trasformare i diritti sulla carta in libertà concrete. La versione di Bernie di Medicare for All, per esempio, garantisce accesso completo alle cure legate alla salute riproduttiva, incluso l’aborto, una cosa per la quale noi femministe lottiamo da decenni. È questa l’unica vera posizione pro-choice: dopo tutto, a che serve il diritto all’aborto se non te lo puoi permettere economicamente, o se non c’è nessuno disposto a praticarlo?
Senza dubbio va riconosciuto anche a Elizabeth Warren il merito di aver evidenziato, nella sua campagna, il problema dell’assistenza all’infanzia, e di averne parlato a lungo. Ma Bernie Sanders parla di assistenza all’infanzia gratuita da decenni, e nel 2011 appoggiò una legge che ambiva a garantire sia l’assistenza di base sia un’educazione pre-scolare a tutti i bambini e le bambine, dalle sei settimane fino all’asilo. Sanders è anche l’unico candidato della corsa alla Casa Bianca che prende sul serio l’idea di proteggere, implementare e desegregare la cosa più vicina nella nostra società a un’assistenza all’infanzia universale, il programma di istruzione pubblica K-12 [un programma che prevede un sostegno economico dall’asilo sino alla fine delle superiori, ndt], incluso aumentare le paghe della sua forza lavoro (a maggioranza femminile).
In generale, dunque, la campagna di Sanders non considera i «problemi delle donne» come mere appendici. A differenza delle proposte della maggior parte dei suoi avversari, Bernie ritiene che le riforme nell’organizzazione del lavoro salariato debbano andare di pari passo con le riforme nell’organizzazione del lavoro di cura non retribuito – e viceversa. In questo modo ribadisce una verità fondamentale nel pensiero femminista: sono due ambiti così interconnessi che nessuno dei due può essere trasformato da solo, separatamente dall’altro. Solo un cambiamento congiunto in entrambi i settori potrà consentire una partecipazione completa e paritaria delle donne alla società.
Sanders è anche la miglior scelta femminista in tema di immigrazione e politica estera. Il nostro paese ha scatenato la sua catastrofica potenza militare in Afghanistan, Iraq e in altri luoghi del Medio Oriente; ha favorito centinaia di colpi di stato militari e schemi imperialisti destabilizzanti in America centrale e meridionale – che hanno sempre avuto pesanti ricadute sulle donne. In queste regioni, come altrove, le donne sono le principali responsabili della sicurezza e della sopravvivenza delle famiglie e delle comunità. Questo lavoro, sempre difficile, diventa insostenibile quando la violenza, il conflitto e la repressione autoritaria rendono impossibile anche la normale vita quotidiana. Per le donne, incaricate in tutto il mondo di crescere le nuove generazioni, provare a proteggere i propri figli mentre fuggono dalle violenze, solo per poi trovarsi di fronte un confine militarizzato e un regime statunitense che non vede l’ora di mettere i loro bambini in prigione, è diventata un’ordalia terribile. Sanders e il movimento che lo sostiene sono le uniche forze politiche che tentano di cambiare la nostra politica estera e migratoria omicida, una priorità assoluta per qualsiasi movimento femminista degno di questo nome.
Ugualmente importante, la campagna di Sanders identifica correttamente le forze sociali che si frappongono ai suoi obiettivi femministi e working class: i miliardari e le megacorporation – cioè le banche, le industrie farmaceutiche, i colossi tecnologici e le compagnie di combustibili fossili, come Bernie ricorda spesso. Ma le femministe sono particolarmente interessate a opporsi ai neoliberisti progressisti che si nascondono nelle nostre fila: quelli felici di socializzare coi plutocrati che si entusiasmano per i «passi in avanti» e per l’idea di «rompere il tetto di cristallo», mentre abbandonano la stragrande maggioranza delle donne alla violenza aziendale. Dovremmo anche opporci a coloro che strumentalizzano le istanze di genere e le tirano fuori non per aiutare le donne, ma per sminuire Sanders, dividere la sinistra, e rafforzare quei progetti centristi e conservatori che ci hanno ripetutamente e spietatamente deluse.
Al contrario, la campagna di Sanders individua bene i nostri più probabili e promettenti alleati: i sindacati, gli antirazzisti, gli immigrati, gli ambientalisti, e i lavoratori e le lavoratrici di ogni sorta – sia pagati che non pagati. Solo un’alleanza tra questi soggetti potrà radunare le forze di cui abbiamo bisogno per sconfiggere i nostri nemici e realizzare la giustizia sociale.
Senza una prospettiva di questo tipo, e coalizioni che aiutino a costruirla, le femministe rischiano di rimanere incastrate in una specie di alleanza diabolica con Wall Street, che nel 2016 si è assicurata la candidatura di Hillary Clinton e ci ha portati all’elezione di Donald Trump. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è il ripetersi di una simile débacle!
Infine, le femministe dovrebbero tenere a mente su chi, tra tutti i candidati, possono contare nella lotta per i diritti delle donne – di tutte le donne, del 99%. Gli altri candidati hanno incluso alcuni punti femministi nei loro programmi. Ma hanno anche fatto presente il loro desiderio di farsi appoggiare dai grandi donatori più avanti lungo il percorso. Tra i vari candidati, solo Sanders comprende la necessità di una lotta di massa che continui anche dopo le elezioni di novembre. Solo la sua campagna è impegnata a costruire un movimento capace di quel grande cambiamento strutturale di cui le donne hanno bisogno.
La campagna di Sanders ci dice anche che un movimento del genere ha bisogno di più solidarietà da parte nostra. Nel chiederci di «combattere per persone che non conosciamo», invita le femministe a unirsi alle lotte antirazziste, ambientaliste, per i diritti dei migranti e dei lavoratori e delle lavoratrici, e ad altre lotte working class, anche se combattiamo il sessismo.
Saremo all’altezza di questa sfida? Queste elezioni ci mettono davanti una scelta molto chiara. Qual è il nostro obiettivo principale e più urgente: far salire una donna alla Casa Bianca e sperare che il suo successo ricada dall’alto su tutte le altre? O unirci a Sanders e aiutare a costruire una campagna che renda le necessità e le speranze della stragrande maggioranza delle donne davvero prioritarie? Allo stesso modo, qual è il vero significato del femminismo e della parità di genere: una parità maschio/femmina interna alle classi privilegiate, cioè un dominio equamente distribuito per tutti gli altri? O una parità di genere all’interno di una società che fa gli interessi del 99%?
In altre parole: saremo risucchiate dai cinici appelli al femminismo di chi sta provando a ostacolare un movimento progressista di massa? O daremo il nostro supporto all’unico candidato in corsa che sta proponendo delle politiche che potrebbero davvero migliorare la vita di tutte le donne che compongono il 99%?
Quel candidato è Bernie Sanders. E dunque non malgrado, ma proprio perché siamo femministe dichiariamo con orgoglio il nostro supporto a lui. La vera scelta femminista è Bernie.
*Liza Featherstone è redattrice di Jacobin, giornalista freelance, e autrice di Selling Women Short: The Landmark Battle for Workers’ Rights at Wal-Mart. Nancy Fraser insegna filosofia e politica alla New School for Social Research. Ha scritto Fortunes of Feminism (Verso, 2013) e con Rahel Jaeggi, Capitalism: A Conversation in Critical Theory (Polity, 2018). Fra le principali sostenitrici dello sciopero internazionale delle donne, a lei si deve la formula del «femminismo del 99%».
Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Gaia Benzi.
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