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Facoltà di Scienze dell’Occupazione 

Jamila Sit Aboha 20 Aprile 2022

I Giovani palestinesi d’Italia e le rappresentanze studentesche chiedono la cessazione degli accordi tra l’Università degli Studi di Milano e l’ateneo di Ariel, che si trova dentro un insediamento israeliano nei territori occupati

Viviamo in un periodo storico in cui la possibilità di boicottare attivamente le istituzioni pubbliche a causa delle loro complicità con governi che violano diritti umani è diventata una pratica diffusa e affermata. Ma si tratta di una strada percorribile solo per alcuni. L’atteggiamento nei confronti del popolo palestinese è infatti assoggettato al classico double-standard che colpisce le popolazioni non white del globo. 

Il movimento per il boicottaggio accademico contro le istituzioni universitarie israeliane complici del sistema di apartheid e segregazione nei confronti del popolo palestinese, è uno strumento attraverso il quale il movimento di solidaritetà internazionale ha sempre condotto campagne di sensbilizzazione. Alcune di queste campagne hanno prodotto risultati eccellenti e la cessazione delle collaborazione tra gli atenei europei e le istituzioni accademiche dell’Occupazione. Una di queste è l’Università di Firenze la quale nel 2021, grazie alla pressione da parte della comunità studentesca e accademica, ha deciso di interrompere i legami accademici con l’università di Ariel, la quale si trova nell’omonimo insediamento all’interno dei Territori palestinesi occupati. Le università sono infatti luoghi in cui la ricerca accademica produce saperi e sperimentazioni a disposizione di un sistema di occupazione violento, che si serve del sistema di apartheid controllando le vite, i bisogni e le necessità del popolo palestinese costretto a vivere sotto il regime di occupazione sionista. Israele è un’eccellenza mondiale in materia di ricerca militare, tecnologie di sorveglianza, profilazione digitale. Ricerca che viene sistematicamente messa a disposizione del sistema di apartheid israeliano. In questo contesto si inserisce la campagna «Student* contro l’Apartheid» lanciata quest’anno dall’ organizzazione Giovani palestinesi d’Italia (Gpi),che ha raccolto più di cento adesioni tra associazioni studentesche, organizzazioni, collettivi.

La campagna di boicottaggio accademico promossa da Giovani palestinesi d’Italia si ispira alla Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (Pacbi), nata nel 2004, al fine di promuovere il boicottaggio delle istituzioni culturali e accademiche israeliane complici del complesso militare-industriale israeliano. Il boicottaggio si rivolge alle istituzioni che negano ai e alle palestinesi diritti fondamentali garantiti dal diritto internazionale, inclusi la libertà accademica e il diritto all’educazione. Come la campagna PacbiI, la campagna promossa da Gpi sostiene la libertà accademica adottando la seguente definizione dell’Unescr:

La libertà accademica include la libertà degli individui ad esprimere liberamente opinioni riguardo l’istituzione o il sistema in cui lavorano, ad adempiere alle proprie funzioni senza discriminazione o paura di repressione da parte dello Stato e da qualsiasi altro attore, ad essere partecipi nei corpi accademici professionali o di rappresentanza, e a godere di tutti i diritti umani riconosciuti internazionalmente applicabili ad altri individui nella stessa giurisdizione. Il godimento della libertà accademica comporta degli obblighi, come il dovere di rispettare la libertà accademica degli altri, di assicurare una giusta discussione tra punti di vista differenti, e di trattare tutti senza discriminazione basata su qualsivoglia «terreno proibito». 

Le istituzioni accademiche israeliane sono soggette a boicottaggio a causa della loro profonda e consapevole complicità nel perpetrare l’occupazione israeliana e la negazione dei diritti fondamentali dei e delle palestinesi; sia attraverso il loro silenzio, che rappresenta un effettivo coinvolgimento volto a giustificare, occultare, normalizzare o altrimenti deliberatamente sviare l’attenzione dalle violazioni israeliane del diritto internazionale e dei diritti umani; o addirittura attraverso la loro diretta collaborazione con le agenzie statali nella pianificazione e nella realizzazione di progetti che violano il diritto internazionale e i diritti del popolo palestinese. Nello specifico i Giovani palestinesi d’Italia in collaborazione con le rappresentanze studentesche negli organi accademici, hanno prodotto una lettera di richiesta di cessazione degli accordi tra l’Università degli Studi di Milano e l’ateneo di Ariel. Si tratta di un accordo interuniversitario tra la facoltà di Agraria e l’ateneo nella colonia. L’Università di Ariel sorge in insediamenti illegalmente costruiti su territori palestinesi in Cisgiordania. La Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e la Striscia di Gaza sono state occupate da Israele nel 1967 e sono considerate a livello internazionale come Territorio palestinese occupato. Come è già stato ribadito in diverse occasioni da molteplici organismi internazionali, fra cui il Consiglio per i diritti umani e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, gli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi occupati costituiscono una grave violazione del diritto internazionale.

Fra le varie risoluzioni adottate dagli organismi internazionali emerge in particolare la Risoluzione 2334, approvata il 23 dicembre 2016 dal Consiglio di Sicurezza Onu, che – riconfermando quanto disposto in precedenti risoluzioni – afferma che la costituzione da parte di Israele di colonie nei Territori palestinesi occupati dal 1967, compresa Gerusalemme Est, «non ha validità legale e costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale» e insiste nel richiedere a Israele di interrompere immediatamente e completamente tutte le attività di colonizzazione in tali territori, intimandolo al rispetto dei propri obblighi a tal proposito.

Dal punto di vista del diritto internazionale pattizio e consuetudinario, infatti, la Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 all’art. 49 proibisce il trasferimento della popolazione civile della potenza occupante nel territorio da essa occupato militarmente. Tale pratica è stata poi riconosciuta come «grave infrazione» e conseguentemente come crimine di guerra dall’art. 85 del Protocollo Aggiuntivo I alle Convenzioni di Ginevra.

Inoltre, il trasferimento da parte di una potenza occupante di parte della sua popolazione civile all’interno dei territori occupati al fine di colonizzarli integra un crimine di guerra ex art. 8 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Tale aspetto è ora più che mai rilevante, in quanto i crimini internazionali commessi in Israele/Palestina sono attualmente sotto esame presso la Corte penale internazionale, la quale è stata chiamata a stabilire le responsabilità penali anche per la fattispecie di reato prevista proprio dall’istituzione di colonie nei territori occupati. 

A oggi sono state raccolte in calce alla richiesta sottoposta ai massimi organi dell’Università di Milano, più di 700 firme del mondo studentesco e diverse decine tra il personale docente tra cui la professoressa Chantal Meloni e il professor Marco Pedrazzi i quali sono tra i membri della neonata Commissione, costituita presso il Gabinetto della Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, per elaborare il progetto di un Codice dei Crimini internazionali). Lo scorso 15 marzo i rappresentanti al Senato Accademico hanno presentato la richiesta della cessazione del sopracitato accordo, a oggi nessuna notizia è pervenuta. 

*Jamila Sit Aboha è contributor writer, podcaster, ricercatrice italo-palestinese. Fa parte dei Giovani Palestinesi d’Italia ed è autrice del podcast Cronache in Diaspora realizzato in collaborazione con il sito di informazione NenaNews Agency. Si occupa di comunicazione e advocacy in collaborazione con Elsc-European Legal Support Center. Ha scritto per Arabpop, Gli Asini, Jacobin Italia e Il Manifesto.

[nella foto, l’Università islamica di Gaza presa di mira dalle forze di occupazione israeliana nel 2014]

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