Gli scioperi anomali dei rider
Lo sciopero padovano dei ciclofattorini dello scorso settembre è un esempio di come alcune pratiche di lotta possono diventare efficaci anche tra le categorie in cui l'iniziativa sindacale ha più difficoltà a radicarsi
Il 30 settembre 2024 ai padovani di passaggio per piazza Mazzini doveva apparire una scena piuttosto inusuale. Ai piedi dell’imponente statua del patriota ottocentesco, in mezzo a uno spiazzo solitamente di passaggio (senza panchine, su insistenza di alcuni residenti, per evitare presenze «sgradite»), i passanti potevano osservare decine di biciclette elettriche allineate a chiudere una piazza insolitamente gremita. In mezzo, decine di rider – tutti uomini, tutti razzializzati – con le loro divise gialle e azzurre erano disposti a semicerchio fronteggiando quattro trentenni, tutti bianchi e dall’inconfondibile allure hipster tipica della «classe creativa». Uno di questi armeggiava con un piccolo MacBook coperto di adesivi, modificando in diretta i parametri delle misere condizioni retributive della app, mentre i lavoratori verificavano sui loro cellulari che i miglioramenti promessi stessero effettivamente concretizzandosi. Nel tardo pomeriggio di quel lunedì si stava per concludere uno sciopero spontaneo che aveva bloccato per tutto il fine settimana precedente Glovo e in parte Deliveroo a Padova. I lavoratori avevano vinto. Poco, ma avevano vinto.
Il sangue e la rabbia
Per capire l’origine di una scena così inusuale è necessario fare un passo indietro. Una ventina di giorni prima, a Limena – un Comune della periferia padovana – il trentunenne Alì Jamat era stato investito in bici mentre stava consegnando ordini per Glovo. Nelle stesse ore, in Pakistan, sua moglie stava dando alla luce il loro secondo figlio. Alì Jamat era uno dei centinaia di pakistani impiegati nel food delivery a Padova e dintorni. A partire dal boom del Covid, la manodopera di questo settore è infatti radicalmente cambiata. Alla «tradizionale» componente di studenti di origine italiana impiegati per mantenersi agli studi si sono sostituiti in larga parte lavoratori di ogni età prevalentemente provenienti dal subcontinente indiano, integrati da universitari stranieri di varia nazionalità.
Dopo qualche giorno di agonia, Alì è morto all’ospedale di Padova. Il funerale si è svolto però qualche settimana dopo, il 26 settembre, al centro islamico del quartiere popolare dell’Arcella. Attorno a questa data, i lavoratori di Glovo hanno iniziato a pensare a bloccare l’app. Dopo essersi mobilitati all’interno delle strutture comunitarie per raccogliere alcune migliaia di euro da destinare alle spese funebri, i lavoratori hanno condiviso il loro crescente malcontento dovuto al calo dei compensi e degli ordini verificatosi negli ultimi mesi. Attraverso una chat di gruppo attiva da tempo, i rider si sono quindi convocati per sabato 28 settembre in piazza Mazzini, uno dei tanti luoghi in cui sono soliti trovarsi fra una consegna e l’altra. È iniziato così un anomalo sciopero, spontaneo e a oltranza, inatteso tanto dalla app quanto dalla società padovana.
Cinque anni di lotte
Il capoluogo veneto non è nuovo a mobilitazioni dei rider. Dalla nascita dei primi gruppi organizzati nel 2017 in alcuni centri del Nord Italia, diverse iniziative sono state prese in questo senso. Nel febbraio 2019, una quindicina di rider padovani di Just Eat organizzati dalla Filt-Cgil sono scesi in sciopero per un intero fine settimana per lottare contro il mancato rinnovo del loro contratto a tempo determinato, in un complesso gioco di forniture e subappalti. Nel novembre 2019 una legge del governo giallorosso Conte ha esteso alcune garanzie e tutele per i rider, creando le premesse per la sottoscrizione nel settembre 2020 di un primo contratto collettivo nazionale di categoria firmato dall’associazione datoriale Assodelivery e dall’Ugl, un sindacato di destra con scarsa, se non nulla, rappresentanza nel settore.
Nei primi mesi del 2021, in pieno boom del settore, l’Adl Cobas ha promosso alcune partecipate mobilitazioni dei rider per protestare contro un contratto da molti considerato «pirata» per le sue condizioni svantaggiose. Anche in seguito alla mobilitazione dei lavoratori, nel marzo dello stesso anno Just Eat era uscita da Assodelivery, sottoscrivendo il contratto collettivo della Logistica con i sindacati confederali. Per la prima volta, a una parte dei rider italiani era riconosciuta la natura subordinata del proprio lavoro, regolamentando festività, lavoro straordinario, ferie, malattia, maternità/paternità.
All’interno del settore si creava così una divaricazione di condizioni fra i rider dipendenti da Just Eat e quelli, più svantaggiati per condizioni e tutele, inquadrati ancora come lavoratori autonomi dalle altre app, fra cui Glovo. In questo contesto si è sviluppata un’altra mobilitazione nel capoluogo veneto, dove nel marzo 2022 si è verificato uno sciopero di due ore proclamato dall’Adl Padova nei confronti di Mymenù, che proprio pochi mesi dopo ha seguito l’esempio di Just Eat sottoscrivendo il contratto nazionale della Logistica. I sindacati padovani hanno però stentato a trovare un radicamento stabile fra i rider della città. Nel dicembre del 2023 l’Adl Cobas dichiarava solo una decina di iscritti nel capoluogo, mentre il tentativo della Cgil di aprire uno sportello nel polo studentesco del Portello non ha avuto successo in termini sindacali.
Il food delivery stava d’altro canto velocemente cambiando. Dopo il boom portato dal lockdown, il settore si è fatto più competitivo e meno profittevole per le aziende. Al calo degli ordini hanno corrisposto la chiusura prima di Uber Eats nell’estate 2023 e qualche mese dopo di Mymenù – assorbito di fatto da Just Eat nel novembre 2023. A Padova si trovano così a operare solo tre aziende (Just Eat, Deliveroo e Glovo) in una concorrenza che – come denunciato dai lavoratori durante lo sciopero – sta andando a scaricarsi sulle condizioni lavorative e le retribuzioni.
Lo sciopero di piazza Mazzini
La morte di Alì Jamat ha agito da detonatore per una situazione di latente malcontento fra i rider padovani. Il profilo di questi ultimi è difficile da tracciare e sfugge in parte agli stessi sindacati. Oltre alla quasi esclusività maschile e alla prevalenza di rider razzializzati, la forza lavoro del food delivery appare talmente frammentata da rendere difficile alcuna generalizzazione. Non solo il profilo dei lavoratori non è del tutto omogeneo fra le diverse app, ma persino all’interno della stessa si possono trovare lavoratori impiegati a tempo pieno o solo per poche ore a settimana. È per questo degna di nota la compattezza con cui i rider di Glovo hanno iniziato il loro sciopero sabato 28 mattina. Una compattezza che si spiega almeno parzialmente con la natura comunitaria dei coinvolti, in gran parte di origine pakistana, che ha certo facilitato la creazione di legami di solidarietà fra lavoratori.
Da subito la mobilitazione si è contraddistinta per due caratteristiche: uno sciopero a oltranza e spontaneo. Nessuna organizzazione sindacale ha infatti assistito i rider nelle prime fasi della mobilitazione. Questi si sono mossi autonomamente, sfruttando la chat Whatsapp dove si scambiano abitualmente informazioni in inglese. L’intervento del Nidil-Cgil, che si è poi rivelato fondamentale nella chiusura dell’accordo, è avvenuto infatti solo durante la seconda giornata di sciopero. Se infatti alcuni lavoratori avevano contattato il sindacato confederale già nel corso della precedente settimana, gli stessi hanno deciso di muoversi non aspettando una copertura sindacale formale. Trattandosi di lavoratori autonomi, hanno fatto della loro posizione di debolezza strutturale una forza: avendo ben pochi diritti, i rider di Glovo hanno anche ben pochi doveri. Lo sciopero a oltranza, strumento di difficile applicazione in settori del lavoro più tutelati, è quindi sembrato un mezzo adeguato e sostenibile ai rider.
Lunedì 30 settembre, il terzo giorno di sciopero, sono arrivati da Milano i rappresentanti della multinazionale spagnola, che avevano fatto un primo passaggio al presidio il giorno prima per capire cosa stesse succedendo nella città veneta. Il lunedì mattina, quindi, gli inviati di Glovo si sono incontrati con quattro rider espressione del presidio in un vicino spazio di coworking. Di fronte a un primo nulla di fatto, si è svolto un secondo round di trattative, questa volta alla presenza del segretario generale del Nidil-Cgil Padova Mirko Romanato e del membro di origine pakistana della consulta comunale degli stranieri Khan Raja Iftikhar Ahmed. Dopo alcune ore di serrate e non facili trattative, le delegazioni hanno trovato un accordo sull’aumento del 10% della paga base per ogni consegna (da 3€ a 3,30€), l’aumento dei moltiplicatori per alcune fasce orarie e l’impegno a concretizzare l’indennità in caso di pioggia. Non è stata invece accolta la richiesta dei lavoratori di mettere una nuova mora sui ristoranti che consegnano con ritardo, facendo perdere minuti preziosi ai rider, ma l’azienda si è impegnata a fare pressione sugli stessi per evitare il riproporsi di queste situazioni.
Tanto gli inviati di Glovo quanto la rappresentanza dei lavoratori sono quindi ritornati in piazza Mazzini, dove li attendevano decine di rider in attesa di notizie. I termini dell’accordo sono stati esposti ai lavoratori, mentre uno dei rappresentanti di Glovo modificava in diretta le condizioni sulla app – provocando anche qualche momento di tensione con i rider, attenti a verificare che tutte le promesse si materializzassero sui loro cellulari. Dopo qualche decina di minuti, i lavoratori sono esplosi in un festoso applauso, ringraziando calorosamente i rappresentanti di Glovo per l’accordo raggiunto. Uno di questi, allontanandosi trafelato verso la stazione ferroviaria, ha rivolto ai rider il suo saluto: «Now you go back to work, eh?».
In pochi minuti, i lavoratori di Glovo erano sulle loro bici a consegnare ordini, mentre la piazza tornava al suo placido, ordinario, via vai.
Un’anomalia?
Lo sciopero di piazza Mazzini può apparire, e per certi versi è, un’anomalia nel campo delle mobilitazioni dei rider. La causa scatenante – la morte di Alì Jamat – non è un caso isolato in questo settore dove gli incidenti stradali sono purtroppo frequenti. La mobilitazione dei suoi colleghi padovani si è poi rivolta non tanto verso la questione sicurezza, quanto sulle sempre più degradate condizioni economiche in cui si trovano a lavorare. Più che nelle cause o nelle rivendicazioni, la vera anomalia di questo sciopero sembra stare nel carattere spontaneo della mobilitazione che, in questo caso, ha preceduto un’iniziativa sindacale che strutturalmente stenta a radicarsi in un settore estremamente frammentato.
Anche il tardivo coinvolgimento del Nidil-Cgil, però, non è frutto del caso. Come spiega infatti Mirko Romanato, questo è stato il risultato di un lavoro di contatto con i rider che va avanti da mesi. I sindacalisti della categoria, infatti, si recano periodicamente nei luoghi di ritrovo dei rider padovani prima che inizi il rush delle consegne serali. In queste occasioni, offrono loro assistenza e raccolgono informazioni su un settore di difficile decifrazione. Pur avendo iscritto una trentina di rider in occasione dello sciopero, il Nidil-Cgil prevede di continuare questo tipo di attività piuttosto che provare a convocare assemblee sindacali che, inevitabilmente, rischierebbero di andare deserte. Allo stesso tempo, nei prossimi mesi si aprirà la vertenza per il rinnovo del contratto nazionale firmato da Assodelivery che potrebbe portare alcuni miglioramenti anche ai rider di Glovo e Deliveroo – anche se non sembra in discussione la natura di lavoratori autonomi degli questi ultimi.
L’organizzazione dei rider passa così per un lavoro di cura e di assistenza costante, senza concrete prospettive di capitalizzazione politica o organizzativa sul lungo periodo. Al tempo stesso, i rider si trovano sempre più pressati dall’abbassamento del costo del lavoro imposto dalla concorrenza fra app in un settore in veloce ristrutturazione. Al principio di novembre 2024, per esempio, Just Eat ha annunciato il licenziamento dei cinquanta dipendenti dei suoi call center al fine di delocalizzare il servizio in Albania.
Se il vittorioso sciopero di piazza Mazzini è stato un’anomalia nelle lotte dei rider italiani, è da vedere come questa categoria di lavoratori, spesso marginalizzati e impegnati in un’attività rischiosa e a basso reddito, reagiranno al tentativo delle app di scaricare sulle loro spalle e sui loro salari la ristrutturazione del settore.
*Stefano Poggi è post-doc presso l’Accademia Austriaca delle Scienze (Oaw) di Vienna.
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