Gli spazi di relazione, gli spazi per sé
Dentro casa le donne si trovano più sole, con maggior lavoro domestico sulle spalle e più rischi di violenza. L'esperienza di mutualismo dello Spazio Donna Zen di Palermo mostra come ricostruire senso di comunità in tempi di emergenza
Da anni ormai, nel nostro lavoro sociale, ci occupiamo prevalentemente di attività con le donne dei quartieri più disagiati ed emarginati della nostra città, Palermo. Dal 10 marzo le nostre attività nei centri aggregativi e sulla strada si sono interrotte per l’emergenza Coronavirus e siamo state costrette a inventarci forme nuove per stare con le donne che, in una quotidiana normalità, frequentano le nostre attività e passano quasi tutte le mattine all’interno di un gruppo solidale ed eterogeneo, in cui le differenze quasi non si percepiscono. Eterogeneo per età (che varia tra i 14 e i 70 anni), per condizione sociale (ci siamo noi operatrici precarie per definizione; le cosiddette «beneficiarie» – parola che detestiamo, siamo tutte beneficiarie – che usufruiscono del reddito di cittadinanza o di altre forme di sostegno o hanno redditi molto bassi; le volontarie solitamente di classe media), per provenienza geografica (perlopiù palermitane, provenienti da diversi paesi europei le volontarie, alcune del nord Italia).
Adesso che siamo in quarantena invece le differenze emergono più che mai. Siamo un gruppo di donne affiatato e da quando il centro è chiuso sentiamo molto la mancanza le une delle altre. Adesso che ognuna è chiusa nella sua casa si è intensificato moltissimo il nostro rapporto virtuale, sulle chat di gruppo, individuali e, quando è possibile, con infinite telefonate e videochiamate.
Le case nelle periferie palermitane sono state, nella maggioranza dei casi, occupate alcuni decenni fa da nuclei familiari appena formati, che negli anni sono cresciuti e oggi risultano piccole per ospitare famiglie numerose: le donne vivono di solito con i mariti e due, tre, quattro, o a volte cinque figli, in alcuni casi con suoceri o genitori, a volte i primogeniti sono anche con mogli o mariti e figli. Ci si trova sole ad affrontare la gestione della casa e di tutta la famiglia, mariti compresi, che in questo momento sono tutti a casa e non sono certo di supporto: nella maggioranza dei casi vanno solamente a fare la spesa, togliendo alle donne l’unica possibilità concessa per uscire di casa e distrarsi un po’.
L’emergenza nell’emergenza
Le donne in questo momento si sentono sole, immerse in mille problemi da cui non c’è mai distacco e distrazione, mai un’interruzione. Qui i temi si sovrappongono, si intersecano. Quali sono le priorità? Vengono prima i bambini? Confusi, annoiati, costretti tutto il giorno a casa senza scuola, senza relazioni tra pari, senza possibilità di giocare all’aria aperta, senza potersi stancare, soli, in classi virtuali che faticano a seguire (soprattutto considerando che parliamo di quartieri con tassi bassissimi di scolarizzazione e altissimi di dispersione scolastica), senza giochi a casa.
Le difficoltà delle donne nella gestione dei compiti scolastici generano frustrazione e nervosismo, spesso le donne non hanno gli strumenti culturali per fare da maestre a uno, due o più figli di differenti età che frequentano classi differenti. Non ci sono computer nelle case, tranne in rarissimi casi, l’unico strumento utilizzabile sono i telefonini e anche Ia rete wifi è una rarità.
Pulire la casa, cucinare, gestire dinamiche familiari talvolta complesse per chi convive anche con genitori o suoceri o con la famiglia dei figli più grandi, fare giocare i bambini, gestire noia e nervosismo dei mariti… tutto grava sulle spalle delle donne. Sommiamo a questo le difficoltà economiche, visto che in questo momento nessuno può lavorare e procurarsi quel minimo necessario alla sopravvivenza. Chi beneficia di redditi e sussidi vari fa fatica a fare la spesa, figuriamoci chi si è sempre arrangiato alla giornata. Crescono le situazioni di povertà estrema.
Per non parlare dei casi di mariti violenti da cui le donne in questo momento non hanno via di scampo, in una situazione in cui, tra l’altro, le ragioni di nervosismo si amplificano e chiedere aiuto diventa impossibile (non a caso a livello nazionale le chiamate al 1522 si sono ridotte del 55%). O dei casi di donne completamente sole, senza figli, senza mariti o compagni, perché abbandonate o perché in carcere, che passano giornate intere senza rivolgere parola a nessuno, chiuse tutto il tempo con i propri pensieri. Il rischio è di impazzire.
In alcuni rari casi siamo state contattate dai mariti, quelli più sensibili e attenti, che comprendono le difficoltà delle compagne e ci mandano richieste d’aiuto. Le vedono stanche, nervose, si rendono conto che tutto è sulle loro spalle e che loro non hanno strumenti per sostenerle.
Il contatto a distanza
Nelle quotidiane chiacchierate in chat o nelle telefonate o videochiamate, le donne ci raccontano i tanti sentimenti contrastanti che le attraversano: le loro difficoltà, il senso di solitudine, il sentirsi in trappola, la frustrazione, l’essere impotenti di fronte a ciò che accade dentro e fuori le loro case, il non avere mai uno spazio e un tempo da dedicare a loro stesse, ma non perdono l’ironia, la voglia di scherzare e sdrammatizzare, l’energia positiva e la forza di andare avanti, trovando ogni giorno un’idea nuova in cucina o un nuovo gioco da fare coi bambini e le bambine, o una poesia scritta a quattro mani con qualche figlia o figlio.
Le chat di gruppo invece sono un continuo scambio di battute, di ricette, di consigli, e raccontano la voglia di continuare a stare insieme e insieme superare anche questo momento. Ci sarebbe bisogno di un diffuso supporto psicologico (forse per tutta la popolazione una volta terminata la quarantena) e invece, quasi tutte le donne che hanno usufruito dello sportello d’ascolto che mettiamo a disposizione nell’ordinaria attività del centro, ora trasformato in sportello d’ascolto telefonico, hanno interrotto il percorso o diradato gli incontri con la psicologa: per mancanza di tempo (i telefoni sono sempre occupati dai compiti dei figli) o di spazio (nelle case non ci sono luoghi dove le donne si possono isolare) o di intimità (continue interruzioni da parte di mariti infastiditi dalle telefonate delle mogli e figli che non riescono a concepire le esigenze delle madri). E allora le donne, come pentole a pressione, continuano nella dura quotidianità, dimostrando una forza di resistenza quasi sovrannaturale.
Alcune, quelle che vivono le situazioni migliori a casa, quelle che hanno meno difficoltà economiche, quelle che hanno sviluppato più strumenti e capacità, si dedicano alle altre, fanno video con tutorial, cucinano in diretta facebook, fanno video divertenti, mostrando solidarietà e alimentando una comunità al femminile che si sostiene da sé. Ma la domanda è quanto potranno resistere, quali saranno i risvolti di questo periodo, quanto ce li porteremo dietro e soprattutto come ne usciremo.
Molte realtà come la nostra, che permettono di socializzare, creare, sentirsi libere, trovare parole o ascoltarne di nuove, che comprendono donne, ragazze bambini e bambine, in questo periodo di annullamento di relazioni quotidiane e fisiche si sono interrogate su quale fosse il modo più adatto di ripensare la presenza nei quartieri. Le chat, le videochiamate, la proposta di attività da fare a casa con i bambini, il supporto per indirizzarle ai servizi che in questo momento si sono attivati nel territorio per fare fronte alle situazioni di disagio sono solo alcune delle possibilità. Insieme a queste è importante non perdere il filo di un discorso costruito in anni di attività, fatto di parole che hanno fatto crescere tutte, perché le hanno messe nella condizione di confrontarsi con una parte di loro che per anni forse avevano tenuta nascosta, a cui non avevano dato una possibilità per emergere ed emanciparsi.
Radio Spazio Donna Zen
È questo discorso che teniamo vivo settimanalmente con Radio Spazio Donna Zen, uno strumento discreto per entrare nelle case e nelle vite delle donne che conosciamo e di tutte le altre che ci ascoltano per caso, una trasmissione della durata di circa trenta minuti, ospitata nel palinsesto di Radio Comunitaria (nata da poche settimane a Palermo per mettere in rete i percorsi di alcune delle realtà che condividono metodi e obiettivi e operano in diversi ambiti e zone della città), in cui proponiamo differenti rubriche, ognuna curata da chi lavora allo spazio donna: i consigli per affrontare questo periodo di chiusura a casa e dare nome alle emozioni che tutte proviamo, le proposte di attività da fare a casa con i bambini, tenendo conto del poco materiale a disposizione, la spiegazione delle carte Madre Pace, dei tarocchi speciali creati da Vicky Noble, la lettura di favole e filastrocche di Rodari, la lettura di articoli che riflettono sulla situazione attuale dal punto di vista delle donne. Si sono poi aggiunte le rubriche informative sui servizi offerti dal Comune, dal supporto economico a quello psicologico e sociale.
Sappiamo di arrivare ogni settimana a tante ma non ancora a tutte, ma siamo anche consapevoli di aver aperto una scatola, o meglio la porta, in questo momento chiusa, del posto dove lavoriamo in quartiere, di pronunciare parole che possano diventare «parlate da altre», sempre con la nostra disposizione, d’animo ma anche lavorativa, duttile. Il tempo e lo spazio delle relazioni sembra si annullino per quei trenta minuti.
Gocce nelle strade
A un certo punto, però, il richiamo del quartiere è stato più forte. Appena ricevuta l’autorizzazione del Comune per poter riprendere la presenza in strada, con guanti e mascherine e nel rispetto rigoroso di tutte le norme anti contagio, abbiamo ripreso a stare nei nostri luoghi. All’inizio l’impatto è stato forte. Dopo quasi tre settimane di assenza abbiamo trovato un quartiere provato dalla quarantena: persone intristite e smunte, molte situazioni economiche quasi tragiche, preoccupazione per una situazione che non accenna a migliorare, sensazione di abbandono. Dopo il primo momento di scoraggiamento abbiamo cercato di trovare piccoli modi per essere utili: abbiamo trasformato alcune voci di spesa dei progetti in buoni alimentari da distribuire a chi è più in difficoltà, informato le persone sulla possibilità di accedere ai fondi comunali per far fronte all’emergenza, per ottenere buoni spesa settimanali e aiutato nella compilazione delle domande.
Ma la macchina comunale è lenta e inadeguata. Le risposte alle domande di assistenza inoltrate tardano ad arrivare e nonostante l’impegno di alcuni politici (pochi) che, attraverso donazioni di privati e non fondi pubblici, riescono a garantirci una distribuzione settimanale di buoni spesa, le difficoltà delle persone permangono. Per fortuna esistono numerose realtà associative che, nonostante le difficoltà, non abbandonano i territori. Lo Stato mostra la sua distanza quando piuttosto che dare risposte immediate all’enorme crisi economica che vivono i territori più ai margini, riesce a manifestare la sua presenza solo con la repressione delle grigliate di pasquetta attraverso un inutile e costoso dispiego di forze dell’ordine in assetto antisommossa che minacciosamente percorrono le strade.
Noi che abbiamo sempre lavorato per l’empowerment e l’autonomia, evitando qualunque forma di assistenzialismo, oggi distribuiamo buoni spesa convinte che in questo momento la nostra militanza sia stare sul territorio, nelle difficoltà, nelle contraddizioni, portando allegria e alimentando quel senso di comunità che è alla base della nostra azione. Stiamo cercando i fondi per riuscire a distribuire, insieme ai buoni spesa, anche libri e kit per i bambini, perché pensiamo vada nutrito sempre e comunque il desiderio di crescita. Un senso di comunità che si manifesta anche quando le famiglie che beneficiano di qualche sussidio ci indicano quelle che non hanno nessuna entrata, dimostrando che, al di là di ogni stigma, le periferie sono luoghi di solidarietà. Una voglia di stare insieme che si manifesta nelle chiacchierate nei cortili, dai balconi, con le persone affacciate a programmare feste di quartiere, grigliate collettive, musica e balli a fine quarantena, tenendo saldo il filo delle relazioni che neanche la situazione attuale riuscirà a spezzare.
Siamo qui, una goccia nell’oceano.
*Lara Salomone, laureata in architettura, è educatrice di strada e operatrice sociale per l’associazione Handala. Vivian Celestino è laureata in architettura ed esperta di comunicazione. Anna Maria Costantino è psicoterapeuta e diplomata all’Accademia Internazionale di Danza Butoh. Antonio Puccia è diplomato all’Accademia Nazionale D’arte Drammatica “Silvio D’Amico” e laureato in Scienze dell’Educazione. Iliana Ciulla è psicologa ed esperta sulla violenza maschile contro le donne. Tutte e tutti sono attivi con varie responsabilità nello Spazio Donna Zen di Palermo.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.