
Grandi navi, grande inquinamento
Quello marittimo è il metodo di trasporto più efficace su larghe distanze. Ma ha un enorme impatto socio-ambientale
Oltre l’80% del volume del commercio internazionale di beni come cibo, materiali da costruzione, carburanti e prodotti chimici, è trasportato via mare e diversi studi prevedono un aumento di questo flusso nei prossimi anni. Nel Regolamento dell’Unione europea 2023/1805 sull’Uso di combustibili rinnovabili e a basse emissioni di anidride carbonica nel trasporto marittimo viene evidenziato che il trasporto navale rappresenta il 75% del commercio estero e il 31% del commercio interno, in termini di volume, e ogni anno nei porti degli Stati membri dell’Unione europea si imbarcano o sbarcano circa 400 milioni di persone.
Il problema delle emissioni navali e le conseguenze che causano incidono negativamente sull’ambiente e sulla salute. Queste contribuiscono all’effetto serra e quindi al riscaldamento globale e, come indicato nel quarto studio sui gas serra elaborato dalla International Maritime Organization (Imo), l’agenzia delle Nazioni unite che si occupa della sicurezza e della protezione dei trasporti marittimi e della prevenzione dell’inquinamento marino e atmosferico causato dalle navi, il trasporto navale internazionale è responsabile del 3% delle emissioni di gas serra globali e di circa il 13% e il 12% delle emissioni di ossidi di azoto (NOx) e ossidi di zolfo (SOx). In più le previsioni ne stimano un aumento che può variare dal 50% al 250% entro il 2050, se non verranno prese le necessarie contromisure.
Il contributo di un gas serra, come ad esempio l’anidride carbonica (CO2) e il metano (CH4), al riscaldamento globale viene misurato tramite il Global Warming Potential (Gwp), potenziale di riscaldamento globale, prendendo come riferimento il valore Gwp uguale a 1 per l’anidride carbonica.
Gli ossidi di azoto, derivanti dalla reazione tra azoto e ossigeno che avviene nei motori, provocano danni agli ecosistemi acquatici nei fiumi e nei laghi, alimentando il fenomeno dell’eutrofizzazione. Gli ossidi di zolfo, derivanti dalla combustione dei carburanti che contengono zolfo, provocano danni all’ambiente marino contribuendo alla formazione di piogge acide.
Non solo, queste due componenti, insieme al particolato, sono tra le più impattanti dei fumi navali, creando problemi cardiaci e alle vie respiratorie. Aspetto particolarmente preoccupante se consideriamo che le navi spesso navigano in aree costiere o stazionano in rada e in porto con motori accesi, avendo così conseguenze dirette sulle città e quindi sulle persone che le vivono. Solo per cancro e malattie cardiovascolari è stato stimato che le emissioni navali sono responsabili di circa 250.000 morti premature all’anno in tutto il mondo.
Per fare un esempio concreto, possiamo citare un approfondimento realizzato da Transport & Environment, organizzazione europea che si occupa di mobilità a emissioni zero, accessibile e con un impatto minimo su salute, clima e ambiente. Lo studio, intitolato The return of cruise – How luxury cruises are polluting Europe’s cities, pubblicato nel 2023, confronta le emissioni di SOx, NOx, e PM2.5 del traffico veicolare con quello delle navi da crociera nelle città portuali europee. Queste, seppure siano una fetta piccola del traffico marittimo internazionale, a causa della loro enorme richiesta di energia che comporta un elevato consumo di carburante, rappresentano una fonte significativa di inquinamento. Le prime quattro città italiane che sono considerate nello studio e che rientrano nelle venti città portuali più inquinate in Europa sono Civitavecchia, Napoli, Genova e Livorno. A Civitavecchia, seconda città in Europa per emissioni derivanti da navi da crociera dopo Barcellona, nel 2022, 103 unità hanno prodotto 16.307 Kg di ossidi di zolfo, circa 39 volte in più del traffico veicolare della stessa città. Nel complesso, in questa inquietante classifica, l’Italia si attesta al primo posto con 3.720 tonnellate di ossidi di zolfo totali emesse, davanti a Spagna e Grecia.
Per questi motivi negli ultimi anni si sono moltiplicate le forme di lotta e contro informazione in varie città portuali italiane e non.
Il comitato No Grandi Navi da tanto tempo ormai si batte per impedire alle grandi navi da crociera di attraversare la laguna di Venezia per evitare l’inquinamento da emissioni delle stesse ma anche danni di carattere idrodinamico e morfologico. È interessante notare che nello studio di Transport & Environment già menzionato, Venezia, a seguito del divieto imposto alle navi da crociera superiori alle 25.000 GT di entrare nelle acque della città, è scesa dal 1° al 41° posto rispetto al 2019 abbattendo le emissioni di ossidi di zolfo di circa l’80%. Lo scorso settembre ad Ancona un migliaio di persone sono scese in piazza in occasione della manifestazione promossa da Ancona: porto, ambiente, salute e lavoro contro il banchinamento per le grandi navi, che aprirebbe le porte alle grandi navi da crociera con un impatto sociale e ambientale altamente negativo. Citiamo anche l’Associazione Livorno Porto Pulito che dal 2022 si batte contro l’inquinamento causato dai fumi navali nella città di Livorno. L’associazione porta avanti diverse iniziative sia di tipo informativo e divulgativo sia di lotta, ed è riuscita a smuovere un dibattito e una crescente attenzione da parte delle istituzioni. Recentemente ha presentato in Comune una petizione popolare firmata da 1.200 persone, con la quale si fanno precise richieste sul monitoraggio dell’inquinamento navale e l’elettrificazione delle banchine (cold ironing). Infine, a pochi passi dall’Italia, troviamo a Marsiglia il comitato Stop Croisières che porta avanti iniziative anche di disturbo, tramite piccole imbarcazioni, contro la distruzione dell’ambiente marino da parte delle navi da crociera.Queste lotte si inseriscono in una rete europea, coordinata in Italia dall’associazione Cittadini per l’aria nel contesto della campagna «Facciamo respirare il Mediterraneo» per la riduzione delle emissioni inquinanti.
L’opposizione all’inquinamento navale si sta allargando e sta entrando nel dibattito pubblico, con le navi da crociera che probabilmente ne rappresentano l’aspetto più riconoscibile e facilmente associabile al sistema capitalista: enormi parchi giochi e centri commerciali galleggianti costruiti solo per il profitto e che inquinano a dismisura.
All’interno dell’Annex VI della Marpol, la principale convenzione dell’International Maritime Organization che tratta specificatamente la prevenzione dall’inquinamento causato da navi, sono definite le aree a emissioni controllate (Eca – Emission Control Area), in cui sono in vigore limiti più stringenti per ossidi di azoto, ossidi di zolfo e particolato. Dal primo maggio 2025 il Mar Mediterraneo si aggiungerà a questo elenco e al suo interno dovrà essere rispettato il limite dello 0,1% di contenuto di zolfo nei carburanti – per avere un termine di paragone, per i mezzi su strada i limiti sono dello 0,001%. Ma non basta. Considerando anche che l’Imo, nella sua strategia sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra delle navi, prevede di raggiungere emissioni di gas a effetto serra pari a zero entro il 2050, le richieste per questa opposizione dovrebbero continuare a essere chiare e muoversi su più fronti: dall’incremento dei controlli a bordo, in particolare sulla manutenzione degli impianti e l’uso dei combustibili, ai monitoraggi dell’aria da parte delle autorità competenti. Allo stesso tempo dovrebbero essere messe in campo normative più stringenti per la definizione di aree a emissioni controllate, come ad esempio l’allargamento dei limiti nel Mar Mediterraneo anche per gli ossidi di azoto. Infine dovrebbero essere fatti investimenti su quelle tecnologie che migliorano l’efficienza energetica delle navi e presentano meno problematiche dal punto di vista ambientale consentendo così di arrivare alla decarbonizzazione e all’indipendenza dai combustibili fossili del settore nel più breve tempo possibile, evitando soluzioni che vengono presentate come «green» ma che nella realtà non lo sono. Si pensi ad esempio al Gnl – gas naturale liquefatto, composto principalmente da metano il quale ha un elevato Gwp pari a 25 su cento anni – oppure ai biocarburanti, che se prodotti da colture (come nel caso della soia, dei cereali, del granoturco o della colza) hanno come effetto la deforestazione e la perdita di biodiversità. Per questo, le caratteristiche dei combustibili in termini di emissioni dovrebbero essere valutate tenendo conto dell’intera filiera di produzione – considerando cioè l’impatto della produzione, del trasporto, della distribuzione, e dell’uso a bordo dell’energia. Sempre Transport & Environment indica negli e-fuels, combustibili rinnovabili di origine non biologica, tipo e-idrogeno, e-ammoniaca ed e-metanolo, una delle soluzioni più promettenti.
Un argomento a ogni modo non semplice che riguarda tutto il settore dei trasporti, come stiamo vedendo negli ultimi mesi con la crisi del mercato dell’automotive in Europa. Per questo non possiamo considerare il tema dell’inquinamento navale come un problema a sé stante, ma va posto in un discorso più ampio, comprendente una critica al modello neoliberista in cui viviamo, che mette il profitto davanti a tutto e si basa proprio sullo sfruttamento ambientale e sul ricatto occupazionale che costringe le persone a scegliere tra salute e lavoro. E mentre le istituzioni locali e non, latitano, anche su questi temi le lotte dal basso ci indicano la via.
*Emiliano Lubrano è un attivista, laureato in Ingegneria Nautica e Yacht Design presso il Campus Universitario di La Spezia – Scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Genova.
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