Harris in bilico
La candidata democratica non ha ancora fatto abbastanza per convincere la maggioranza degli statunitensi che chiede la fine della guerra a Gaza e più attenzione alle condizioni di vita dei lavoratori
Da quando la vicepresidente Kamala Harris ha preso le redini delle presidenziali Usa per i democratici ha dichiarato più volte: «Siamo sfavoriti».
Nonostante un periodo di copertura mediatica positiva, una Convention nazionale democratica ampiamente elogiata e un faccia a faccia in cui ha dominato l’ex presidente Donald Trump, Harris ha continuato a presentare la sua elezione come un’ipotesi remota.
Perché continuare a lamentarsi, quando sta ottenendo risultati molto migliori nei sondaggi rispetto a quelli del presidente Joe Biden prima che si ritirasse dalla corsa?
Alcuni esperti l’hanno considerata una strategia intelligente per mobilitari gli elettori. Ma la corsa è davvero serrata: soprattutto negli stati decisivi, la campagna di Harris è, per molti versi, sfavorita. E considerando le dimensioni molto più grandi del vantaggio nei sondaggi di Biden nel 2020, e quanto si sia rivelata nei fatti risicata la sua vittoria, i democratici hanno tutte le ragioni per preoccuparsi.
Trump è un candidato con difetti unici e il suo pessimo curriculum è facile da criticare, come ha dimostrato Harris durante il dibattito di settembre. La sua presidenza ha regalato ai ricchi di tagli alle tasse, ha messo sotto pressione i lavoratori, ha delocalizzato posti di lavoro, ha terrorizzato le comunità di immigrati e non è riuscita a rispondere a una pandemia che ha portato a morti di massa prevenibili e sconvolto l’economia. I giudici della Corte suprema da lui nominati hanno ridimensionato i diritti riproduttivi e preso di mira l’intero apparato normativo. E il manuale del Progetto 2025 dell’estrema destra promette di annullare decenni di riforme progressiste, dall’accesso al voto ai diritti Lgbtq.
Inoltre, Trump ha promesso un regime di vendetta che prenderebbe di mira direttamente giornalisti, attivisti e chiunque venisse considerato un nemico politico.
Tuttavia, Harris non ha ancora ricostruito la fragile coalizione che ha spinto Biden oltre il traguardo quattro anni fa. Rispetto a Biden nel 2020, i sondaggi mostrano che Harris ottiene risultati inferiori con gli elettori non bianchi, i giovani e gli anziani, tutti fattori chiave per i democratici. E quando si tratta di elettori a basso reddito e di coloro con un’istruzione meno formale, Harris viene superata da Trump.
Un secondo mandato di Trump sarebbe un danno per la working class e un disastro per il movimento sindacale. Eppure, secondo l’analista politico della Cnn Harry Enten, «Trump ha più sostegno della classe lavoratrice di qualsiasi candidato presidenziale del Gop di questa generazione», mentre Harris starebbe per incassare la peggiore performance democratica tra gli elettori sindacalizzati degli ultimi decenni.
Tra gli elettori arabo-americani, il sostegno per Harris è crollato mentre continua il genocidio a Gaza sostenuto dagli Stati uniti, con Israele che allarga gli attacchi al Libano. Un sondaggio di metà settembre dell’Arab American Institute (Aai) mostra che, tra i probabili elettori arabo-americani, Trump batte Harris con il 46% contro il 42%, a differenza del 2020, quando Biden ottenne quasi il 60% di questi voti. Molti di questi elettori affermano che la guerra a Gaza è una preoccupazione primaria e potrebbero essere conquistati se si proponesse un cambiamento della linea politica.
Nel Michigan, dove vive una significativa porzione di popolazione arabo-americana, tra cui famiglie palestinesi e libanesi, i sondaggi interni mostrano che Harris annaspa, secondo la deputata Elissa Slotkin. Sulla base dei sondaggi resi pubblici, lo stato è in bilico. L’Uncommitted National Movement, che ha attirato più di centomila elettori alle primarie democratiche del Michigan, si è rifiutato di sostenere Harris a causa del suo continuo sostegno alle «armi incondizionate» per la campagna di annientamento di Israele (Hillary Clinton nel 2016 perdette il Michigan per circa diecimila voti; Biden lo ha vinto per centocinquantamila).
Queste dinamiche di fondo dovrebbero far suonare i campanelli d’allarme per una campagna democratica che entra nella fase finale di una corsa che potrebbe avere conseguenze catastrofiche. Se i democratici prendono sul serio come professano la minaccia autoritaria posta da Trump, devono cambiare rotta per conquistare un elettorato trasversale.
Questo cambiamento dovrebbe iniziare annunciando la fine della sponsorizzazione alle offensive militari di Israele. Sette potenziali elettori su dieci vogliono il cessate il fuoco a Gaza, il che richiederà di forzare la mano al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, anche condizionando le armi al rispetto del diritto internazionale e statunitense. Un sondaggio di Aai suggerisce che sostenere queste restrizioni renderebbe il 56% degli elettori arabo-americani più propensi a sostenere Harris.
Netanyahu ha dimostrato più volte di non essere disposto a raggiungere la pace; Harris può promettere di usare la leva degli Stati uniti per farlo. Questa mossa, sostenuta dalla maggioranza degli statunitensi, aiuterebbe a fare breccia in un vasto strato di elettori, compresi quelli del Michigan, del Wisconsin e di altri stati in bilico, desiderosi di sostenere il candidato democratico se il partito smettesse semplicemente di sostenere un genocidio. È anche la posizione moralmente corretta: decine di migliaia di donne e bambini palestinesi sono già stati massacrati dalle armi Usa e il governo Netanyahu sembra intenzionato non solo a continuare ma anche a espandere l’aggressione.
Quanto all’economia, Harris potrebbe discostarsi dal recente tentativo di ingraziarsi i finanzieri delle criptovalute e i ricchi interessi commerciali, appoggiandosi invece alla narrazione di classe e ai programmi politici a cui gli elettori democratici hanno risposto nell’era post-Obama. Harris ha adottato delle buone politiche come il rilancio dell’ampliamento del credito d’imposta per i figli, la costruzione di milioni di nuove unità abitative, il continuo investimento nella produzione ecologica e la lotta contro le aziende che speculano sui prezzi. Ma con la maggioranza della popolazione che lotta per arrivare alla fine del mese, la working class statunitense, ha un disperato bisogno di un programma redistributivo audace che punti a migliorare concretamente le loro vite. Prendere di mira le élite e i miliardari è una strategia efficace per conquistare gli elettori a basso reddito e, sebbene Harris abbia fatto appelli in questa direzione per andare incontro alle rivendicazioni economiche, c’è ancora molta strada da fare.
Harris potrebbe rendere centrali nella sua campagna le posizioni estremamente popolari già presenti nella piattaforma del Partito democratico del 2024, come un salario minimo federale di 15 dollari; il tetto massimo ai costi dei farmaci a carico del paziente che costringerebbe l’industria farmaceutica ad abbassare i prezzi; l’espansione della previdenza sociale; la limitazione degli aumenti agli affitti da parte delle società immobiliari; e l’approvazione del ProAct per aumentare in modo massiccio l’adesione ai sindacati.
In queste ultime settimane di campagna, Harris può fare un grande passo avanti facendo di più per sostenere le politiche pro-working class che il suo partito sostiene nominalmente, in discorsi, annunci e appelli agli elettori. Mentre la campagna del 2020 volgeva al termine, Biden ha sostenuto alcune cause a favore dei lavoratori che gli hanno permesso di prevalere negli stati repubblicani di Michigan, Wisconsin e Pennsylvania.
Questi riallineamenti progressisti di Harris aiuterebbero anche a rivitalizzare le operazioni di mobilitazione degli elettori che sono state fondamentali per la vittoria di Biden quattro anni fa, quando i giovani elettori hanno contribuito a conquistare gli stati indecisi andando alle urne in massa. Quest’anno, la registrazione dei giovani elettori è in ritardo rispetto al 2020 e i principali gruppi democratici si preoccupano che la mancanza di un contatto significativo con i giovani non bianchi potrebbe costare loro le elezioni. Nei focus group, i giovani elettori parlano di questioni economiche e della guerra a Gaza come fattori motivanti. Portarli non solo a votare, ma anche a bussare alle porte, recarsi negli stati indecisi e fare telefonate dovrebbe essere una priorità assoluta.
A differenza di una campagna elettorale che prova a convincere elettori repubblicani, come ha fatto di recente Harris, spostarsi a sinistra potrebbe anche portare nuova energia alla costellazione di organizzazioni di base che hanno fatto il gioco di Biden negli stati chiave nel periodo del Covid. Il Sunrise Movement, il Working Families Party, People’s Action, Seed the Vote e Black Voters Matter hanno annunciato importanti sforzi di sensibilizzazione elettorale negli swing states, il che è una buona notizia per i democratici. Ma il loro lavoro potrebbe avere un impatto maggiore se la campagna di Harris compisse sforzi concreti per conquistare gli elettori sui quali i democratici l’altra volta potevano contare e che ora si dicono delusi. Sulla scorta di un recente sondaggio condotto dal Service Employees International Union in Pennsylvania, ad esempio, il New Yorker sostiene che «molti operai di Filadelfia hanno delle riserve su Harris». Domare quei dubbi è un compito a portata di mano.
L’uscita di scena di Biden ha offerto ai democratici la possibilità di una nuova direzione e di sconfiggere un autoritario, ostile ai sindacati, in cerca di vendetta come Trump. Harris ha ancora una possibilità di rispondere ai chiari segnali di avvertimento che l’hanno resa sfavorita. Dovrebbe coglierla.
*Miles Kampf-Lassin è web editor di In These Times, dal quale è tratto questo testo poi ripreso da JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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