I padroni del vaccino
Si può mettere in discussione il sistema di Big Pharma senza scadere in discorsi anti-scientifici? Un libro analizza rapporti di potere e produzione della questione vaccinale
Nel 1954 Ernesto Rossi svelava i legami tra borghesia industriale italiana e il fascismo con I Padroni del Vapore, mostrando il connubio tra politica ed economia e le conseguenze nefaste che avevano caratterizzato la prima metà del secolo.
Emanuele Bonaccorsi (giornalista di Report) e Claudio Marciano (Università di Torino) hanno provato ad attualizzare quella stessa operazione a partire dal grande tema di questi ultimi anni: la questione vaccinale. In che modo un giornalista d’inchiesta e un sociologo dei processi economici e dell’innovazione possono indagare una questione che, soprattutto recentemente, ha diviso l’opinione pubblica in scientisti e antiscientifici? Si può fare senza per questo negare autorevolezza alla scienza? I due autori ci hanno provato, innanzitutto partendo da una serie di fatti autoevidenti.
I paesi ad alto reddito hanno quasi completato il booster, mentre quelli a basso reddito hanno solo una minima parte della popolazione coperta da due dosi, a volte neanche il personale sanitario e gli anziani fragili. La proprietà della conoscenza incorporata nei vaccini è privata, anche se le risorse stanziate per il suo sviluppo sono state quasi interamente pubbliche. Il prezzo dei vaccini è inaccessibile per la maggior parte dei paesi del mondo, i quali sono costretti ad aspettare l’elemosina di quelli più ricchi. I brevetti hanno limitato la catena dell’offerta globale malgrado la disponibilità di centinaia di aziende dotate del know how giusto per produrre dosi e abbassare i prezzi.
Perché la corsa allo sviluppo di un vaccino efficace contro il Covid-19 è stata vinta da piccole imprese biotech e non da grandi corporation? Perché la Repubblica di Cuba, malgrado le restrizioni dovute all’embargo e a un Pil pari a quello della Regione Campania, è riuscita a sviluppare cinque diversi vaccini con alti livelli di efficacia, e l’Unione europea neanche uno? Perché i laboratori cubani ci sono riusciti, e non quelli di Sanofi e Gsk, due delle quattro più grandi aziende vaccinali al mondo? Perché i trial con cui sono stati approvati tutti i vaccini attualmente in circolazione, non hanno analizzato il possibile contagio asintomatico? Perché i dati grezzi di questi trial non sono ancora accessibili alla comunità scientifica? Era possibile fare diversamente? E se sì, come?
Così è nato I Padroni del Vaccino (Edizioni Piemme), che analizza a tutto tondo le questioni relative ai vaccini e lo fa con una profonda onestà intellettuale e con coraggio, in tempi in cui è molto complicato mettere in dubbio o anche solo fare domande circa l’operato di chi sta gestendo la pandemia. Il libro espone alcuni documenti inediti e riporta i risultati di interviste originali, realizzate per il programma Report nell’ultimo anno e mezzo, non solo in Europa, ma anche in Brasile, Israele, Stati uniti, Sudafrica, Russia. Allo stesso tempo, fornisce una chiave di lettura degli eventi, attraverso l’applicazione delle teorie sui sistemi di innovazione, sul governo dei cambiamenti tecnologici, sul ruolo sociale e politico della scienza.
Investimenti pubblici, profitti privati
Le analisi condotte nella prima parte del testo mostrano chiaramente l’operazione magistrale compiuta dalle case farmaceutiche, che si sono appropriate di tecnologie nate in università o centri di ricerca pubblici, finanziate con fondi pubblici, e ne hanno tratto profitti tutti privati. Dal modello di Oxford, in cui l’università fa ricerca e impresa, all’intervento di Astrazeneca, che ha spento gli entusiasmi per la produzione di un vaccino senza brevetto da parte del Jenner Institute. Dalle origini della tecnologia adenovirale a quelle del mRNA, che ha visto proprio nei vaccini Covid la prima autorizzazione al suo commercio. Astrazeneca, Pfizer-BioNTech, Moderna, ma anche i vaccini prodotti fuori dall’Occidente.
Sputnik innanzitutto (tornato agli onori della cronaca in questi giorni, per le vicende legate all’Istituto Spallanzani di Roma e alla missione russa in Lombardia nel marzo 2020): un’approfondita indagine sul campo, arricchita da interviste a scienziati e politici coinvolti nel suo sviluppo e nella sua diffusione (più di 71 Paesi al mondo), ci presenta un prodotto che – è difficile dirlo pubblicamente di questi tempi – vanta un’efficacia invidiabile. Il vaccino russo, secondo diversi studi pubblicati da Lancet, Nature e altre riviste scientifiche, presenta dati inequivocabili: funziona, e anche molto bene. Guardando alle indagini, ai numeri e alle voci riportate da Bonaccorsi e Marciano, emerge come Sputnik sia stato utilizzato come arma geopolitica, per esercitare soft-power verso i paesi lasciati indietro dal nazionalismo vaccinale di Usa ed Europa, ma che questo progetto si sia scontrato con enormi difficoltà dovute alle carenze tecnologiche e infrastrutturali della Russia contemporanea.
La seconda esplorazione che desta un enorme interesse è quella condotta a Cuba, dove BioCubaFarma (l’organizzazione che si occupa dell’intero ciclo del farmaco) ha messo insieme i principali istituti di ricerca allo scopo di trovare un vaccino nel più breve tempo possibile. La messa in comune di conoscenze e pratiche ha superato gli ostacoli dettati dalla scarsità di risorse e l’isola è riuscita a produrre diversi vaccini, anche iniettabili a bambini dai due anni in su. Come hanno fatto? Usando tecnologie già utilizzate per altri vaccini: ugualmente efficaci rispetto a quelle attualmente usate per il contrasto al Covid, ma con il valore aggiunto di essere decisamente più economiche. Il paragone è particolarmente stridente perché accostato alla vicenda di Novavax, che ha invece ingegnerizzato un vaccino a partire dai brevetti che già possedeva in maniera esclusiva, così da mettersi in tasca un monopolio assicurato dal fatto di utilizzare un immunopotenziatore che costa centomila dollari al grammo, che può esser reperito unicamente da una sostanza presente nella corteccia di un tipo di albero reperibile solo nelle foreste cilene.
Le regole del gioco
Nella seconda parte il libro racconta il percorso e gli strumenti che hanno condotto all’attuale condizione: la questione dei contratti tra Stati e case farmaceutiche, il modo in cui gli Stati finanziano la ricerca che poi conduce ai vaccini, da cui le case farmaceutiche traggono profitto lasciando comunque sul carico del pubblico tutto il rischio d’impresa attraverso il pre-acquisto di dosi per centinaia di milioni di dollari, erogati in anticipo anche rispetto alle evidenze dei trial di terza fase. Il libro mostra i meccanismi fondamentali messi in atto per rispondere agli squilibri nella distribuzione, si tratta in gran parte di espedienti tramite cui la filantropia ha risposto a necessità politiche e di equa distribuzione: dal sistema Covax – di cui attore principale è stato la fondazione Gates – a Gavi e Cepi. , Indispensabile poi analizzare il sistema dei brevetti. Il Trips, l’accordo in vigore dal 1995 che a livello internazionale ha esteso a livello globale la validità del sistema dei brevetti. Si tratta di un accordo che contiene una serie di disposizioni, tra cui quella che rende obbligatorie le licenze, che impediscono ai produttori di farmaci generici in tutto il mondo, compreso quello a basso e medio reddito, l’uso dei dati dei trial condotti dai produttori originali perché protetti da proprietà intellettuale. Questo elemento protegge la proprietà intellettuale ma di fatto impedisce l’accesso alle cure a milioni di persone. Un sistema sancito quasi trent’anni fa, quando non ci si aspettava che il mondo sarebbe stato investito da un evento pandemico, ma che, nonostante siano profondamente mutate le condizioni, è rimasto interamente in piedi, in particolare per il veto di Usa e poi, in maniera ancora più rigida, Unione europea, nel ripensarlo. E questo, malgrado la richiesta di India, Sudafrica, Cina e di migliaia di esperti, premi nobel, scienziati, ex capi di Stato.
Infine gli autori mostrano tutti i limiti dei test che hanno condotto all’approvazione dei vaccini che – ribadiscono spesso – è pur indispensabile che siano inoculati: attraverso interviste a esperti internazionali mettono in evidenza carenze organizzative, dati incongruenti e procedure scarsamente trasparenti che hanno caratterizzato la corsa allo sviluppo dei vaccini, in particolare Astrazeneca e Pfizer. Ne deriva una chiara disamina degli attuali metodi di validazione scientifica, dei loro limiti e delle loro conseguenze, che sostiene anche gli argomenti portati nell’analisi sul booster. L’ultima parte del libro mostra infatti il punto di vista degli scienziati (e degli Stati) che si sono detti favorevoli o contrari all’estensione della terza dose a tutta la popolazione. Attraverso inchieste svolte in Florida, in Israele, e in altri Paesi si ricostruisce la graduale evidenza pubblica dell’efficacia calante dei vaccini e si compie una critica al modo in cui i governi occidentali, a partire da quello italiano, hanno tenuto sottotraccia questa evidenza al fine di proteggere i provvedimenti come il green pass.
Appare chiaro dagli elementi fino a qui mostrati come le vite di milioni di persone siano dipese e ancora dipendano dall’arbitrio di pochi privati, come il diritto alla salute nel nostro paese, in Europa, in tutto il mondo, sia subordinato a necessità commerciali e accordi tra potenti. Rimettere in fila fatti, storie e dati mostra un quadro al quale è necessario contrapporre delle alternative possibili.
Una serie di istanze elaborate a livello internazionale dalla comunità scientifica e dalle comunità umane e politiche che si occupano di questi temi pure esiste. La questione primaria è la redistribuzione degli utili delle case farmaceutiche: sono soldi derivanti da investimenti pubblici e al pubblico dovrebbero tornare. Altra questione parimenti importante è quella dei brevetti: servono sistemi alternativi, che li aboliscano. Occorre individuare un modo per mantenere pubblica la proprietà della conoscenza, pur riconoscendo a chi innova o ricerca il giusto compenso per le proprie idee, magari mediante sistemi di premialità. Vanno superati o quanto meno rivisti i Trips, che sono stati elaborati in una fase storica diversa e hanno fatto il proprio tempo: serve un nuovo accordo internazionale che non includa i farmaci tra le altre merci. Esistono anche una serie di proposte più estreme elaborate dalla comunità internazionale, che sarebbe interessante indagare, come quella di un Cern del farmaco, una rete di laboratori e istituti di ricerca pubblici che a livello europeo dovrebbero darsi un unico bilancio e un’unica organizzazione, in grado di ricostruire un’industria vaccinale pubblica in Europa. Si tratta di uno strumento che potenzialmente potrebbe superare la subordinazione della tutela del diritto alla salute alla proprietà intellettuale e potrebbe restituirla invece agli Stati, alle popolazioni, alla comunità, riponendo il benessere di tutte le sue parti come il dato fondante della società.
*Rita Cantalino si occupa di ambiente e diritti umani. Collabora da freelance con diverse testate e per vari progetti di comunicazione relativi a tematiche sociali. È tra gli attivisti e le attiviste che animano il Circolo Arci Sparwasser a Roma.
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