Il bagno di realtà turco
La crisi economica, il peso dell'elettorato curdo, la rottura degli schemi del regime, il ruolo dei moderati. Le cause della prima pesante sconfitta di Erdoğan
La decisione di Erdoğan di convocare nuove elezioni a Istanbul dopo la sconfitta del 31 marzo ha ulteriormente indebolito il Presidente turco e il suo partito, consegnando con una maggioranza ancora più larga la città a Imamoğlu, leader dell’opposizione. Una dura sconfitta per Erdoğan e il suo regime che si estende dall’Egeo alla zona mediterranea del paese, in un contesto segnato da autoritarismo e da una lunga crisi economica. Abbiamo provato a tracciare le coordinate di questa sconfitta e sul ruolo decisivo dei curdi nelle elezioni amministrative, insieme a Cristoforo Spinella, giornalista che ormai da più di un decennio vive a Istanbul ed è inviato Ansa in Turchia.
Hai vissuto in Turchia proprio nel periodo in cui si sono consolidati l’escalation di Erdoğan e il suo autoritarismo. Pensi che il vento stia cambiando?
L’elezione di Imamoğlu a Istanbul rappresenta sicuramente la più grande sconfitta sul piano politico per Erdoğan da quando è al potere in Turchia. Innanzitutto sul piano concreto, perché Istanbul rappresenta il vero centro dell’economia del paese: qui si produce un terzo del Pil di tutta la Turchia, qui abita il 20% dei turchi e questa città è un laboratorio dell’anima dell’intero paese. Basti pensare che è l’approdo di gran parte dell’emigrazione interna recente ma anche storica, un fatto non secondario considerando che le origini familiari rappresentano un nodo importante nella distribuzione del voto. Istanbul è naturalmente anche il centro turistico e culturale principale del paese e anche se non ne è la capitale, è qui che si fa molta della politica turca che conta. E poi la sconfitta è pesante per Erdoğan anche dal punto di vista simbolico, perché è la città dove è nato e cresciuto, dove ha mosso i primi passi come politico e la città di cui è stato eletto sindaco nel 1994, lanciando la sua ascesa sul piano nazionale. È particolarmente bruciante che sia stata la sua città a voltargli le spalle.
La Turchia vive ormai da più di un anno una profonda crisi suggellata dalla svalutazione della lira dell’estate scorsa. Qual è oggi la condizione socio-economica di Istanbul e della Turchia in generale?
Le radici di questa vittoria dell’opposizione sono molteplici. Rispetto al quadro socio-economico complessivo la crisi economica che sta vivendo la Turchia negli ultimi mesi ha avuto un peso importante. Il tasso di disoccupazione in Turchia è il più elevato degli ultimi dieci anni, l’inflazione ufficiale sfiora il 20% e per molti beni di consumo quotidiano, specie i generi alimentari, arriverebbe addirittura al doppio secondo le denunce delle opposizioni. Tanto che le autorità hanno organizzato nei mesi precedenti le elezioni dei punti vendita di ortaggi e verdure varie a prezzi calmierati, segnale evidente di un problema che non è possibile ignorare. La Turchia sta vivendo una crisi economica che potrebbe persino aggravarsi a causa delle tensioni internazionali, in particolare il rapporto con gli Stati uniti. Proprio nei prossimi giorni a margine del G20 ci sarà un incontro tra Trump e Erdoğan, che ha come oggetto la minaccia di sanzioni da parte degli Usa nei confronti della Turchia a causa dell’acquisto da parte di quest’ultima dei missili russi S-400. Eventuali sanzioni americane sarebbero un colpo pesantissimo per l’economia turca, rischiando di comportare, come già successo un anno fa, un tracollo della lira turca, quando perse circa un terzo del suo valore sul dollaro. Una nuova svalutazione colpirebbe oggi una società ancor più vulnerabile e debole strutturalmente.
Da dove nasce e come si consolida questa opposizione che si fa ammininistrazione di Istanbul?
Bisogna ricordare che l’opposizione ha rivinto la scorsa settimana a Istanbul ma aveva già assestato un duro colpo durante le elezioni del 31 marzo vincendo ad Ankara dopo 25 anni e in tutta la fascia egea, sua roccaforte, e prendendo il controllo anche di buona parte della fascia Mediterranea, dove alcuni centri importanti erano governati del partito di Erdoğan e dai nazionalisti del Mhp. Significa che oggi l’opposizione ha preso il governo di tutti i centri principali per l’economia del paese. La strategia vincente che ha prodotto questo risultato si fonda su una serie di aspetti. Il primo, il focus molto forte sulle amministrazioni locali: le campagne elettorali sono state condotte sul campo, cercando di stare vicino alla gente e soprattutto di fugare l’idea – diventata molto forte in Turchia tra le narrazioni principali di Erdoğan per screditare i suoi avversari – secondo cui questa opposizione non rappresentava altro che una élite laica, lontana dal popolo e dalle sue esigenze reali. Questo è sicuramente un elemento che avvicina la Turchia a quel che stanno vivendo molti paesi europei. Qui in Turchia l’opposizione è riuscita a rompere questo pregiudizio mostrandosi direttamente alla gente.
L’altro fattore vincente è legato a un approccio positivo, con messaggi chiari e di ottimismo verso il futuro portati avanti lungo l’intera campagna elettorale nelle città, ma soprattutto a Istanbul. A tal proposito è stato elaborato un manuale intitolato Il libro dell’amore radicale, pensato prima delle elezioni dallo spin doctor Ateş Ilyaş Başsoy, in cui venivano definite le linee guida per tutti i candidati. Tra i messaggi principali c’era sicuramente il tentativo di sfuggire alla polarizzazione che Erdoğan ha imposto al paese e che è stato sempre molto bravo a utilizzare a suo vantaggio. In sostanza, la strategia è quella di ignorare Erdoğan, di non cadere nel terreno delle provocazioni e dello scontro politico personale, che in Turchia si concretizza anche in forme di calunnia molto gravi, come presunti legami con il terrorismo o con gruppi eversivi o con interessi di paesi stranieri intenzionati a danneggiare la nazione. Si è preferito concentrarsi sui messaggi positivi e rispondere nel merito agli attacchi. Erdoğan non poteva essere battuto con le sue stesse armi, bisognava spostare il terreno dello scontro politico. L’opposizione ci è riuscita e in questo modo ha convinto gli elettori. Tutto ciò ha avuto inevitabilmente presa in un paese che ha manifestato un bisogno di cambiamento evidente. La vittoria di Imamoğlu nella ripetizione del voto, con oltre 800 mila preferenze di vantaggio – rispetto alla vittoria di misura per 13.729 voti nelle elezioni annullate – rende palese questa richiesta di cambiamento nella società, che ha saputo reagire al tentativo di soffocarlo. Il vantaggio si è incrementato anche grazie al fatto che l’opposizione ha guadagnato voti in quartieri tradizionalmente in mano al partito di Erdoğan.
Com’è composto l’elettorato che ha dato la vittoria a Ekrem Imamoğlu?
Va detto che un discorso di classe non si adegua particolarmente a questa candidatura in quanto Imamoğlu è un candidato non solo e non tanto di tradizione conservatrice quindi anche aperto ai conservatori islamici, ma anche perché Imamoğlu viene da una famiglia di imprenditori edili, lui stesso lo è stato prima di entrare in politica. La sua candidatura è nata sulla scorta di quel periodo in cui ha contribuito a costruire buona parte di un quartiere, di cui era anche mini-sindaco.
Imamoğlu è riuscito a pescare soprattutto i voti che mancavano al centro, tra i conservatori moderati che per diverse ragioni, economiche e simboliche, sono stanchi di Erdoğan e hanno visto in lui una figura che non li impauriva, a differenza dei candidati precedenti dell’opposizione. Questo è un tema non di poco conto, infatti nonostante alle scorse elezioni politiche l’opposizione avese ottenuto un risultato di gran lunga migliore rispetto alle tornate precedenti, Erdoğan con la sua retorica polarizzante era riuscito nel tentativo di far passare i suoi avversari come coloro che avrebbero distrutto e sottratto proprio ai conservatori tutto ciò che lui invece gli aveva garantito in questi anni. Imamoğlu al contrario non fa paura, si dice aperto a tutte le componenti della società a prescindere dalla religione e dall’etnia, riuscendo così a conquistare fiducia e consensi. In una situazione così conflittuale, tutte le componenti di opposizione classica tendono a convergere sul candidato anti Erdoğan, mentre i voti che mancavano andavano cercati al centro. I sindacati si iscrivono in questo quadro come le forze di sinistra più piccole anche perché la soglia di sbarramento è fissata al 10%. Non a caso in parlamento ci sono solo cinque partiti. In generale, il ruolo dei sindacati non è forte durante le campagne elettorali ma esiste nella formazione degli equilibri con i partiti data la loro forza tra la base.
Che peso ha avuto l’elettorato curdo nel fare la differenza?
Un ruolo cruciale. I curdi sono stati essenziali innanzitutto per il loro peso demografico: a Istanbul, si stimano circa 1,2 milioni di elettori curdi o di origine curda. La loro volontà è stata fondamentale. Si pensi che il partito filocurdo Hdp non ha presentato candidati, esprimendo il proprio sostegno a Imamoğlu già per le elezioni di marzo. Questa linea è stata seguita dal leader simbolico e carismatico dell’Hdp detenuto da quasi tre anni, Demirtas, e che dal carcere ha espresso sostegno del neo-sindaco, considerato capace di creare un ponte tra le diverse anime della società e di sanare le ferite di una società profondamente divisa. A poche ore dal voto è arrivato anche un controverso messaggio-appello di Öcalan, suscitando polemiche. È una situazione complessa: il mese scorso Öcalan, leader del Pkk detenuto ormai da vent’anni nell’isola di Imrali, ha ottenuto la possibilità di incontrare dopo otto anni i suoi avvocati, ricevendo una promessa di alleggerimento delle sue condizioni in carcere. Öcalan ha prima mandato una lettera pubblica in cui sembrava poter aprire a un nuovo dialogo con la Turchia e poi, a poche ore dal voto, ha diffuso un messaggio in cui chiedeva agli elettori curdi di seguire la terza via, cioè non restare incastrati nella lotta tra le due aree politiche principali. Questo messaggio è stato al centro di forti polemiche perché è stato interpretato, soprattutto dal partito di governo, come una chiamata all’astensione. In realtà, è un’interpretazione problematica: Öcalan non è certamente in grado di esprimersi in modo pienamente libero dato che si trova in isolamento ed è difficile attribuirgli un pensiero specifico. Nei fatti, gli elettori curdi hanno seguito la linea dell’Hdp, sostenendo Imamoğlu in modo decisivo per la sua vittoria.
*Cristoforo Spinella, giornalista, lavora per l’agenzia Ansa, si occupa in particolare di Turchia e Medio Oriente. I suoi reportage sono apparsi su diversi magazine, tra cui L’Espresso. È autore di Pezzi di turchi. Storie da un paese in trasformazione (Editori internazionali riuniti). Su Twitter è @crisspinella.
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