Il reddito universale ha bisogno dei conflitti
La crisi sanitaria rende evidente la necessità del basic income. Ma senza la spinta delle lotte e precisi rapporti di forza questa misura rischia di essere calata dall'alto, parziale e controproducente
Mentre la pandemia di Covid-19 travolgeva l’Europa e il Nord America, i fondamenti prima irremovibili della politica neoliberista sembravano dissolversi nel nulla. L’incremento dell’intervento pubblico nell’assistenza sanitaria contraddice decenni di privatizzazione ed «efficienza» del mercato. Il fulcro della politica economica espansiva è costituito da pacchetti di stimolo finanziati dal debito e fondi di salvataggio di proporzioni mai viste. La quarantena forzata ha spostato l’attenzione sul valore sociale di beni e servizi e sta dando vita a un dibattito sempre più ampio sul senso ultimo del lavoro e dell’economia. Non c’è da meravigliarsi se a sinistra queste misure abbiano riacceso la speranza sul potenziale emancipatorio della crisi; e abbiano addirittura spinto qualcuno a teorizzare la fine del neoliberismo.
Questa speranza si nota soprattutto tra i sostenitori del reddito di base incondizionato. Dopo decenni di attivismo e l’ingresso nel dibattito mainstream, sembra arrivato il momento per la richiesta di un reddito garantito per tutti. Anche il Financial Times ha riconosciuto le ragioni del sussidio durante una pandemia che costringe le persone a stare a casa dal lavoro. Le obiezioni, logore ma forti, circa la pigrizia e gli incentivi al lavoro sono diventate improvvisamente ridondanti, mentre il contesto di emergenza ha liberato risorse fiscali che di solito venivano tenute sotto stretto controllo.
Ma quando i contorni delle misure di soccorso ufficiali sono diventati più chiari, alcune delle speranze più forti per il reddito di base si sono ridimensionate. I media hanno usato rapidamente questa etichetta per descrivere tutti i trasferimenti di denaro per stabilizzare i redditi, per esempio diverse fonti anglofone hanno affermato che la Spagna aveva introdotto il reddito di base universale, quando in realtà il governo ha proposto una misura di riduzione della povertà limitata a circa 5 milioni di persone. Da nessuna parte le misure dei governi hanno assunto la forma di un reddito di base incondizionato. Al contrario, i provvedimenti esistenti sono frammentati, ad hoc e limitati nel tempo. Sono risposte insufficienti all’imminente necessità di un sostegno al reddito durante il blocco, con poco da offrire a coloro che sono già più vulnerabili ed esposti poiché la disoccupazione e i rapporti di lavoro precario aumenteranno notevolmente nel corso della prossima recessione.
Il reddito incondizionato è un’alternativa preferibile? E se sì, può essere messa in pratica? Quando tutto è in movimento, ciò che in precedenza pareva impensabile diventa improvvisamente possibile. Ma nonostante la sua apparente diffusione, non possiamo aspettarci che questa misura si materializzi senza lotte. I periodi di crisi rendono manifesti i rapporti di potere in tutta la loro brutalità, senza le solite mediazioni, ma non li sospendono. Inoltre, concentrarsi su una misura unica nel mezzo di una crisi di proporzioni epiche potrebbe condurci a sottovalutare i rischi di trasformazioni più profonde nei mercati del lavoro e rapporti di classe. In questo senso, il reddito incondizionato potrebbe essere un’ancora di salvezza cruciale nella prossima recessione, ma non sarà l’unica chiave di volta.
Gestire la crisi
Il presupposto per scegliere la direzione giusta è che di fronte a noi abbiamo una rappresentazione della situazione. Da questo punto di vista, le risposte di emergenza servono a rivelare la distribuzione di potere e le priorità e stabilire divisioni nel mercato del lavoro. Pur se inadeguate, offrono anche alcune opportunità per un mutamento più ampio.
Nonostante la mole dell’intervento, la risposta del governo britannico è stata sostanzialmente di orientamento conservatore. Dal momento che punta ad agevolare il ritorno allo status quo di prima della crisi minimizzando le perdite di posti di lavoro, mantiene le divisioni esistenti nel mercato del lavoro e il sistema punitivo di credito universale che disciplinano la disoccupazione. I sussidi governativi appena introdotti coprono fino all’80% dei costi salariali dei dipendenti per un periodo limitato, ma soddisfano i salari dei lavoratori solo se i datori di lavoro decidono di tenerli a contratto. Di fronte alla pressione pubblica, questo meccanismo è stato integrato con un sistema che recupera alcuni degli introiti persi dei lavoratori autonomi, ma lascia comunque fuori dal mercato i lavoratori della gig-economy e quelli che hanno appena fatto ingresso nel mercato del lavoro. Coloro che hanno già perso il lavoro ricadono in una «rete di sicurezza» della disoccupazione che per il workfare neoliberista sono ancora radicalmente insufficienti.
Negli Stati uniti, il sussidio una tantum di 1.200 dollari è stato introdotto a causa della crescente attenzione per il reddito di base. Con una rete di sicurezza ancora più limitata, le misure attuali prevedono aumenti drastici delle indennità di disoccupazione e l’estensione dei diritti ai lavoratori più esposti, compresi i liberi professionisti e gli autonomi. Queste misure forniscono sostegno diretto al reddito senza passare per i datori di lavoro e hanno il potenziale di erodere le divisioni esistenti tra la classe lavoratrice unificando i diritti. Tuttavia, non saranno sufficienti di fronte ai massicci sconvolgimenti portati dalla prossima recessione.
Trattandosi del paese più colpito dal Coronavirus, la risposta italiana è un mosaico di modelli di sostegno al reddito: oltre alla tutela tradizionale per la disoccupazione e un reddito minimo garantito introdotto di recente, un nuovo meccanismo di sostegno di emergenza consiste in un bonus di 600 euro per autonomi e lavoratori part-time; e potrebbe includere un ulteriore «reddito di emergenza» per quasi 3 milioni di persone al momento rimaste scoperte. Sono attualmente in corso campagne per contrastare questa frammentazione ed estendere il reddito minimo garantito a chiunque ne abbia bisogno, eliminando il vincolo del lavoro e avvicinandolo in questo modo al reddito di base incondizionato.
La promessa di del reddito di base
I vantaggi del reddito incondizionato nelle circostanze attuali sono evidenti: 1) affronta direttamente il problema del reddito evitando che i lavoratori debbano passare per i datori di lavoro o essere sottoposti a controlli invasivi; 2) garantisce in modo flessibile la sicurezza del reddito al variare dei rapporti di lavoro; 3) evita una risposta frammentata su misura per gruppi specifici; 4) risponde alle esigenze di coloro che si trovano in situazioni lavorative atipiche, informali o precarie (ad esempio, con contratti a zero ore, i lavoratori autonomi pro-forma) e quelle che svolgono un lavoro non retribuito all’interno della famiglia o della comunità, ad esempio l’assistenza all’infanzia adesso richiede più tempo a causa della chiusura delle scuole; e 5) aumenta il potere contrattuale dei lavoratori che rimangono impegnati in attività essenziali, lottando per condizioni di lavoro più sicure e compensando i rischi a cui sono esposti.
Tuttavia, esiste una differenza cruciale tra i trasferimenti di denaro incondizionati come reazione alla perdite di un reddito immediate che molti subiscono a causa del lockdown e un reddito di base incondizionato permanente e completo.
Vogliamo essere espliciti: la recessione economica sta cavalcando la pandemia ed è destinata a ridimensionare le nostre vite per come le conosciamo. In queste circostanze, le misure temporanee di sostegno sono molto diverse da un reddito permanente e dalla sua promessa di emancipazione di liberarci dalle preoccupazioni dei mezzi di sussistenza. Né possiamo supporre, come ritengono alcuni dei suoi sostenitori, che un reddito di emergenza – se fosse messo in pratica in questo momento – rimarrebbe in vigore una volta dimostrati i suoi effetti pratici.
Al contrario: una volta che i governi proveranno a rilanciare l’economia, potrebbero essere tentati – o costretti – a mettere sulle spalle dei lavoratori i costi degli attuali pacchetti di emergenza, attraverso la compressione dei salari, alti livelli di disoccupazione e tagli al welfare. Stiamo già assistendo alla socializzazione su larga scala delle perdite nel caso dei salvataggi aziendali, accompagnati da mantra che chiedono sacrifici collettivi. Tuttavia, le élite capitaliste possono reclamare forme ancora più gravi di austerità neoliberista per affrontare il periodo post-crisi sanitaria.
Riuscire a prevenire questo scenario dipende dal modo in cui sfruttiamo le opportunità attuali per mobilitarci e respingere la distopia post-pandemia. Ampi settori sociali trarrebbero beneficio da un reddito di emergenza, che potrebbe fornire una piattaforma per unificare le richieste di sostegno al reddito. Ma la trasformazione di tale misura in un reddito incondizionato, permanente e strutturale richiederà anche una forte mobilitazione. Costruire una coalizione di classe sostenibile sarà una sfida poiché i lavoratori sono colpiti in modo diverso dalla crisi. Infine, dobbiamo stare attenti a non innamorarci del miraggio dei trasferimenti di denaro mentre i rapporti di lavoro, la sicurezza del reddito e le misure di welfare vengono ulteriormente svuotati.
Trasformazioni del mercato del lavoro
Nonostante ciò che molti vogliono farci credere, questa crisi non ha colpito tutti allo stesso modo. Man mano che il rischio di contagio si attenua e i blocchi verranno piano piano allentati, il distanziamento sociale avrà un impatto enorme e duraturo sulla domanda di lavoro, con conseguenze drammatiche per la composizione del mercato del lavoro. Molti, sebbene non tutti, colletti bianchi, lavoratori della classe media che sono passati a lavorare da casa possono fare affidamento su flussi di reddito continui e rapporti di lavoro. Al contrario, un numero enorme di lavoratori dei settori manifatturieri e dei servizi è stato costretto a smettere di lavorare poiché i loro settori sono stati considerati non indispensabili, in particolare, tra gli altri, i lavoratori dei servizi nel settore del turismo, dell’intrattenimento e dell’aviazione.
Nella misura in cui questi settori dipendono da un’occupazione a breve termine, insicura o atipica, saranno maggiori le successive perdite di posti di lavoro man mano che le attività saranno ridimensionate a causa della recessione economica. Gli Stati uniti hanno già avuto l’aumento della disoccupazione più marcato della storia, con 22 milioni di persone che hanno presentato domanda di sussidio di disoccupazione solo nelle ultime quattro settimane. Tuttavia, non tutti i lavoratori sono a casa. Ad esempio, il settore della logistica – spesso modellato dall’insicurezza del reddito e dell’occupazione – fa parte dell’infrastruttura fondamentale dell’economia del distanziamento sociale, accelerando il passaggio verso modalità di consumo più sedentarie. Aziende giganti come Amazon e Deliveroo incrementeranno la loro posizione dominante in un mercato in cui i lavoratori – già scarsamente protetti – saranno disciplinati dall’elevata disoccupazione.
Qui l’interazione tra le trasformazioni nel mercato del lavoro e il reddito di emergenza diventa cruciale. Possiamo delineare gli scenari seguenti: nella peggiore delle ipotesi, la pressione esercitata dalle élite economiche e dai tecnocrati neoliberisti affinché ritirino i sussidi di emergenza troverà poca opposizione tra la classe media istruita che avrà modo di tornare al lavoro. Ciò lascerà una massa di nuovi lavoratori disoccupati o precari con scarso sostegno sostanziale. D’altro canto, l’esperienza dei colletti bianchi durante il blocco potrebbe incoraggiare l’interesse per un reddito di base incondizionato e permanente. Il sollievo temporaneo dal pendolarismo e le nuove sensibilità sul valore del lavoro potrebbero far sorgere richieste di un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e riduzione della settimana lavorativa per concentrarsi su attività significative. In questo senso, gli argomenti a favore del reddito incondizionato come strumento per mantenere lo stile di vita della classe media mentre si tagliano «bullshit jobs» potrebbero sembrare particolarmente interessanti.
Ma un compromesso teorico tra la classe media e le élite economiche per mantenere forme di reddito potrebbe ancora andare a scapito dell’espansione della massa di lavoratori precari e dei disoccupati. Un sussidio ridimensionato sarebbe sufficiente a compensare le riduzioni del reddito che alcuni potrebbero vedere sotto forma di riduzione della settimana lavorativa, ma che non provvederebbe al sostentamento di coloro che hanno bisogno di sostituti sostanziali del reddito di fronte a una profonda crisi strutturale, lasciandoli disoccupati o sottoccupati. Peggio ancora, dal momento che molti continuano a lottare per sbarcare il lunario in base al magro sostegno del reddito, l’eventuale contante in più verrebbe intascato dalle élite attraverso mutui, debiti e canoni di locazione. Negli Stati uniti, alle banche e agli esattori del debito privato è già stato dato il via libera per prendere i sussidi come «stimolo» per pagare il debito precedente, nonostante lo scopo esplicito di queste misure fosse il supporto ai mezzi di sussistenza. In questo scenario, un reddito di base potrebbe oscurare e legittimare la peggiorata condizione dei precari.
La trasformazione degli attuali trasferimenti di denaro in un reddito di base incondizionato, strutturale e permanente deve essere guidata da una forte mobilitazione popolare e perché questo obiettivo abbia una possibilità di successo deve essere accompagnato a richieste che forniscano il pieno supporto ai mezzi di sussistenza. Allo stesso tempo, non dobbiamo trascurare la necessità di miglioramenti sostanziali nei settori già segnati dall’insicurezza del lavoro e del reddito. Qualsiasi lotta per il reddito sarebbe autolesionista se non includesse la lotta contro l’accumulo finanziario e il debito delle famiglie, contro il ridimensionamento del welfare e la compressione dei salari, soprattutto per quei lavori il cui valore sociale è diventato più ovvio che mai.
La pandemia ha messo a nudo le linee che demarcano il conflitto. Ne deriva la grande opportunità dell’attuale congiuntura: la consapevolezza che non possiamo tornare alla normalità. Ma dobbiamo anche essere consapevoli del rischio molto concreto che la nuova normalità possa essere peggiore della vecchia. Bisogna temperare i riflessi automatici e l’ottimismo utopistico per riconoscere quelle che potrebbero essere opportunità politiche. Gli sbocchi della crisi hanno a che fare con l’organizzazione politica. Dobbiamo prestare maggiore attenzione alle lotte diverse ma interconnesse per ridefinirle. Altrimenti, anche se un reddito di emergenza potrebbe essere una battaglia vinta, staremmo perdendo la guerra.
*Emilio Caja sta svolgendo il Master in politica e società europea all’Università di Oxford, con una tesi sulle trasformazioni del mercato del lavoro e del welfare in Italia. Leonie Hoffmann sta svolgendo il Master in politiche dello sviluppo all’Università di Oxford. Attualmente sta scrivendo la sua tesi a proposito delle sovvenzioni incondizionate per maggiorenni in Sudafrica.
Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Giuliano Santoro.
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