Il Salone del libro è un campo di battaglia
La scelta dei vertici del Salone del libro di dare spazio ai neofascisti è una vergogna per il più importante evento culturale del paese. L'antifascismo non è una bega da delegare alla Magistratura. Bisogna scegliere da che parte stare
L’antifascismo non può essere una vuota retorica istituzionale, la celebrazione di una presunta “memoria condivisa” archiviata in un preciso momento storico. Tantomeno può essere ridotto a bega burocratica delegata a questure e giudici. Come ha scritto su Jacobin Italia Luca Casarotti lo scorso 25 aprile, «postulando il superamento del conflitto fondativo tra fascisti e antifascisti, gli alfieri della memoria condivisa non riescono a riconoscere il ripresentarsi di quel conflitto nelle forme odierne». La vicenda di questi giorni nata attorno al Salone del libro è un esempio di questa incapacità di riconoscere la linea del conflitto e il senso dell’antifascismo. Altaforte non è solo un marchio che veicola ideologie pericolose. È il braccio culturale di uno dei soggetti politici, CasaPound, che da anni semina odio, violenza, intimidazioni. E che proprio in questi giorni finisce nelle cronache per lo stupro a Viterbo. I libri sono una scusa. Quello che interessa veramente questi imprenditori dell’odio è continuare, goccia dopo goccia, ad affievolire le coscienze. L’obiettivo è abituare il prossimo alla presenza di una forza dichiaratamente fascista e a pratiche che a quella storia mostruosa appartengono. Adesso vorrebbe passare sotto silenzio nel principale evento culturale ed editoriale del paese, sventolando un libro che porta il faccione di Matteo Salvini, il ministro dell’interno che in nome dell’anti-antifascismo e della xenofobia fa da cassa di risonanza alle estreme destre.
Dopo l’annuncio della presenza al Salone di Altaforte ci era sembrata incoraggiante la scelta di campo del direttore culturale del Salone Nicola Lagioia. Quest’ultimo aveva chiarito che nel programma da lui curato non c’era spazio per l’apologia del fascismo. Pur sottolineando che l’assegnazione degli stand non è di sua competenza, aveva specificato la sua contrarietà all’assegnazione con la tesi, quanto mai fondamentale, secondo cui «Nessuna libertà può definirsi tale se è tuttavia priva di argini». Aggiungeva però alla fine che qualsiasi decisione presa dai vertici del Salone «sia io che il comitato editoriale la faremo nostra».
Ma è proprio la posizione assunta dal Comitato di indirizzo del Salone del libro, composto da tutte le associazioni e enti organizzatori, a non essere accettabile. Di più: la consideriamo vergognosa e chiediamo venga ritirata. Nonostante la presa di posizione di Lagioia lo stand dei neofascisti è stato confermato e, come spesso avviene in questi casi, i fascisti vengono tutelati in nome della Costituzione antifascista, svuotandola così di significato. Il comunicato dei vertici del Salone cita l’articolo 21 della Costituzione che garantisce «la libertà di pensiero e di espressione», diritto «indiscutibile per chiunque non sia stato condannato» dalla Magistratura per apologia di fascismo. Ma come ha precisato anche l’associazione dei Giuristi democratici, l’antifascismo non può essere una pratica delegata alla Magistratura, «spetta a chiunque ripudi simili idee e pratiche rifiutare il dialogo con chi se ne renda portatore, e sottrarsi a qualunque forma di confronto con chi si ponga, per propria scelta, fuori dal consesso civile fondato sui valori della democrazia e dell’antifascismo». Due anni fa in un caso simile alla fiera Book Pride, organizzata dall’Osservatorio degli editori indipendenti, l’esito fu opposto. Un editore che nel proprio catalogo aveva diversi titoli evidentemente votati all’apologia del fascismo fu rifiutato. Essendo una fiera gestita da una fondazione di diritto privato, si possono stabilire proprie regole e fare autonome valutazioni. Basterebbe, come fatto dall’Odei, avere nel proprio statuto i principi antifascisti.
Non abbiamo bisogno di tribunali e carte bollate per sapere cosa è Altaforte e che tipo di operazioni fiancheggi, basta sfogliare il loro catalogo. Le idee xenofobe, nostalgiche del Ventennio, misogine e omofobe non hanno diritto di espressione, se non in nome di una falsa neutralità democratica che in realtà normalizza la presenza neofascista, la legittima e nega la possibilità di un conflitto con essa.
La scelta del Salone è inspiegabile. Specie di fronte alla presa di posizione del direttore culturale, sembra quasi uno scontro tra chi si occupa della cultura e chi detiene il conto dei soldi, con questi ultimi che si schierano dalla parte dei fascisti. Ma non è nemmeno così: si tratterebbe in fondo di rinunciare al migliaio di euro pagato dai neofascisti per assicurarsi uno stand. La decisione nasconde elementi più profondi: da un lato l’egemonia culturale dell’idea secondo cui quelle fasciste sono posizioni legittime al pari di tutte le altre; dall’altro la volontà di non permettere che una posizione politica di minima garanzia democratica possa essere anteposta alle rigide regole commerciali. I fascisti hanno spazio perché una specie di principio etico inviolabile del libero mercato prevale rispetto a ogni discriminante etica, culturale e politica. Compresa quella antifascista.
Negli anni al Salone abbiamo visto altre volte eventi e situazioni che poco avevano a che fare con la cultura: editori a pagamento (ossia che pubblicano dietro richiesta di denaro ai propri autori e non per scelta editoriale); stand dedicati agli chef; aziende di cosmetici; pubblicità di automobili. La rinascita del grande evento c’è stata quando, tre anni fa, si verificò la rottura con i grandi gruppi editoriali che avevano deciso di organizzare una nuova fiera a Milano, “Tempo di libri”. Quella rottura ha prodotto con la direzione di Lagioia un programma culturale di livello molto più alto e una nuova centralità degli editori indipendenti. Ma l’anno successivo – dopo il clamoroso fallimento di pubblico di “Tempo di libri” – quegli stessi grandi editori sono stati fatti rientrare dal portone principale. Il fatto che il mercato editoriale italiano, con una concentrazione che non ha pari in Europa, sia in mano per il 60% ai 4 grandi gruppi (Mondadori-Rizzoli, Giunti, Gems e Feltrinelli) che controllano e lucrano anche su tutta la filiera mettendo a rischio la bibliodiversità, ossia proprio il diritto alla pluralità delle idee, non dà fastidio. Quella è l’ineluttabile legge del mercato.
Dopo la scelta del Salone di garantire lo stand ai neofascisti, il collettivo di scrittori Wu Ming ha cancellato la propria presentazione al Salone. Alla loro scelta è poi seguita quella dello storico Carlo Ginzburg e poi ancora del fumettista Zerocalcare e di altri ancora. Facciamo nostro il gesto degli autori bolognesi insieme alle dimissioni di Christian Raimo dal comitato editoriale: hanno imposto a tutti di non fare spallucce di fronte a questa decisione vergognosa. È tempo di prese di posizioni nette se non si vuol far diventare ineluttabile la normalizzazione di idee xenofobe. «Riteniamo che i fascisti vadano fermati e, metro dopo metro, ricacciati indietro», dicono i Wu Ming. È compito quotidiano di tutti e tutte.
Noi come Alegre e come Jacobin Italia da tempo avevamo acquistato e già pagato lo stand. A Torino quindi ci saremo, anche per non regalare niente a nessuno, ma ci saremo come si sta in un campo di battaglia. Per dividere ciò che – in questo caso sotto l’etichetta di “editori” – viene rappresentato come unito. Noi siamo editori antifascisti. Stiamo chiamando e ci stiamo organizzando con altri editori indipendenti – a partire dalla casa editrice Eleuthera con cui condividiamo lo stand – e facciamo appello a editori, autori e autrici, lettori e lettrici, librerie e addetti/e ai lavori: ognuno nel modo che ritiene più opportuno deve scegliere da che parte stare. L’unica scelta sbagliata sarà fare finta di nulla. Qualcuno farà saltare la propria iniziativa, altri faranno interventi nelle presentazioni e negli stand per marcare il proprio dissenso. Noi gireremo stand per stand distribuendo locandine per indicare gli editori dichiaratamente antifascisti. E invitando chi sarà comunque presente a dare visibilità massima alla propria posizione, e con altri sceglieremo il momento di maggior afflusso in fiera per intonare insieme dentro al Salone le note dei canti partigiani, fondamentali per la cultura del nostro paese. I fascisti, e chi da spazio alle loro idee, dentro al Salone devono sentirsi isolati.
*Giulio Calella è direttore generale di Edizioni Alegre e membro del desk di Jacobin Italia.
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