
Il sapere contro la guerra
Le istituzioni pubbliche dovrebbero essere ambasciatrici dei valori costituzionali: come si concilia il ripudio della guerra con gli accordi con aziende e soggetti direttamente coinvolti nei conflitti?
Formare cittadini consapevoli o plasmare lavoratori pronti a tutto per inseguire la stabilità? Quale ruolo dovrebbe avere l’istruzione? Per noi il primo è necessario e il secondo da abolire, ma non è lo stesso per parte del mondo accademico e soprattutto per l’industria bellica ed ecocida.
Come tutto il settore della ricerca, l’Università Sapienza di Roma ha vissuto un processo di aziendalizzazione e privatizzazione fino a stringere accordi con importanti pilastri della filiera bellica, Leonardo Spa in primis, dimostrando come il sapere sia asservito al profitto e portando alla luce una tra le più grandi contraddizioni della nostra epoca, ovvero l’uso del sapere non come mezzo di liberazione ed emancipazione, ma come mezzo oppressivo e obbligato a riprodurre un sistema malato e distruttivo, fino a riprodurre anche la guerra.
La rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, come avvolta in una nuvola di fumo, sembra sorda alle richieste studentesche di interrompere i legami tra guerra e università, pur essendo pienamente consapevole dello sterminio sistematico del popolo palestinese. In questo momento di grande importanza storica non solo mantiene la sua presenza nella fondazione Med-Or, Leonardo Foundation, ma non mette neanche in discussione il partenariato con aziende belliche e israeliane. Ancora, attraverso polizia e minacce di ammonimenti disciplinari, mostra l’intenzione di reprimere le opinioni, che siano di docenti o studenti, contrastanti con la sua visione guerrafondaia e colonialista del mondo.
Eppure, delle limitazioni al rapporto tra università e guerra basate su quello che potremmo definire «buonsenso» esisterebbero: nel regolamento della Sapienza c’è una norma che prevede l’«esclusione della possibilità di utilizzazione dei risultati a fini bellici» per l’accettazione degli accordi di partenariato. Per l’università e le industrie è stato però fin troppo semplice aggirare questa disposizione seguendo il principio del dual use: progetti di ricerca utili al progresso tecnologico dell’industria bellica vengono nascosti da un ipotetico altro uso civile. Del resto gli accordi di ricerca non vengono pubblicati integralmente, perciò non possono essere esaminati nella loro interezza.
I rapporti con gli atenei israeliani
La Sapienza intrattiene rapporti di collaborazione con diversi atenei Israeliani, molti dei quali hanno sede in territori secondo l’Onu occupati illegalmente da Israele e devono la loro origine all’oppressione dei palestinesi. Come nel caso della Ariel University, che si trova nell’omonimo insediamento, che, situato tra Tel Aviv e Gerusalemme, è tra le cinque più grandi colonie illegali. L’università di Tel Aviv sorge invece sulle ceneri del villaggio palestinese di Sheikh Muwannis, raso al suolo per dare spazio al campus. Università come queste, e altre ancora, sono complici dell’oppressione dei palestinesi stringendo accordi economici e di ricerca con il comparto militare israeliano. L’Israel Institute of Technology, Technion, di Haifa, è membro di una rete di collaborazione con l’Unione europea e ha ottenuto da questa diversi finanziamenti e incarichi, ha contribuito alla realizzazione del Bulldozer D9 e del sistema di difesa Iron Dome, e di altri mezzi militari utilizzati già nei bombardamenti a Gaza dell’estate 2014. Non lontano da Tel Aviv, l’università Bar-Ilan, fondata da un rabbino statunitense e così chiamata in onore di un leader sionista, ha un hub di ricerca di sistemi di arma strategici dell’esercito israeliano e ha lavorato ad algoritmi e programmi di intelligenza artificiale per il funzionamento di veivoli senza pilota per l’Idf, le forze di difesa israeliane. Partecipa a un progetto di ricerca sulle funzioni del cervello e della mente umana finalizzato a sviluppare un «sistema virtuale di interrogatorio», finanziato dai fondi dell’Unione europea Horizon 2020, con la partecipazione della polizia nazionale israeliana, la Guardia civil spagnola e l’ispettorato generale della polizia rumena.
La maggior parte di questi atenei propugna una narrazione sionista, contribuisce attivamente alla cancellazione della memoria e della cultura palestinesi e favorisce con borse di studio gli studenti che abbiano partecipato a operazioni militari. In conclusione le università israeliane, con cui la Sapienza collabora e si associa, sono guerrafondaie e discriminatorie a tutti i livelli: culturale, economico e di ricerca.
La Fondazione Leonardo Med-Or
La Rettrice Polimeni è inoltre membro della Fondazione Leonardo Med-Or, nata su iniziativa di Leonardo Spa, azienda leader del settore della difesa, con lo scopo di rafforzare gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i paesi del Medio Oriente. Il presidente è l’ex ministro Marco Minniti (ricordato soprattutto per i finanziamenti ai campi di detenzione libici), il quale ha inserito nel comitato scientifico vari rettori di atenei italiani. La fondazione attualmente gestisce un master in geopolitica e sicurezza nella facoltà di Scienze politiche.
Il ruolo del sapere, che dovrebbe essere motore dell’innovazione sociale, è inconciliabile con accordi con aziende come Leonardo e Thales che si occupano di ideare, realizzare e produrre strumenti di morte. Invece con questa collaborazione la guerra viene prodotta attraverso progetti di ricerca di strumenti a uso militare che influiscono direttamente sui conflitti in atto, con questa grande macchina economica che risucchia giovani teste sfruttando il loro studio e lavoro per la produzione di armi.
Le mobilitazioni nelle università italiane
Mentre prosegue il massacro dei palestinesi, il governo Meloni e il mondo istituzionale stenta a condannare quello che è a tutti gli effetti un genocidio. Le e gli studenti che sentono il peso della storia, quella stessa storia che studiano, sanno che non possono voltarsi dall’altra parte. Riconoscono un discorso ampio e complesso che non inizia certo il 7 ottobre e sanno che la guerra non è lontana, anzi trova nei suddetti accordi che riguardano proprio le Università parte della sua legittimazione.
Nelle piazze e nelle università la risposta è stata, nella quasi totalità dei casi, incarnata dalla durezza dei manganelli: a Pisa, a Bologna, a Torino, a Napoli, a Vicenza, ecc. Sarebbe un errore definirli episodi isolati: sono frutto di un orientamento preciso, coerente con la linea autoritaria e repressiva del governo. Le e gli studenti hanno deciso di non piegarsi a questa violenza, moltiplicando cortei, occasioni di mobilitazione e azioni dirette. In questo lungo periodo c’è stata una progressiva crescita della conflittualità, espressa nelle diverse forme di manifestazione, e della rabbia nei confronti di istituzioni culturali che neanche quando sono spettatrici del massacro di un intero popolo sono capaci di emanciparsi dalle logiche del profitto che le guidano.
La lotta ha raggiunto risultati importanti. All’Università di Bari il rettore si è dimesso dalla fondazione Med-Or, creando un precedente che ha condotto a un ciclo spontaneo di occupazioni dei rettorati in alcune università italiane, come all’università di Bologna e all’università Sapienza di Roma, per chiedere ai propri Rettori lo stesso gesto.
All’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Bologna, dopo mesi di denuncia da parte della comunità studentesca degli accordi con la filiera bellica, una delegazione ha potuto presentare le proprie rivendicazioni. Mentre una studente si faceva voce della protesta, il Rettore Molari le ha però tolto il microfono di mano intimandole di andarsene, zittendo e limitando il dialogo, comportandosi da ingranaggio della macchina repressiva ben visibile nelle piazze sempre più militarizzate. La delegazione studentesca chiedeva che il proprio studio non fosse più sfruttato dall’industria della morte, l’interruzione degli accordi ma anche la chiarezza e la pubblicità di questi ultimi. Dopo questo episodio è stata occupata la facoltà di lettere e poi il rettorato a oltranza, ottenendo un nuovo incontro pubblico fissato per il prossimo 24 aprile con il rettore Molari.
Anche a Torino il movimento pro Palestina ha deciso di muoversi, entrando all’interno dell’aula dove si teneva il Senato accademico e chiedendo l’interruzione degli accordi con le università israeliane. Ciò ha portato a una votazione che si è conclusa con l’interruzione degli accordi che riguardano tecnologie che potevano avere fini militari.
A Pisa invece, dopo aver assistito alla violenza delle forze dell’ordine nei confronti degli studenti medi, che è diventato un caso nazionale suscitando la solidarietà dei concittadini degli studenti, a partire dai professori, la mobilitazione studentesca è arrivata alla Scuola Normale dove il Senato accademico ha alla fine approvato un documento che annuncia «la massima cautela e diligenza nel valutare accordi istituzionali e proposte di collaborazione scientifica che possano attenere allo sviluppo di tecnologie utilizzabili per scopi militari e alla messa in atto di forme di oppressione, discriminazione o aggressione a danno della popolazione civile, come avviene in questo momento nella striscia di Gaza»
Alla Sapienza di Roma, la sera del 25 marzo gli e le studenti sono entrate nel rettorato, l’edificio più importante per la rettrice, il suo «gioiello» sempre presidiato dalla digos, convocando un contro-senato per il giorno seguente, un evento aperto a cui era invitata la Rettrice, che ovviamente non si è presentata. Durante la notte, la digos ha presidiato e mantenuto «sotto assedio» l’edificio con gli e le studenti dentro, per bloccare poi il giorno seguente l’entrata alla stampa e a chi volesse partecipare all’incontro. Per impedire ancora una volta la libertà di espressione c’è stato un ampio dispiegamento di forze dell’ordine con addirittura il caso di uno studente morso da una poliziotta. Nonostante le tecniche repressive il controsenato è stato ricco di interventi di studenti e docenti, tra cui alcuni appartenenti al nuovo Comitato Sapienza Palestina che sta facendo circolare una petizione che chiede alla Sapienza di rispettare gli ideali di pace e libertà dei quali si fa teoricamente baluardo. Rilanciando una nuova mobilitazione il 16 aprile, in occasione del prossimo Senato accademico.
A nostro parere la Conferenza dei rettori (Crui) dovrebbe discutere di come utilizzare la propria posizione per schierarsi per il cessate il fuoco e contro il massacro di un intero popolo, invece si riunisce con la ministra Anna Maria Bernini per trovare i modi per zittire le voci dissenzienti. Per loro il bisogno di finanziamenti privati all’Università dovrebbe giustificare il mantenimento degli accordi. Anche se questi privati vendono morte. Le istituzioni pubbliche dovrebbero essere ambasciatrici dei valori costituzionali: come si concilia il ripudio della guerra con gli accordi con aziende direttamente coinvolte nei processi di costruzione dei conflitti e istituzioni promotrici di visioni razziste e colonialiste?
*Matteo Caliò è uno studente di Filosofia all’università Sapienza di Roma e attivista del Collettivo Villa Mirafiori. Michele Gustincich è studente di Scienze politiche alla Sapienza e attivista a Roma.
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