
Il voto tedesco e la questione migrante
Un rimpatrio costa spesso centinaia di migliaia di euro. Eppure anche in Germania quasi tutti i partiti invocano le deportazioni piuttosto che offrire una prospettiva a chi arriva
La questione migratoria è diventata il tema predominante della campagna elettorale tedesca. Non è soltanto la Cdu a puntare sulla chiusura dei confini con la sua proposta di legge sulla limitazione dell’afflusso, ma anche partiti come i Verdi presentano misure che mettono in discussione i diritti fondamentali, e questo nonostante il numero di richieste di asilo sia drasticamente diminuito dal 2023.
L’allarmismo che viene alimentato in Germania riguardo ai migranti è difficilmente giustificabile con uno sguardo sobrio ai dati. Valeria Hänsel e Kerem Schamberger lavorano per l’organizzazione per i diritti umani Medico international nell’ambito dei rifugiati e della migrazione e spiegano cosa davvero è in gioco nel surriscaldato dibattito sulla questione migratoria: una ristrutturazione della politica di sicurezza dello Stato. Hanno parlato con Mandy Tröger di Jacobin Germania del perché il regime di frontiere altamente attrezzato dell’Unione europea non sia solo disumano ma anche inefficace e costoso, e del perché la sinistra trovi così difficile sviluppare una visione convincente per una politica migratoria più giusta.
Attualmente si discute molto dell’abbattimento del Brandmauer, il muro contro la collaborazione con i partiti politici di estrema destra. Dove vedete voi questo Brandmauer [letteralmente, barriera spartifuoco: è la metafora con cui in Germania si descrive la pregiudiziale antifascista tra tutti i partiti, Ndt]?
KS: Questa discussione è una distrazione di massa. Ci si scandalizza quando i partiti si avvicinano all’AfD, ma ciò che invece dovrebbe scandalizzare ancora di più sono i contenuti delle leggi che propongono. Un Brandmauer non dovrebbe esistere solo in opposizione all’AfD, ma anche a una politica ostile ai diritti fondamentali. Ma è proprio questa politica che ora gli altri partiti stanno progressivamente attuando. Le richieste che l’AfD avanzava tre anni fa ora si trovano nel programma dei Verdi. Nel piano in dieci punti di Robert Habeck, il leader dei Verdi, si leggono termini come «offensiva esecutiva» – un termine burocratico spaventosamente tecnocratico che disumanizza e quindi legittima la violenza contro chi è apparentemente diverso. Allo stesso tempo, c’è il piano in cinque punti della Cdu e della Csu e – per dirla senza mezzi termini – il «piano in 88 punti» dell’AfD. Ma tutti vanno nella stessa direzione. Tutti dichiarano che la migrazione è un problema. Discutono della demarcazione simbolica dall’AfD per evitare di dover ammettere che sul piano dei contenuti c’è già un grande accordo. Il Brandmauer non protegge i rifugiati. Per loro ci sono invece muri veri, quelli contro cui muoiono o annegano.
Quali sono i contenuti del cosiddetto piano in cinque punti del leader della Cdu Friedrich Merz?
VH: Uno dei punti centrali è la chiusura di fatto dei confini tedeschi. La legge sulla residenza dovrebbe essere conseguentemente modificata per stabilire un limite legale all’immigrazione. In pratica, però, ciò riguarderebbe anche i richiedenti asilo che hanno un legittimo diritto alla protezione. Sarebbe una chiara violazione dei principi fondamentali del diritto europeo e del diritto internazionale. Se questo dovesse essere applicato conformemente al diritto europeo, sarebbe possibile farlo solo attraverso continui decreti d’emergenza – un modello che ricorda i regimi autoritari.
Un altro elemento rilevante è la massiccia espansione dei poteri della polizia federale. A essa dovrebbe essere affidata la responsabilità esclusiva delle «misure di cessazione del soggiorno», non solo alle frontiere ma anche nelle stazioni ferroviarie. Dovrebbe anche essere in grado di presentare autonomamente le domande di detenzione, un compito che normalmente spetta ai pubblici ministeri e ai tribunali. Questa sarebbe una profonda violazione dei principi dello Stato di diritto e della separazione dei poteri, che sono stati appresi dall’esperienza storica del nazionalsocialismo. Inoltre, il ricongiungimento familiare dovrebbe essere sospeso per coloro che necessitano di protezione sussidiaria, il che significa che lo Stato separa deliberatamente le famiglie.
Cosa propongono gli altri partiti in materia di politica migratoria?
VH: I Verdi hanno recentemente presentato il loro piano in dieci punti. Sebbene appaia più moderato rispetto al piano della Cdu, rimane massicciamente repressivo e si muove in una simile direzione. Ad esempio, i cosiddetti Gefährder – persone che non hanno commesso un reato ma che sono classificate come una potenziale minaccia dalle autorità statali – devono essere espulsi. Si tratta quasi esclusivamente di persone che sono in ogni caso colpite da strutture razziste. Questa è chiaramente una disparità di trattamento davanti alla legge e un enorme passo indietro per i principi dello Stato di diritto.
KS: Il piano prevede inoltre misure come il riconoscimento facciale biometrico online e una più stretta collaborazione tra polizia e servizi segreti. Considerando che un tempo i Verdi erano considerati un partito per i diritti civili, questa trasformazione in un partito law and order è raccapricciante.
Ma c’è comunque un incontestabile afflusso di rifugiati in Europa.
KS: Per essere chiari: l’80-85% di tutti i rifugiati nel mondo non sono diretti in Europa o negli Stati Uniti, ma fuggono all’interno del proprio paese o verso paesi vicini. Solo una percentuale relativamente piccola arriva in Germania. Tuttavia, spesso si pensa che tutti i rifugiati vogliano venire qui, ma questo non coincide affatto con la realtà. La stragrande maggioranza delle persone viene accolta dai paesi del Sud globale.
Dieci anni fa, durante la «grande crisi migratoria» (Sommer der Migration) del 2015, [un anno in cui si vide anche la prima affermazione di AfD], è andato storto qualcosa che oggi si riflette nel dibattito sulla migrazione?
VH: Una narrazione deliberatamente di destra è l’affermazione che Angela Merkel ha aperto le frontiere nel 2015. Questo è fattualmente non corretto. Le norme di Schengen erano in vigore da molto prima del 2015, e all’epoca sarebbe stato un disastro umanitario respingere i richiedenti asilo o fermare in questo modo i flussi migratori.
KS: Allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare che la Merkel ha anche organizzato l’accordo tra Unione europea e Turchia, attraverso il quale centinaia di migliaia di persone sono state private dei propri diritti. Le fondamenta della politica migratoria repressiva di oggi sono state gettate allora. La politica non è in grado di affrontare le crisi sociali fondamentali, tanto meno di risolverle. Quindi la migrazione viene incolpata di tutto: della carenza di alloggi, delle liste di attesa nella sanità o dei disservizi dei trasporti pubblici. Ma la migrazione è una realtà di questa società e non la causa di problemi strutturali. Questo puntare il dito distrae dal fatto che i politici non hanno risposte alla mancanza di investimenti nelle infrastrutture o al freno al debito. Invece di affrontare queste sfide, si cerca un capro espiatorio: i rifugiati provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan o da altri paesi, che sono i meno responsabili del fatto che il treno è sempre in ritardo o che ci sono troppo pochi posti negli asili nido.
Perché l’immigrazione è un tema così centrale nel dibattito politico tedesco?
VH: Il dibattito sulla migrazione viene strumentalizzato per minare i principi fondamentali dello Stato di diritto, soprattutto perché la migrazione viene sempre più trattata come una questione di sicurezza interna. La politica migratoria viene usata per smantellare i principi democratici fondamentali e per portare avanti la riorganizzazione dello Stato in termini securitari. Credo che questo venga riconosciuto troppo poco.
KS: Inoltre in Germania c’è la tradizione di rappresentare la migrazione come un problema, indipendentemente dalle effettive dimensioni dei flussi migratori. Gli slogan che sentiamo oggi dalla Cdu/Csu fino ai Verdi esistevano già in forma simile vent’anni fa, quando il numero di richieste di asilo era ancora più basso. Oggi il numero di richieste di asilo è nettamente diminuito rispetto al 2023. Ciononostante, la migrazione continua a essere un argomento centrale, non perché i numeri lo giustifichino, ma perché i politici creano le proprie crisi e le usano come pretesto per ristrutturare lo Stato. Un esempio è la carta di pagamento introdotta l’anno scorso per i rifugiati. Non appena è stata introdotta, si è già discusso se estenderla anche al reddito di cittadinanza (Bürgergeld), per controllarne e limitarne l’utilizzo dei beneficiari solo ad alcuni tipi di spesa. Questi meccanismi di autoritarismo iniziano sempre con i membri più deboli della società, oggi con i rifugiati e le persone socialmente svantaggiate. Ma da lì si diffondono gradualmente alla società intera.
In che modo i media influenzano queste percezioni?
KS: Due esempi attuali: di recente in Svezia c’è stato un omicidio di massa di undici persone in una scuola. Quanto tempo è stato coperto? Ci sono stati programmi speciali? No. Perché? Perché il colpevole non si chiamava Mohammed, ma Rickert. «Sparite dall’Europa», sembra che abbia intimato durante l’attacco. Questo era diretto infatti a una scuola in cui si organizzavano corsi per rifugiati. Ci sono molti indizi di terrorismo di destra. Quante storie ci sono sui rifugiati presunti criminali? Innumerevoli. Ma quando abbiamo visto un rifugiato come individuo con un nome, un volto e una storia in un talk show? Mai. Nessuno si chiede se siano stati torturati o cosa facciano oggi. Inoltre, i media creano deliberatamente l’immagine di una società insicura. Uno studio del ricercatore Thomas Hestermann mostra quanto questa immagine sia distorta: nel 2018, la polizia ha registrato il doppio dei sospetti tedeschi rispetto a quelli stranieri. Nei servizi televisivi, tuttavia, ci sono più di otto sospetti stranieri per ogni tedesco, nei giornali addirittura quattordici. Quando si parla di migrazione in Germania, gli immigrati o i rifugiati sono ritratti come sospetti autori di violenza nel 34,7% dei rapporti.
Quale potrebbe essere una politica migratoria radicale e di sinistra?
VH: Il primo passo sarebbe riconoscere la migrazione come una realtà politica e sociale. Siamo tutti parte della società della migrazione, la politica migratoria fa parte delle politiche sociali. Dobbiamo accettare che il vero pericolo non è ai confini, ma che abbiamo a che fare con una massiccia ristrutturazione autoritaria dello Stato e un forte spostamento a destra. Questi sviluppi sono la più grande minaccia per la nostra società e sono strettamente legati alla costante problematizzazione della migrazione.
Lo scrittore Behzad Karim Khani ha recentemente dichiarato: «Tra vent’anni, in Germania ci saranno più persone in grado di pronunciare correttamente il mio nome che quello di Fleischhauer [noto giornalista tedesco], e questo mi piace». Non potrebbe lo spostamento a destra risolversi in modo spontaneo?
KS: Ho un grande rispetto per Behzad Karim Khan! Il suo assunto è che la società della migrazione è una realtà irreversibile. Ma credo che commetta un errore, che risiede nell’idea che il razzismo sia un sistema fisso, una semplice dicotomia «Thomas contro Kerem». In realtà, il razzismo è un regime dinamico di emarginazione che storicamente si è sempre trasformato. È un mezzo di dominio che serve, tra l’altro, a giustificare, legittimare e normalizzare la disuguaglianza sul mercato del lavoro o in altri ambiti della società. I primi segni di ciò sono già visibili: l’approvazione delle restrizioni migratorie e dell’isolamento [chiusura dei confini] sta crescendo, anche tra le persone con una propria storia di migrazione. È un fenomeno di cui purtroppo dovremo parlare ancora di più in futuro. I sistemi di esclusione, segregazione e discriminazione continueranno a svilupparsi, solo in forme nuove.
Cosa potrebbe fare la politica per reagire concretamente a questa tendenza?
VH: Per prima cosa smettere di creare problemi sul piano politico. Ad esempio, nessuno dovrebbe essere tenuto più a lungo in uno stato incerto di residenza, come quella del soggiorno tollerato. Inoltre, si dovrebbe smettere di tagliare e definanziare le infrastrutture sociali. Così si offrirebbero alle persone sicurezza e prospettive. Inoltre, il nostro sistema migratorio deve essere sottoposto a un esame approfondito. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati definisce le ragioni della fuga in modo troppo restrittivo, soprattutto per quanto riguarda i cambiamenti climatici. Dovremmo pensare a come riorganizzare il concetto di cittadinanza. A lungo termine, ciò potrebbe significare rendere la cittadinanza accessibile a tutte le persone che vivono sul territorio europeo. Ad oggi ci sono già molte iniziative che lavorano in questa direzione, come le «Solidarity Cities». Numerose città hanno dichiarato la loro disponibilità ad accogliere i rifugiati, ma spesso questo non avviene a causa di ostacoli legali. Un primo passo sarebbe quello di promuovere specificamente tali iniziative, ad esempio attraverso programmi di finanziamento nazionali o europei.
Se queste idee esistono, perché è così difficile dare forma a una politica migratoria radicale e di sinistra?
KS: La sinistra sociale ha difficoltà a sviluppare una propria politica migratoria perché – come tutti gli attori politici – pensa troppo fortemente in termini di Stato nazionale. Ma lo Stato nazionale porta sempre con sé i confini, e dai confini discende la selezione. Quindi la domanda centrale è: chi decide l’attraversamento dei confini, le persone all’interno o all’esterno di essi? Credo che, accanto alla critica al capitalismo, la sinistra sociale debba anche sviluppare una critica fondamentale dello Stato nazionale per formulare una politica migratoria coerentemente di sinistra.
Avete qualche proposta concreta?
KS: È vero che molte persone vengono in Europa per trovare un lavoro dignitoso e non necessariamente perché sono perseguitate politicamente. Invece di lasciare a queste persone come unica possibilità quella di intraprendere la pericolosa rotta del Mediterraneo, potremmo introdurre un sistema di visti che consenta più ingressi. Questo sistema è noto come migrazione circolare e funziona già, ad esempio all’interno del sistema Ecowas (la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale). In effetti, l’Ecowas aveva già riconosciuto la libera circolazione per i suoi membri prima che l’Unione europea introducesse la propria libera circolazione delle persone. Questo modello potrebbe essere adottato senza modificare l’intero sistema migratorio europeo. Sarebbe una soluzione pragmatica che andrebbe a vantaggio sia dei migranti che delle società europee. Molti migranti si fermano in modo permanente solo perché temono, ad esempio, di non poter rientrare legalmente in Europa dopo essere tornati dalle loro famiglie. Questa situazione può essere cambiata.
VH: Un altro problema è che le persone che tornano temporaneamente nei loro paesi d’origine perdono lo status di rifugiato. Una nuova proposta di legge prevede che i rifugiati che si recano in Siria, ad esempio, perdano il loro status di protezione, con la motivazione che si tratti nuovamente di un paese sicuro. È una politica assurda e pericolosa.
Che cosa ci aspetta nel caso in cui la politica scelga di portare avanti la chiusura dei confini?
VH: Se non sviluppiamo una politica migratoria progressista, i problemi si aggraveranno. L’attuale politica di chiusura delle frontiere non funziona. Le persone trovano comunque il modo di entrare in Europa e le cause dei flussi migratori aumentano a causa delle guerre e della crisi climatica. Allo stesso tempo, le frontiere sono ormai così pesantemente militarizzate che non è pensabile un ulteriore restringimento. Ad esempio, ogni giorno in Grecia si verificano violenti respingimenti. Le persone vengono sistematicamente respinte in alto mare, spesso con conseguenze fatali. Nonostante ciò, molti riescono a raggiungere l’Europa. L’idea che le migrazioni possano essere evitate chiudendo le nostre frontiere è un’illusione.
Non vi sembra poco realistico? Dopo tutto, la pressione economica e politica su tutti i paesi europei è in aumento.
VH: Una politica migratoria progressista non è solo necessaria in termini di diritti umani, ma ha anche un significato economico. La rigida politica isolazionista è costosa e inefficiente. Inoltre, promuove un sistema di controllo repressivo che divide le persone in innumerevoli categorie, le regolamenta e le criminalizza. Un esempio è la criminalizzazione dei cosiddetti scafisti. Le persone che aiutano altri a fuggire sono condannate a lunghe pene detentive. Il sistema non serve solo come deterrente, ma anche per mantenere un apparato di controllo inefficiente. Si dice spesso che la libertà di circolazione sia un’utopia irraggiungibile. Ma se si considera quante risorse vengono impiegate per sigillare le frontiere e quanto spesso queste misure falliscono, un sistema con maggiore libertà di movimento sarebbe molto più facile da attuare.
KS: Spesso si spendono centinaia di migliaia di euro a persona per le espulsioni, invece di pensare in modo pragmatico: Come possiamo integrare le persone nel mercato del lavoro? Invece di spendere soldi per l’isolamento e la deportazione, dovremmo investire in un sistema che dia prospettive alle persone.
*Kerem Schamberger è responsabile delle politiche migratorie e dei rifugiati presso Medico international, attivista e saggista. Valeria Hänsel è una ricercatrice che si occupa di migrazioni ed è responsabile delle politiche migratorie e dei rifugiati per medico international. Questo articolo è uscito su Jacobin Germania. La traduzione è a cura di Giorgio De Girolamo.
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