
La balla su Donald il pacifista
L'ha partorita per prima Fox News, poi si è diffusa oltremodo: è la storiella secondo la quale Trump da presidente non avrebbe portato avanti politiche guerrafondaie
Di recente, nel terzo episodio del suo nuovo programma che si vede solo su Twitter da quando è stato espulso da Fox News, Tucker Carlson ha svelato il motivo per cui l’establishment di Washington sta cercando di «mettere [Donald] Trump dietro le sbarre per il resto della sua vita». Riguarda la politica estera, ci dice Carlson, in particolare «le invasioni, le occupazioni e le guerre per procura» e tutte le altre politiche «che valgono trilioni di dollari».
Parla della performance di Trump nel dibattito presidenziale del Partito repubblicano del febbraio 2016, quando si scagliò contro la guerra in Iraq e le bugie che vi trascinarono gli Stati uniti, come «il momento preciso in cui [l’establishment di Washington] decise di mandare Donald Trump in prigione». Il fatto triste è che «nessuno con le opinioni di Trump può avere il potere in questo paese», dove sei squalificato dalle alte cariche e, alla fine, incarcerato se critichi le guerre statunitensi.
«Qualunque cosa tu dica di lui, Donald Trump è l’unico con una possibilità reale di diventare presidente che dissente dall’agenda di guerra inutile e di lunga data di Washington – ha concluso Carlson – E per questo, per quest’unico fatto, stanno cercando di eliminare Trump prima che tu possa votare per lui».
Il video di Carlson è l’ultimo di un genere di commenti recenti che sostengono che Trump fosse, in realtà, un presidente contro la guerra. Per lo meno, ci viene detto, attraverso i suoi presunti istinti da «America First», Trump ha inconsapevolmente inferto il colpo più duro mai visto al dominio globale sfrenato sotto Washington. C’è solo un modo per crederci: ignorare quasi tutto ciò che Trump ha fatto come presidente.
L’antimperialismo più strano del mondo
Carlson e altri che sostengono questa argomentazione basano in gran parte la loro tesi sul fatto che Trump è diventato il primo e unico presidente dai tempi di Jimmy Carter (e anche questo è discutibile) a non iniziare una nuova guerra, un atto d’accusa contro la classe politica statunitense nel suo insieme e il liberalismo americano in particolare. Quello che ignorano è il fatto ovvio e ben documentato che Trump si è sforzato molto di avviarne una con l’Iran ed è stato, ironia della sorte, salvato da quella stupida guerra dall’Iran stesso.
Dal suo primo anno all’ultimo, Trump si è impegnato in continue e sconsiderate provocazioni nella speranza di indurre l’Iran a fare qualcosa che avrebbe giustificato un attacco degli Stati uniti. Ha notoriamente violato, e poi se ne è tirato fuori, l’accordo sul nucleare iraniano senza una buona ragione e ha ripreso ad accumulare ingiustificatamente sanzioni devastanti sul paese che hanno schiacciato la sua economia.
Trump ha minacciato l’Iran di «annientamento», nominando come massimo consigliere un uomo che una volta aveva sostenuto di voler bombardare il paese, ha avanzato pericolosi sforzi per isolarlo nella regione e ha aumentato massicciamente la presenza delle truppe statunitensi e il dispiegamento navale e aereo nel Golfo Persico. Ha assassinato una delle sue massime figure militari e politiche sulla base di informazioni fragili – secondo quanto riferito la più estrema delle opzioni che i suoi consiglieri militari gli hanno dato, tanto che sono rimasti sorpresi che l’abbia accettata – ed ha evitato di scatenare una guerra su vasta scala solo a causa della moderazione della risposta di Teheran.
Come si può dire che Trump sia «contro la guerra» con una faccia seria, quando uno dei suoi principali scontri con il Congresso lo ha visto porre il veto a una risoluzione che avrebbe posto fine al sostegno degli Stati uniti alla guerra guidata dai sauditi allo Yemen, e quindi avrebbe probabilmente posto fine alla guerra? Iniziata sotto Barack Obama, il sostegno degli Stati uniti a quella guerra ha reso Washington complice di quella che è stata per anni una, se non la peggiore, delle crisi umanitarie del mondo, poiché i bombardamenti e il blocco indiscriminati della coalizione sostenuta dagli Stati uniti hanno provocato un aumento vertiginoso della fame, delle malattie e delle vittime civili a livelli raccapriccianti, uccidendo quasi quattrocentomila persone fino al 2022. Trump, tra l’altro, ha intensificato gli attacchi aerei statunitensi nel paese, con il suo primo anno in carica che ha visto la maggior attività antiterrorismo nello Yemen fino a quel momento.
Trump bombardava costantemente paesi a caso senza riguardo per i confini, la sovranità nazionale o il contributo del Congresso, proprio come ogni altro presidente degli Stati uniti in questo secolo. Ricordate quando lui, nelle parole di Fareed Zakaria, «è diventato presidente» nel 2017 bombardando la Siria (non sarebbe stata l’ultima volta)? Ricordate quando ha sganciato la «Madre di tutte le bombe» sull’Afghanistan (mentre inviava altre migliaia di truppe)? Lungi dall’essere spinto a farlo, Trump si è detto divertito dei risultati della sua scelta di lasciare briglia sciolta ai soldati e si è vantato del fatto che li avrebbe lasciati agire più aggressivamente rispetto a Obama.
Un’altra politica che Trump ha ereditato e poi intensificato dal suo predecessore è stata la guerra dei droni. Che si tratti di Somalia, Iraq, Siria, Yemen o Afghanistan, Trump ha intensificato drasticamente gli attacchi aerei in Medio Oriente e Africa, spesso a livelli record, a volte registrando in un singolo anno più attacchi di droni di quanti ne avesse gestiti una precedente amministrazione in più anni o anche più amministrazioni precedenti messe insieme. Com’era prevedibile, ciò ha fatto impennare le morti civili in questi paesi, numeri che, sebbene ancora troppo alti, sono drasticamente diminuiti sotto Joe Biden. Trump ha fatto tutto questo annullando i controlli moderati e le misure di trasparenza che Obama aveva messo in programma.
I parenti delle tante, tante persone innocenti che Trump ha fatto esplodere casualmente – compresi bambini piccoli e intere famiglie – probabilmente hanno meno fiducia negli «impegni spesso dichiarati per la pace e il non intervento» che Carlson sta fingendo che l’ex presidente abbia perseguito.
Oltre a questo, Trump ha continuato la politica statunitense di cambio di regime in America Latina e altrove, intensificando la «massima pressione» attraverso la guerra economica per tentare (fallendo) di rovesciare i governi di Venezuela, Siria, Nicaragua e Cuba, in quest’ultimo caso, invertendo i tentativi di riavvicinamento del suo predecessore. I suoi sforzi non hanno avuto successo, ma hanno causato quantità indicibili di morte e miseria inutili alla gente comune che non aveva alcuna responsabilità per i governi che Trump voleva rimuovere. In effetti, secondo quanto riferito, Trump a un certo punto ha lanciato un’azione militare contro il Venezuela e recentemente si è vantato di come «avremmo ottenuto tutto quel petrolio» se il paese fosse crollato durante la sua presidenza.
Più successo ha avuto il coinvolgimento e il sostegno dell’amministrazione Trump negli sforzi di colpo di stato di destra in Bolivia, nel primo dei quali Trump è stato probabilmente coinvolto anche attraverso l’influenza di Washington sull’Organizzazione degli Stati americani, che ha svolto un ruolo fondamentale nel ribaltare le elezioni del 2019. La sua amministrazione ha esplicitamente rilanciato la Dottrina Monroe, che dava carta bianca agli Stati uniti nell’interferire in America Latina ogni volta che lo desiderava, una dottrina letteralmente imperialista e lontana dal «non intervento».
La sua presunta sfida allo status quo di Washington non si è estesa alla politica estera più inamovibile e corazzata: l’indiscutibile sostegno degli Stati uniti a Israele, che Trump ha portato a nuovi livelli di umiliante fedeltà.
Il presunto leader dell’«America First» si è dichiarato «il presidente degli Stati uniti più filo-israeliano della storia» e ha accusato i critici di essere «molto sleali nei confronti di Israele». Ha finito il lavoro di Joe Biden spostando l’ambasciata degli Stati uniti a Gerusalemme, tagliando gli aiuti ai palestinesi, riconoscendo ufficialmente l’accaparramento della terra da parte di Israele delle alture del Golan e acconsentendo ai coloni israeliani che volevano accelerare il ritmo nell’accomodarsi (leggi: rubare) la terra palestinese. In effetti, uno dei maggiori scandali del «Russiagate» aveva poco a che fare con la Russia: riguardava l’amministrazione Trump che prima ancora di entrare in carica proteggeva Israele da un imbarazzante voto delle Nazioni unite.
Tutto questo è stato sottoscritto dai «cartellini del prezzo da trilioni di dollari» per i quali Carlson ora dice che solo Trump rappresenterebbe una minaccia. Il già gigantesco budget militare degli Stati uniti è salito a livelli mostruosi da record sotto Trump, sottraendo investimenti alle comunità statunitensi in difficoltà che hanno continuato a vedere diminuire la loro aspettativa di vita e aumentare la precarietà economica.
Falco travestito da colomba
Bene, potreste dire; ma almeno Trump non ha coinvolto gli Stati uniti in un conflitto con una potenza nucleare come la Russia. «Dick Cheney è un neocon. Donald Trump no», ha detto Carlson nel suo video più recente. Cheney «sostiene la guerra con la Russia. Trump no».
Trump è stato probabilmente il presidente più aggressivo nei confronti della Russia almeno dai tempi di Ronald Reagan, forse anche più, dato il fatto che Trump si è ritirato dallo storico Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio che l’icona repubblicana aveva negoziato con l’ex Unione sovietica, così come dal Trattato sui Cieli Aperti che George Bush senior aveva messo insieme. Nello stesso momento in cui ha indebolito gli argini alla guerra nucleare, Trump ha aumentato massicciamente i finanziamenti per promuovere la modernizzazione e l’espansione dell’arsenale nucleare statunitense, un’altra politica da falco che ha in comune con i due presidenti democratici prima e dopo di lui.
Come hanno sottolineato molti analisti che si sono concentrati sulle azioni reali di Trump, non sulle parole, incluso il centrista Brookings Institution, Trump ha intensificato il confronto con quel paese sin dall’inizio. Solo nel suo primo anno, Trump ha chiuso le strutture diplomatiche russe negli Stati uniti (espellendo altri diplomatici russi un anno dopo), imposto una raffica di sanzioni al paese nel corso dell’anno, messo a punto una strategia di sicurezza nazionale che li identificava come una delle principali sfide alla sicurezza e preso di mira uno dei pilastri degli interessi di sicurezza russi vendendo il gas naturale statunitense all’Europa come fonte energetica alternativa.
Ciò è continuato per il resto della sua presidenza, con Trump che ha firmato un accordo per iniziare a scacciare la Russia dal mercato europeo con nuove infrastrutture del gas e ad accusare la Germania di essere «prigioniera della Russia» per il gasdotto Nord Stream 2, che Trump ha infine bloccato nel 2019 con una nuova serie di sanzioni (quelle sanzioni, per inciso, sono state successivamente attenuate da Biden).
Trump ha ulteriormente aumentato le tensioni con Mosca con le sue azioni in Siria, uno stato cliente della Russia, dove il suo direttore della Cia si è vantato che gli attacchi aerei statunitensi a un certo punto hanno ucciso «un paio di centinaia di russi» (mercenari del gruppo Wagner, in particolare). E nonostante il suo ritiro nel 2020 di dodicimila truppe statunitensi dalla Germania, ha fatto lo stesso in Europa, sostenendo l’espansione della Nato in Montenegro e Macedonia del Nord, pompando più denaro nell’alleanza, conducendo diverse massicce esercitazioni militari della Nato e inviando più truppe in Polonia.
Ma probabilmente, il più grande cambiamento compiuto da Trump è stata la sua decisione del dicembre 2017 di iniziare a inviare armi offensive in Ucraina per la prima volta, una grande escalation a cui Obama aveva resistito per paura di provocare una pericolosa reazione da parte di Mosca. Ciò è avvenuto di pari passo con l’espansione di un programma segreto di addestramento paramilitare nel paese avviato sotto Obama («C’era una scuola di pensiero secondo cui i russi parlavano la buona vecchia lingua della guerra per procura», ha ragionato un funzionario di Trump), così come la sua decisione di andare oltre Obama nel dare alla Cia libero sfogo per effettuare attacchi informatici, un dono importante per il «Deep State» contro cui si scagliava sempre, e che l’agenzia ha rapidamente utilizzato per portare a termine operazioni più aggressive contro la Russia.
Niente di tutto ciò è stato sorprendente dato che Trump ha nominato i falchi in posti chiave. Le sue «scelte personali riflettono una visione del mondo distinta che vede la Russia come un concorrente strategico in Europa che deve essere scoraggiato», ha scritto Zachary Selden per il Foreign Policy Research Institute, osservando che Trump «avrebbe potuto ricoprire queste posizioni con individui che rappresentano una visione del mondo di moderazione realista, o di maggiore accomodamento degli interessi russi in Europa», ma ha invece scelto figure «note per le loro opinioni da falco sulla Russia e il loro impegno nei confronti del sistema di alleanze guidato dagli Stati uniti in Europa».
In altre parole, sull’unica questione su cui Trump avrebbe dovuto essere più moderato e accomodante – la politica degli Stati uniti nei confronti della Russia – era, in realtà, un ultra-falco, molto più del suo predecessore democratico, che avrebbe deluso i funzionari russi che avevano preso seriamente la sua retorica conciliante e contribuendo in modo determinante al deterioramento delle relazioni poi culminata nella guerra in Ucraina. L’aggressività di Trump, tra l’altro, non si limita a quando era presidente: prima della sua retorica recente e più contenuta, la prima risposta di Trump all’invasione dell’Ucraina è stata quella di suggerire a Washington di minacciare Putin con armi nucleari.
Sarebbe già abbastanza. Ma l’altra eredità di Trump è stata quella di aumentare simultaneamente le tensioni con un’altra potenza nucleare, la Cina, che ha deliberatamente e inutilmente ostracizzato prima ancora di diventare presidente, colpendo la politica di One China con una telefonata pre-programmata al presidente di Taiwan.(Allora, poiché era Trump a farlo, questo genere di cose era ampiamente criticato come altamente provocatorio, irregolare e pericoloso).
Ci sono poi la rottura del Trans-Pacific Partnership, che ha fatto per ragioni politiche interne, e le tante azioni con le quali Trump avrebbe portato le relazioni Usa-Cina a un nuovo minimo storico. Ciò è cominciato con la guerra commerciale autodistruttiva che ha iniziato nel 2017 ed è aumentata notevolmente dopo l’epidemia di Covid-19, quando, sotto l’influenza dei falchi di cui si era circondato, ha intrapreso una serie di misure più ostili, comprese le provocazioni militari al largo delle coste cinesi, denigrando regolarmente il paese in pubblico.
Peggio ancora, Trump è riuscito a piegare tutta la cultura di Washington verso la sua posizione aggressiva, rimodellando non solo il Partito repubblicano a sua immagine, ma anche la sua opposizione politica e il suo braccio mediatico, con il risultato finale che gli Stati uniti e la Cina si stanno avvicinando in modo allarmante alla guerra. Niente di tutto ciò infastidisce Carlson, ovviamente, perché anche lui, come Trump, è un falco della cina.
Trump che alimenta il conflitto con due potenze nucleari separate, in due diverse parti del mondo lontane dalle coste degli Stati uniti, è l’esatto opposto del dissentire dall’«agenda di guerra inutile» di Washington. E dati i costi economici catastrofici e le potenziali vittime umane che le guerre con entrambi i paesi comportano, per non parlare del loro potenziale di uccidere milioni di americani innocenti attraverso l’escalation nucleare, è quanto di più lontano si possa ottenere da «America First».
Don’t get fooled again
Per parafrasare Tucker Carlson, la verità è che le persone con le opinioni di Trump sono le uniche autorizzate ad avere il potere negli Stati uniti, vale a dire coloro che vogliono riversare la ricchezza americana in budget militari dispendiosi, rovesciare governi stranieri che non gli piacciono, minacciare e attaccare altri paesi con leggerezza sconsiderata e alimentare guerre disastrose e potenzialmente suicide per aggrapparsi alla supremazia globale degli Stati uniti.
Ci sono stati, ovviamente, punti positivi nella politica estera di Trump, come i suoi tentativi di diplomazia con la Corea del Nord (anche se sono seguiti a un anno di spaventose battaglie nucleari) e la sua tardiva negoziazione del ritiro dall’Afghanistan (anche se non sapremo mai se avrebbe effettivamente portato a termine la sua missione). La maggior parte dei presidenti ha fatto qualche azione positiva. Ma la guida di Obama dell’accordo con l’Iran e il riavvicinamento con Cuba non hanno annullato le sue numerose disastrose decisioni di politica estera, così come i pochi momenti di accidentale saggezza di Trump non superano tutto il resto delle sue azioni.
È un cambiamento incoraggiante nella cultura politica degli Stati uniti che la destra pro-Trump senta almeno il bisogno di mentire sul fatto che Trump fosse una specie di pacifista orientato alla moderazione. Ma non vi sbagliate: è una bugia. E se il popolo statunitense venisse ingannato di nuovo la posta in gioco sarebbe alta.
*Branko Marcetic è collaboratore di JacobinMag. Ha scritto Yesterday’s Man: The Case Against Joe Biden. Vive a Chicago, nell’Illinois. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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