La gola profonda
Sul caso Assange la stampa liberal va in cortocicuito: tollera Trump che criminalizza i fondamentali del giornalismo, perché a essere arrestato è chi potrebbe aver contribuito all'elezione del presidente nemico dei giornalisti
Ogni giorno della #Resistenza [l’opposizione moderata e centrista a Trump, Ndt] si articola con incoerenza, la realtà minaccia di piegarsi sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Questo processo potrebbe aver raggiunto il culmine con l’arresto e la possibile estradizione del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, che negli ultimi sette anni aveva vissuto rinchiuso nell’ambasciata ecuadoriana a Londra.
Vale la pena di prendersi un momento per considerare l’assurdità della situazione. Trump, che per anni è stato accusato di essere una pedina russa che si muove di concerto con Assange e WikiLeaks, ha preparato e archiviato accuse criminali contro Assange che ora sono state finalmente svelate. Nel frattempo, per più di due anni, i media statunitensi e la “Resistenza” anti-Trump si sono preoccupati del fatto che Trump attaccava le libertà di stampa e ostacolava i media in quanto ultimo argine prima che i democratici Stati uniti si trasformassero in una autocrazia in piena regola, giustamente rallegrandosi del fatto che i giornalisti potessero avere accesso da fonti di alto livello all’interno del governo ad informazioni riservate considerate dannose per l’esecutivo. Ora alcuni membri di spicco di entrambi gli schieramenti stanno addirittura festeggiando il fatto che Trump si prepari a cercare di criminalizzare il giornalismo.
Parte del tifo a favore dell’arresto di Assange deriva dalla confusione su ciò di cui è accusato. Come chiarito dall’accusa statunitense, i reati che pendono sulla sua testa non hanno nulla a che fare con le accuse di violenza sessuale cui Assange era sottoposto in Svezia, che sono state ritirate nel 2017. (Anche se Assange non è stato dichiarato innocente). Né tutto ciò è collegato alla diffusione da parte di Assange di e-mail compromettenti sulla campagna del Comitato nazionale del Partito democratico e di Hillary Clinton nel 2016, che risulterebbero protette dal Primo Emendamento. L’accusa riguarda esclusivamente la diffusione dei documenti avuti nel 2010 per il tramite di Chelsea Manning, per i quali quest’ultima è stata imprigionata e torturata e di recente di nuovo arrestata. È in questa specifica accusa che si nascondono le minacce alla libertà di stampa contenute in questa vicenda.
L’accusa sostiene che Assange ha cospirato per ottenere l’accesso non autorizzato a un computer governativo al fine di, ecco il punto cruciale dell’ordinanza di arresto, «ottenere informazioni» considerate in grado di «minacciare la sicurezza degli Stati uniti e recare vantaggio a qualsiasi nazione straniera» per poi renderle pubbliche. Con espressioni inequivocabili, l’accusa dice che «lo scopo principale del complotto» consisteva nella «acquisizione e trasmissione di informazioni» da parte di Manning in modo che «WikiLeaks potesse divulgarle pubblicamente». I tentativi di Assange di decrittare una password governativa, in parte fornita da Manning, vengono almanaccati come solo uno tra gli «atti a sostegno della cospirazione».
In altre parole, per ora Assange è accusato di hacking o del tentativo di hackerare il governo degli Stati uniti. Se l’amministrazione Trump avesse perseguito Assange solo per quello, avrebbe potuto trovarsi su un terreno solido. Invece, un governo che ha ripetutamente chiarito di nutrire scarso rispetto per il Primo Emendamento, ha coerentemente gettato una rete molto più vasta, prendendo in considerazione più ampiamente il fatto che Assange stava cercando di mettere le mani su informazioni riservate per renderle pubbliche.
L’accusa sostiene che la cospirazione sarebbe in parte dimostrata dal fatto che Assange e Manning usavano un servizio di chat online per «collaborare all’acquisizione e alla diffusione dei documenti», che Assange «incoraggiò» Manning a fornirgli queste carte, e che Assange «si è adoperato per nascondere il fatto che Manning fosse una sua fonte». Forse l’amministrazione Trump aggiungerà più capi d’accusa. O potrebbe essere che, e questo sarebbe il nodo del problema, l’amministrazione prevede di utilizzare questo caso per eliminare le garanzie di cui dovrebbe godere la stampa. Bisogna ricordare che Mike Pompeo, l’ex direttore della Cia di Trump e attuale segretario di stato, ha definito WikiLeaks un «servizio di intelligence ostile», in modo da escludere Assange dalla tutela del Primo Emendamento. Conosciamo le intenzioni di questa amministrazione.
Questo è esattamente il motivo per cui i difensori della libertà di stampa, organizzazioni come l’Aclu e molti a sinistra da tempo si sono opposti ai tentativi del governo di perseguire Assange. Tutti gli atti elencati nell’atto di accusa – incoraggiare una fonte a fornire informazioni classificate, nascondere l’identità della fonte e dare indicazioni alla fonte su come ottenere l’informazione – sono ciò che i giornalisti fanno ogni giorno, in particolare quelli che si occupano di questioni sensibili legati alla sicurezza nazionale. Stabilire questo standard per il quale qualcuno può essere accusato e perseguito per cospirazione criminale metterebbe in pericolo il lavoro di tantissimi giornalisti.
Il governo degli Stati Uniti in precedenza aveva camminato lungo questo crinale, sotto l’amministrazione Obama. Nel 2013, il dipartimento di giustizia aveva sconvolto gli osservatori quando aveva rivelato di aver spiato e indagato su un giornalista di Fox News in quanto potenzialmente perseguibile penalmente nel bel mezzo di un’indagine su fughe di notizie riservate. Il governo in quel caso aveva definito il giornalista James Rosen come un «co-cospiratore» perché aveva «chiesto, sollecitato e incoraggiato [il leaker] a divulgare documenti interni sensibili e informazioni di intelligence» attraverso «l’adulazione e giocando con la vanità e il suo ego». (Tutta questa storia, alla fine, è caduta come una castello di carte, cosa che non ha impedito al dipartimento di giustizia di Obama di rovinare la vita della persona accusata di aver rilasciato i leak). In altre parole, il giornalista sarebbe stato parte di una cospirazione volta ad ottenere informazioni riservate per il fatto di avere “incoraggiato” una fonte a dagliele. Vi suona familiare?
L’amministrazione quella volta non aveva formalizzato alcuna accusa nei confronti Rosen. Ma le parole di un funzionario della sicurezza nazionale di Obama mostrano perché ciò risulti davvero poco rassicurante. Rosen, ha detto il funzionario, «aveva chiesto ad alcune persone di accedere alle informazioni riservate allo scopo di infrangere la legge per consentirgli di poterle pubblicare». Ancora più grave, secondo il funzionario, il fatto che Rosen avesse «usato nomi falsi e email fasulle». «Il solo fatto che il Primo Emendamento protegga il materiale editoriale – ha concluso il funzionario – non concede ai giornalisti licenza di fare qualsiasi cosa vogliano pur di ottenere quell’informazione». Questa stessa mentalità attualmente si trova alla base dell’accusa contro Assange.
Se il dipartimento di giustizia di Trump intraprende questa strada, allora giornalisti come Bob Woodward e Carl Bernstein, che hanno trascorso intere carriere ad acquisire informazioni riservate da fonti di alto livello e che sono stati tutti santificati dalla “Resistenza” anti-Trump, che ha adottato la loro indagine sul Watergate come modello per rovesciare Trump, in futuro potrebbero essere trattati dal governo come cospiratori criminali.
Ancora, prendiamo in considerazione le fonti che hanno divulgato i Pentagon Papers negli anni Settanta. La trama di The Post di Steven Spielberg, ampiamente propagandata come una celebrazione vitale della libertà di stampa e della resistenza all’autoritarismo nell’era di Trump, raffigurava alcuni giornalisti del Washington Post che cercavano di convincere Daniel Ellsberg, il leaker del Pentagono che possedeva l’autorizzazione per accedere a carte riservate, di passare a loro quei documenti segreti. Anche questo comportamento diverrebbe potenzialmente criminale se prevalesse la logica del governo. Sfortunatamente, alcuni nei media, così come la “resistenza” liberista e centrista con tipica incoerenza, hanno fatto tutt’altro che resistere. Al contrario, stanno sostenendo Trump in questa vicenda. «Aiutare qualcuno a violare la legge e accedere ad informazioni riservate non è protetto dal Primo Emendamento o dal pronunciamento della Corte suprema ‘NY Times vs. Stati uniti’, ha scritto uno dei giornalisti esperti di antiterrorismo della Nbc.
David Corn di Mother Jones, che in precedenza aveva rivelato di aver dato all’Fbi l’ormai screditato Steele Dossier nel tentativo di sconfiggere Trump, ha trascorso ieri cercando di tracciare la differenza strumentale tra ciò che è ufficialmente può essere considerato un giornalismo accettabile e ciò che non lo è. «Non aiutare le fonti a infrangere la legge per ottenere informazioni – ha consigliato – Tuttavia, puoi pubblicare le informazioni che ti vengono fornite». Ricorda, il giornalismo sta semplicemente pubblicando tutte le informazioni segrete delle quali il governo riterrà opportuno tu debba venire in possesso.
Il leader della minoranza al Senato Chuck Schumer ha esternato la sua speranza che ora Assange debba essere «tenuto a rendere conto della sua ingerenza nelle nostre elezioni per conto di Putin e del governo russo». Mentre l’amministrazione Trump è finora solo accusatrice di Assange per l’hacking, Schumer sta dichiarando che Assange va criminalizzato per aver pubblicato alcuni documenti.
«Sapete cosa mette davvero in pericolo i giornalisti? – ha scritto Laura Rozen di Al-Monitor – Assange lavora con l’intelligence russa per eleggere un presidente degli Stati uniti che chiama i giornalisti nemici del popolo». Questa è la logica illiberale e circolare dell’establishment politico: dovremmo tollerare il tentativo di Trump di criminalizzare il giornalismo, perché sta inseguendo il tizio che potrebbe aver contribuito a fare eleggere il nemico dei giornalisti Trump.
Il dipartimento di giustizia di Trump è stato molto scaltro, in questo caso. Mandando avanti l’accusa di hacking, sono in grado di sostenere plausibilmente che stanno perseguendo Assange su basi ristrette, anche se quell’imputazione indica che pensano di andare molto oltre. Nel frattempo, una stampa ampiamente allineata ai democratici e talvolta il-liberal in modo allarmente, che ha a lungo criticato Assange e che gli è stata particolarmente ostile da quando ha pubblicato informazioni dannose su Hillary Clinton durante le elezioni presidenziali del 2016, è così accecata dalla vendetta da sostenere la mossa più aggressiva del governo contro la libertà di stampa, molto più minacciosa che inibire a Jim Acosta l’accesso alla sala stampa della Casa Bianca.
Questi membri dei media e della “Resistenza” hanno bisogno di tornare coi piedi per terra. L’arresto di Assange non è un referendum su tutto ciò che quest’uomo ha fatto o su chi è lui come persona. E il fatto che Assange e WikiLeaks non abbiano sempre agito responsabilmente nella pubblicazione delle informazioni questa volta non ha molta importanza. In questo caso il problema è che, una volta estradato Assange, l’amministrazione Trump potrebbe arrivare ad ottenere uno degli obiettivi più desiderati, a lungo termine dello stato di sicurezza nazionale: limitare la pubblicazione di informazioni riservate utilizzando una figura ampiamente odiata per stabilire un precedente.
Sarà una triste ironia, a dir poco, se ci riusciranno proprio con il sostegno della stampa.
*Branko Marcetic è staff writer di JacobinMag. Vive a Toronto, in Canada. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Giuliano Santoro.
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