
La guerra a Gaza e i rischi di Putin
Mosca trae evidenti benefici a breve termine dalle tensioni in Medio Oriente, ma anche il Cremlino potrebbe pagare le conseguenze del suo antimperialismo di facciata
La settimana scorsa, il Financial Times ha citato un «alto funzionario dell’Unione europea» che ha definito l’escalation della guerra in Medio Oriente «un dono del cielo» per Vladimir Putin. Ha suggerito che il sostegno dei governi occidentali a Israele sta trasformando i paesi del Sud del mondo in alleati di Mosca. Un anonimo funzionario arabo citato nello stesso articolo del Ft afferma: «Se sostieni che il taglio dell’acqua, del cibo e dell’elettricità in Ucraina sia un crimine di guerra, allora dovresti dire la stessa cosa di Gaza».
La tragedia in Medio Oriente ha sicuramente provocato un’esplosione di entusiasmo nel Cremlino e nei media statali russi. Vedono questo conflitto come un «secondo fronte» che distoglierà l’attenzione dell’Occidente dalla guerra in Ucraina e darà alla Russia la possibilità di porvi fine alle condizioni scelte. I benefici a breve termine per Mosca sono abbastanza chiari, ma nel lungo periodo potrebbe dover affrontare sfide impreviste. Quello che oggi sembra un dono del cielo potrebbe diventare una maledizione.
Putin ha definito l’escalation del conflitto «un chiaro esempio del fallimento della politica degli Stati uniti» e ha offerto la mediazione russa per una soluzione pacifica. È un passo tradizionale per un presidente russo. Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, Putin fu il primo leader straniero a chiamare il presidente George W. Bush per esprimere le sue condoglianze e offrire assistenza. Per diversi anni gli aerei statunitensi hanno utilizzato la base aerea russa di Ulyanovsk per le loro missioni in Afghanistan. Una campagna militare di successo per Mosca in Siria nel 2015-2017 ha permesso alla Russia di superare parzialmente il suo isolamento e di riprendere il dialogo con l’Occidente, interrotto dopo l’annessione della Crimea. Oggi Putin sta cercando di ripetere nuovamente questa esperienza.
Mosca offre quasi direttamente all’Occidente una contropartita in cui scambia il suo capitale politico – la sua influenza sui leader arabi – con un accordo sull’Ucraina. Ma per fare ciò, il Cremlino deve mantenere o aumentare questa influenza. Putin sicuramente non si è sottratto alla colorita retorica su questo conflitto: paragona il blocco israeliano di Gaza all’assedio di Leningrado durante la Seconda guerra mondiale. Alle Nazioni unite, i rappresentanti russi propongono una risoluzione che chiede la creazione di uno Stato palestinese e un cessate il fuoco immediato. In risposta, la leadership di Hamas ha inviato un messaggio ufficiale di gratitudine al presidente russo. Com’era prevedibile, le relazioni della Russia con Israele si stanno attualmente raffreddando.
Eppure l’amministrazione Putin potrebbe trovarsi ostaggio della polarizzazione che sta cercando di sfruttare. Nessuno crederà alla sincerità dei suoi sforzi di mantenimento della pace. «Sono furioso quando sento il presidente russo avvertire ovunque che i civili stanno diventando vittime degli scontri militari. È semplicemente impossibile essere più cinici», ha twittato il cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Divisioni nella classe dirigente
La classe dirigente russa ha stretti legami con Israele, di cui i buoni rapporti personali di Putin con Benjamin Netanyahu sono solo la punta dell’iceberg.
Molti oligarchi e funzionari influenti hanno la cittadinanza israeliana. Per coloro che circondano il presidente russo, Israele rappresenta un modello di successo di una leadership di destra che non esita a usare la forza per proteggere «l’interesse nazionale». Ciò non è stato ostacolato nemmeno dai tradizionali legami con gli stati arabi mantenuti tramite il ministero degli Esteri.
Tali simpatie sono supportate anche dalle considerazioni «pragmatiche» del Cremlino. La base dell’accordo tacito tra Mosca e Tel Aviv era l’accordo su Siria e Ucraina. Ha permesso al governo Netanyahu di colpire gli alleati dell’Iran – Bashar al-Assad, Hezbollah e le milizie sciite – senza il rischio che la difesa aerea russa si opponesse. In cambio, Israele si è astenuto dal bombardare le truppe russe in Siria e ha coordinato le sue azioni con il comando russo, evitando anche le forniture militari all’Ucraina. Un’ulteriore importante aggiunta a questa cooperazione è l’accesso che i membri dell’élite dominante russa hanno avuto alla medicina israeliana di alta qualità.
La guerra a Gaza mina questa cooperazione. In caso di escalation del conflitto, la Russia si ritroverà automaticamente nel campo degli alleati di Hamas e dell’Iran. Le conseguenze colpiranno immediatamente quella parte della classe dirigente russa che associa la propria esistenza a Israele.
Sergei Pashkov, direttore dell’ufficio per il Medio Oriente dell’emittente statale Rossiya e corrispondente di Vesti – un programma di analisi settimanale che dà il tono alla propaganda ufficiale – è sposato con Aliya Sudakova, la presentatrice del canale israeliano di lingua russa Channel Nine. Quest’ultimo assume una posizione filo-ucraina e critica aspramente Putin. Un gruppo di israeliani sta già raccogliendo firme per una petizione che chiede che Pashkov venga privato del permesso di soggiorno ed espulso dal paese.
Il più famoso e odioso propagandista russo, Vladimir Solovyov, è noto per la sua posizione radicalmente filo-israeliana. In passato, ha pubblicamente promesso che avrebbe combattuto per Israele in caso di guerra nel paese. Ora deve trovare delle scuse: «Ho 60 anni. Ma se la Russia non stesse partecipando all’operazione militare speciale adesso, allora andrei in Israele, perché gli ebrei di tutto il mondo stanno andando lì per proteggere la loro gente dopo questa orribile tragedia che si è verificata». Nei suoi spettacoli, Solovyov cerca di combinare le simpatie per Israele alle narrazioni portanti del Cremlino. Si rallegra per il «secondo fronte» che si è aperto: «L’Ucraina è sotto shock, sarà dura per loro chiedere l’elemosina adesso». Ma questo gioco di sedersi su due sedie porta con sé delle difficoltà.
Solovyov la scorsa settimana ha dovuto licenziare il suo amico di lunga data, l’analista politico di estrema destra Yevgeny Satanovsky. In un’intervista con un giornalista israeliano, Satanovsky ha espresso la sua insoddisfazione per la posizione eccessivamente «filo-araba» del ministero degli Esteri russo e ha definito il suo portavoce ufficiale, Maria Zakharova, «feccia bevitrice» che «non sopporta gli ebrei». Solovyov ha dovuto scusarsi con i diplomatici. E Satanovsky, rimasto senza lavoro, ha continuato a criticare la leadership russa. Ad esempio, ha definito l’ex presidente Dmitry Medvedev «un piccolo stronzo debole». Tale retorica è di fatto vietata nelle condizioni attuali; molti dissidenti sono stati incarcerati per molto meno. Ma ora provengono da circoli influenti ai vertici.
L’escalation del conflitto israelo-palestinese sta minando l’unità dell’élite al potere, forse anche più della stessa avventura ucraina di Putin.
Rischi geopolitici
Con l’intensificarsi della guerra in Medio Oriente, crescono anche i rischi per la Russia. La logica dell’escalation militare sta spingendo Israele verso azioni più aggressive in Siria e forse in Iran. La prima vittima potrebbe essere Assad, amico di Mosca, e con lui la base militare russa, appesa a un filo sottile della logistica marittima che può essere facilmente bloccato.
Se l’accordo tacito con Mosca cesserà di funzionare, allora Israele potrà unirsi alle forniture occidentali di armi di precisione all’Ucraina. Anche mentre conduce la propria guerra, ha qualcosa da offrire a Kiev: sistemi missilistici anticarro a lungo raggio «Spike», droni kamikaze «Harop», missili da crociera e sistemi di difesa aerea tattici. In risposta, la Russia potrebbe vendere all’Iran gli ultimi aerei Su-35. In Israele già si sentono voci che invocano la rottura con Mosca. «La Russia sostiene i nazisti che vogliono commettere un genocidio contro di noi, e la Russia pagherà per questo. Non lo dimenticheremo, aiuteremo l’Ucraina a vincere e ci assicureremo che i russi pagheranno per quello che hanno fatto», ha scritto Amir Weitmann, membro del partito al governo Likud.
Il flirt di Mosca con le simpatie palestinesi del mondo arabo potrebbe comportare perdite sensibili anche in Occidente. L’amministrazione Putin sta trascinando la guerra in Ucraina nella speranza che la stanchezza del conflitto dia forza ai partiti di estrema destra nei paesi occidentali e che i loro successi elettorali cambino il contesto geopolitico in modo da consentire alla Russia di uscire dalla guerra alle sue condizioni.
Il Cremlino nutre una speranza particolare che Donald Trump prenda il potere negli Stati uniti dopo le elezioni del 2024. Ma se c’è spazio per un simile accordo con la destra europea e statunitense sull’Ucraina, il conflitto in Israele non può che complicare le cose. Non per niente Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e ora si definisce il suo «migliore amico e alleato».
Anche tra gli elettori repubblicani statunitensi il sostegno a Israele è molto più forte di quello all’Ucraina. Ciò è generalmente vero anche per i partiti di estrema destra in Europa. Una guerra regionale in Medio Oriente priverà il Cremlino anche degli amici in Occidente.
La paura di una Primavera Araba 2.0
Un’invasione israeliana di Gaza potrebbe destabilizzare i sistemi politici esistenti negli stati arabi. Enormi manifestazioni popolari contro la risposta lenta e indecisa dei governi ai bombardamenti israeliani stanno già scuotendo la Giordania (che ha una vasta popolazione palestinese) e l’Egitto. I governanti di questi paesi temono giustamente la rabbia popolare, poiché in queste condizioni le manifestazioni contro le azioni di Israele potrebbero facilmente trasformarsi in proteste antigovernative. Una grave crisi regionale potrebbe portare al ripetersi della Primavera Araba, mettendo in pericolo i governi autoritari che fino a quel momento sembravano irremovibili. Questa prospettiva potrebbe rappresentare una sfida seria non solo per loro, ma anche per la Russia.
Putin ha più volte criticato la Primavera Araba, che considera una «tragedia» e il frutto delle «tecnologie delle rivoluzioni colorate». Difficilmente nuove rivolte popolari nel mondo musulmano riusciranno a conquistare le sue simpatie. Nel 2011-2012, i manifestanti a Mosca hanno manifestato con lo slogan «Che sia il Cairo o Mosca, solo la lotta ci dà i diritti». Il presidente russo spera che non ritornino.
Lo spettacolo «antimperialista» a livello di retorica pubblica e diplomazia è una parte consolidata della politica del Cremlino. Ma Putin non ha nulla da offrire ai popoli del Terzo Mondo. La politica di Mosca nei paesi asiatici e africani rimane tipicamente coloniale. Creata dall’intelligence militare, la compagnia militare privata Wagner vende i suoi servizi a leader autoritari dalla Siria alla Repubblica Centrafricana e al Mali.
Nel contesto di massicci sentimenti antiamericani o antifrancesi, ciò viene spesso percepito come una prosecuzione della politica anticoloniale perseguita un tempo dall’Unione sovietica. Ecco perché i manifestanti in Mali o in Cisgiordania a volte agitano tricolori russi e ritratti di Putin. Ma le reali condizioni di lavoro dei mercenari russi non sono diverse dai metodi dei loro concorrenti europei e statunitensi. I mercenari russi ricevono una quota di petrolio, oro o profitti dalle miniere di uranio in cambio dei loro servizi. La Russia di oggi non offre un altro modello economico per i paesi del Sud del mondo.
D’altro canto, molti partiti e movimenti islamici hanno avuto esperienze di lotta contro le autorità russe nel recente passato. Non si tratta solo dell’Afghanistan e delle due guerre in Cecenia. Durante la guerra civile siriana, i gruppi islamici hanno combattuto le forze di spedizione russe. Secondo il Servizio federale di sicurezza (Fsb), fino a seimila musulmani di lingua russa hanno combattuto nelle file del Daesh (il cosiddetto Stato islamico) e di altri gruppi radicali. Erano e rimangono strettamente legati alle diaspore di emigranti dalla Cecenia e dalle regioni a maggioranza musulmana della stessa Russia, per le quali il governo di Putin rimane un grande nemico. La destabilizzazione delle dittature arabe riporterà questa minaccia all’ordine del giorno.
Nella stessa Russia vivono più di venti milioni di musulmani, senza contare circa nove milioni di lavoratori migranti provenienti dai paesi a maggioranza musulmana dell’Asia centrale. Molti di loro hanno ragioni sociali e culturali per detestare il Cremlino. Un episodio tipico è avvenuto il 22 ottobre, quando la polizia ha fatto irruzione nei fedeli della moschea nel sobborgo moscovita di Kotelniki. Successivamente, sono stati portati all’ufficio di registrazione e arruolamento militare, dove, sotto la minaccia di accuse penali, sono stati costretti a firmare un contratto con il ministero della Difesa per essere inviati in prima linea in Ucraina. Esiste una diffusa coercizione dei lavoratori migranti e delle popolazioni delle repubbliche russe povere a minoranza nazionale a partecipare alla guerra in Ucraina. Ciò provoca proteste e già porta a casi di diserzione di massa.
La guerra in Palestina crea le condizioni per la mobilitazione politica delle comunità musulmane che, come nei paesi arabi, hanno un grande potenziale di protesta. In Daghestan, il 17 ottobre, la polizia ha disperso diverse manifestazioni spontanee di solidarietà con i palestinesi. «I manifestanti sono stati dispersi, come se fossero contro la Russia e non contro Israele!» è stato scritto su un canale Telegram locale.
Speculando sui sentimenti antimperialisti e sulla rabbia popolare, i governanti di Mosca rischiano di scatenare una tempesta che non riescono a gestire.
* Alexey Sakhnin è un attivista russo, è stato uno dei leader del movimento di protesta anti-Putin dal 2011 al 2013. È membro del Consiglio internazionale progressista e dei Socialisti contro la guerra. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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