La guerra ucraina e il Sud del mondo
L'invasione russa vista dalla prospettiva planetaria di Walden Bello, analista della globalizzazione e pensatore critico
La guerra in Ucraina è una crisi geopolitica con ripercussioni globali, alcune delle più gravi avvertite nel Sud del mondo. Molti e molte in Medio Oriente e Africa devono far fronte a gravi carenze nell’approvvigionamento alimentare. L’Egitto, ad esempio, importava il 70% del suo grano dalla Russia e dall’Ucraina nel 2021 e ora sta ricevendo aiuti dagli stati vicini nel timore di una ribellione popolare per la scarsità di cibo. Lo Sri Lanka ha appena annunciato un default sui suoi debiti esteri, chiede un accordo al Fondo monetario internazionale e le proteste per la carestia continuano a crescere.
Questi sono solo gli effetti a catena più immediati. A lungo termine, le relazioni geopolitiche si riallineeranno in forma stabile. Con la Russia tagliata fuori dalla zona del dollaro dalle sanzioni occidentali, la sua dipendenza economica dalla superpotenza mondiale in ascesa, la Cina, sta crescendo. Gli Stati uniti stanno cercando di sfruttare la crisi ucraina per allargare la loro coalizione per contenere Pechino.
Pochi sono in grado di spiegare meglio le ripercussioni della guerra sul Sud del mondo del famoso studioso e attivista filippino Walden Bello. Fondatore del think tank Focus on the Global South, Bello è ormai da decenni uno dei principali critici mondiali dell’imperialismo e della globalizzazione. È stato membro del Congresso filippino fino al 2015 e attualmente si candida a vicepresidente delle Filippine alle elezioni del prossimo 9 maggio.
La guerra in Ucraina è in corso da quasi due mesi. Che te ne pare della situazione e come si evolverà? Cosa pensi in particolare degli effetti della guerra nel Sud del mondo?
L’esito sarà tragico. Sono pienamente d’accordo con l’Assemblea generale delle Nazioni unite nel condannare l’invasione di Vladimir Putin e nel chiedere una soluzione pacifica attraverso negoziati per porre fine all’invasione. Russia e Ucraina sembrano essere giunti a una situazione di stallo, motivo in più perché le trattative adesso inizino davvero seriamente. Finora, non credo che i negoziati siano stati presi sul serio dalla parte russa. È tempo di fermare l’invasione e che la Russia ritiri le sue truppe dall’Ucraina.
Penso che la maggior parte dei paesi del Sud del mondo abbia condannato l’invasione della Russia, ma che sia stata molto riluttante ad andare oltre, su questo punto, ed essere trascinata in un blocco guidato dagli Stati uniti e dalla Nato. Penso che questo sia dovuto al riconoscimento di tre cose. Una è che è stata in parte l’espansione della Nato fino ai confini della Russia a creare le condizioni per la contromossa di Putin. Questa pressione nel portare i paesi al confine con la Russia nella Nato è in corso dal 1994.
L’Occidente, e in particolare gli Stati uniti, è stato coinvolto nel cambio di regime in Ucraina, in particolare con la rivolta di Maidan nel 2014, molto legata ai gruppi fascisti. E ora questo viene utilizzato dagli Stati uniti per una vera spinta a riconquistare la sua egemonia globale, cercando di salvare la sua reputazione dopo la sconfitta e il ritiro dall’Afghanistan, che è stata anche una sconfitta della Nato. Quindi c’è stata una grande esitazione nel Sud del mondo a salire sul carro degli Stati uniti. Penso che la grande spinta del Sud del mondo vada proprio nella direzione di assicurarsi che i negoziati per la pace inizino. Ciò che sembra già negoziabile è la neutralità da parte dell’Ucraina e assicurare alla Russia che non parteciperà alle mosse della Nato contro la Russia stessa. La mia sensazione a questo punto è che la neutralità in Ucraina e in un certo numero di altri paesi al confine con la Russia possa essere la soluzione migliore.
Questo è il momento di fare pressione per la pace, perché c’è una situazione di stallo. Penso che Putin abbia bisogno di un’opportunità per salvare la faccia e che gli ucraini vogliano mostrare al mondo che hanno resistito con successo all’invasione. Quindi il primo passo è un cessate il fuoco. Poi ci saranno duri negoziati sulla regione del Donbas, dove gran parte della popolazione è di lingua russa, ma penso che ci possa essere una soluzione politica a questo problema, non è irrisolvibile. Può esserci una soluzione in cui quelle aree rimangono parte dell’Ucraina, ma allo stesso tempo vengono concessi diritti alla grande minoranza russa e vengono soddisfatte anche le preoccupazioni per la sicurezza della Russia.
I doppi standard delle risposte occidentali alla guerra sono stati denunciati anche da qualcuno della sinistra occidentale. Il fatto che la Russia sia sanzionata mentre si sostiene la guerra saudita in Yemen; che la resistenza armata ucraina venga glorificata mentre la resistenza armata palestinese all’occupazione è considerata terrorismo. Presumibilmente coloro che osservano dal Sud del mondo sono profondamente consapevoli di queste ipocrisie.
Sì, penso che questo sia uno dei motivi per cui i paesi del Sud del mondo si tengono a distanza dagli sforzi degli Stati uniti per trascinarli dalla parte di Washington. Sicuramente i doppi standard in relazione all’Ucraina rispetto alla guerra in Iraq, alla guerra civile in Siria, alla guerra lunga Palestina-Israele e alla guerra genocida saudita in Yemen, sono molto chiari nel Sud del mondo e c’è una consapevolezza del vero dato storico. Non saremo ingannati.
Questa è anche la ragione per cui non riusciranno a costruire un’alleanza anti-russa unificata. Tutti sanno che ci sono doppi standard e che gli Stati uniti stanno usando la crisi ucraina per riaffermare la loro egemonia. Penso che Washington sperasse che in qualche modo sarebbe stata in grado di ridefinire il passato e far dimenticare ciò che è hanno fatto in Medio Oriente, ma non ha funzionato.
La reazione della Cina alla guerra è stata pesantemente criticata in Occidente. È stata accusata di fornire un’ancora di salvezza economica e politica a Putin. All’inizio della guerra, si diceva persino che la Cina avrebbe visto l’invasione russa come un precedente per l’occupazione cinese di Taiwan. Cosa ne pensi?
La Cina è stata molto attenta. Non ha condannato la Russia, ma allo stesso tempo non ha compiuto mosse politiche, militari o economiche che indicherebbero che si sta muovendo sostanzialmente per schierarsi dalla parte della Russia. Penso che anche le autorità statunitensi e gli analisti economici stiano trovando molto difficile avere prove dell’intervento della Cina economicamente a favore della Russia. Se fosse stato così, l’avremmo sentito strombazzare ormai. Diplomaticamente, la Cina si è alleata con la Russia, ma è stata molto attenta a non legittimare l’invasione dell’Ucraina.
Con Taiwan c’è una grande differenza. In Ucraina, non c’è stato alcun trattato tra gli Stati uniti e l’Ucraina, o l’Ucraina e qualsiasi altro paese. Quindi quel tipo di situazione non esisteva nello stesso modo in cui esiste a Taiwan. Gli Stati uniti sono legati a Taiwan attraverso vari importanti trattati economici, politici e militari. La Cina sarebbe sciocca se tentasse di invadere Taiwan, perché ciò provocherebbe una risposta militare statunitense, e gli Stati uniti potrebbero indicare i trattati in vigore dall’inizio degli anni Cinquanta per giustificare la loro risposta.
La Cina sarebbe pazza a sacrificare i guadagni economici e diplomatici che ha ottenuto con i paesi del Sud del mondo invadendo Taiwan. Quindi penso che, a questo punto, la Cina sia soddisfatta della politica «One China», e gli Stati uniti, infatti, sostengono anche quella politica, che riconosce il governo di Pechino come l’unico governo legittimo della Cina. La Cina è soddisfatta dello status quo, ma propagandisticamente deve riaffermare continuamente che Taiwan fa parte della Cina; sarebbe una grande battuta d’arresto diplomatica per Pechino se improvvisamente rimanesse in silenzio su questo tema.
Quindi direi che un’invasione di Taiwan non è nelle cose e la Cina sarebbe pazza a provarci. Il Mar Cinese Meridionale brulica di potenza americana e lo stretto di Taiwan è un rotta delle navi americane. Stiamo parlando della marina più potente del mondo, concentrata sul contenimento della Cina nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan.
Si tratta di una forza militare che la Cina non oserebbe tentare di provocare, e in effetti non lo ha fatto. La spesa per la difesa della Cina negli ultimi anni è stata davvero piuttosto bassa. Gli Stati uniti hanno costantemente, negli ultimi anni, speso tre volte quello che spendono i cinesi. Se i cinesi fossero davvero determinati a eguagliare militarmente gli Stati uniti, avresti visto un aumento molto più significativo delle loro spese militari. Se guardi alle portaerei – davvero fondamentali se hai intenzione di ingaggiare una guerra navale – la Cina ne ha solo tre, e sono vecchi progetti dell’era sovietica. Quindi hai la tecnologia aeronautica degli anni Settanta contro l’avanzata della USS Gerald R. Ford: il divario è totale.
Alcuni commentatori hanno sostenuto che le sanzioni occidentali alla Russia stanno accelerando la de-globalizzazione e stanno portando alla rottura dell’economia mondiale in due campi, uno basato intorno a Pechino e l’altro intorno a Washington, in una nuova situazione tipo Guerra Fredda. Qual è la tua prospettiva al riguardo?
Penso che Washington punti a una situazione in cui le sanzioni finanziarie ed economiche contro la Russia danneggino davvero l’economia russa, e penso che si sia visto che queste sono un’arma a doppio taglio, perché danneggiano anche l’Occidente. L’Europa deve stare molto attenta, perché è fortemente dipendente dalle forniture energetiche russe e non può fare affidamento sulle forniture statunitensi, specialmente quando arriva l’inverno. Dubito fortemente che le linee di approvvigionamento energetico tra Russia ed Europa verranno tagliate in larga misura.
Penso che le sanzioni danneggeranno la Russia, ma probabilmente non quanto vorrebbe l’Occidente. Rispetto all’Iraq o persino al Sud Africa dell’apartheid, la Russia è un’economia molto più grande e ha così tanti importanti legami economici con il Sud del mondo. Quindi quei precedenti non sono necessariamente postivi, perché la Russia è un attore molto più grande. E potrebbe avere un effetto controproducente, perché anche la stampa occidentale sta dicendo che questo sforzo per isolare economicamente la Russia sta avendo effetti opposti, nel senso di alimentare il nazionalismo a sostegno di Putin. Naturalmente c’è stata una coraggiosa resistenza contro Putin in Russia, ma penso che molti russi siano coinvolti in questa frenesia nazionalista.
La mia sensazione è che queste sanzioni siano una specie di avvertimento, e l’avvertimento è per la Cina. Il messaggio è: «Se mai dovessi affrontare una seria lotta con l’Occidente, dovrai affrontare questo». La Cina lo sa, ed è per questo che non cadrà in alcun tipo di azione precipitosa, a questo punto, che attiverebbe quel tipo di sanzioni.
La Russia è molto più vulnerabile alle sanzioni economiche e finanziarie rispetto alla Cina, perché Pechino è molto più sofisticata visti tutti i rapporti economici che ha sviluppato con il Sud del mondo. Inoltre, l’economia statunitense è fortemente dipendente dalla capacità di produzione costruita in Cina dalle società transnazionali, che viene poi esportata negli Stati uniti. Quindi le sanzioni non funzionerebbero allo stesso modo contro la Cina come hanno fatto contro la Russia.
Penso che il grande vincitore in tutta questa situazione potrebbe essere proprio la Cina. È relativamente ben isolata dalle ricadute della guerra in Ucraina, ha i suoi problemi in termini di tentativi di prevenire la diffusione del Covid, ma sembra che, dal punto di vista politico, economico e di politica estera, ne stia uscendo molto meglio degli Stati uniti. Gli Stati uniti e l’Europa si sono esauriti nei loro sforzi per isolare Putin e penso che la Cina se la stia cavando molto meglio, non essendo uno dei principali partecipanti a questo conflitto.
La guerra ha accentuato la crisi dell’inflazione globale. Il Medio Oriente e l’Africa in particolare importano gran parte del loro grano dall’Ucraina e dalla Russia. Il Ghana ha alzato i tassi di interesse al 17% per cercare di ridurre l’inflazione. Qual è la tua analisi della situazione economica nel Sud del mondo?
Per vari motivi, l’inflazione è in aumento, sia al nord che al sud. Le pressioni inflazionistiche erano già presenti, a causa dei problemi emersi dalla pandemia. Molte delle pressioni inflazionistiche sono derivate da dislocazioni nella catena di approvvigionamento aziendale globale e penso che una delle lezioni riguardi la vulnerabilità di queste catene di approvvigionamento, non solo per la guerra, ma anche per le piaghe e le condizioni meteorologiche estreme. Mi aspetto che molti paesi si allontanino da questa dipendenza dalle catene di approvvigionamento globali e inizino a guardare agli accordi di cooperazione regionale.
L’inflazione è stata accelerata dalla guerra, soprattutto per quanto riguarda il grano e il petrolio. Qual è l’effetto del controllo monopolistico da parte dei paesi produttori di petrolio e qual è l’effetto della guerra? È un dato molto difficile da disaggregare. Perché anche quando la guerra finirà, i paesi produttori di petrolio vorranno che il prezzo rimanga molto alto. Dubito che vedrai un calo dei prezzi come all’inizio del Covid, quando in molti casi sono scesi di oltre il 50%. Penso che si stabilizzeranno a un livello più basso di adesso, ma di certo non cadranno drasticamente. E se non scendono in modo significativo, è probabile che anche i prezzi delle materie prime rimarranno alti. E tutto reso più complicato dal problema della catena di approvvigionamento globale.
Tuttavia, un fattore il cui impatto sull’inflazione è stato davvero esagerato è l’aumento della spesa sociale dei governi a causa della crisi pandemica. C’è stata una grande spesa in deficit per sostenere il tenore di vita, e ora alcuni economisti dicono che è questa la causa dell’inflazione: non credo sia vero. Penso che la causa fondamentale siano stati i problemi nelle catene di approvvigionamento globali, l’aumento del prezzo del petrolio e gli effetti a catena sui prezzi delle materie prime.
Sembra che stiamo assistendo a una rinascita nel sostegno alla Nato e per l’aumento della spesa militare in Occidente. In quanto antimperialista, ti preoccupa?
Molto è legato agli sviluppi interni. Joe Biden sta usando l’Ucraina e il suo atteggiamento nei confronti della Cina per risolvere le condizioni di guerra civile informale che ora esistono negli Stati uniti. Hai un paese molto polarizzato a livello nazionale, quindi essere in grado di proiettare un nemico esterno è uno dei modi in cui puoi neutralizzare la base di Donald Trump e dare una parvenza di cooperazione nazionale. Non credo che funzionerà davvero, ma continueranno a portare avanti quell’agenda insieme a maggiori spese militari. Quest’anno ha già superato gli 800 miliardi di dollari, ed è probabile che aumenterà ancora di più. Ciò che questo sottolinea è l’importanza del movimento contro la guerra per rivitalizzarsi davvero e che l’ala sinistra del Partito democratico statunitense prenda una posizione antimilitarista molto più forte e fermi questo nazionalismo frenetico che Biden sta cercando di creare.
In Europa c’è sicuramente un cambiamento a favore della guerra, soprattutto tra le forze liberali e conservatrici. Vediamo Boris Johnson andare a fare foto con Volodymyr Zelensky, e questa guerra è stata una grande opportunità per lui, visti i suoi veri problemi interni. Quanto durerà questo momento nazionalista non lo so, ma penso che le persone nel Regno Unito siano meno ingenue di quanto pensi Boris Johnson.
Per quanto riguarda l’Europa continentale, c’è una grande dipendenza dall’energia russa, che continuerà a rappresentare un problema. La Germania sotto una guida socialdemocratica continua a essere malleabile nei confronti di Washington, ma non credo sia la stessa cosa di quando Angela Merkel era lì, in termini di voce europea pro-Usa. In Francia non sappiamo cosa accadrà: il Rassemblement National di Marine Le Pen potrebbe vincere il secondo turno delle presidenziali e, come tutti sappiamo, l’estrema destra europea sta con Putin. Viktor Orbán in Ungheria, un’altra figura di estrema destra appena rieletta, è anche più vicino alla Russia.
Quindi sì, sembra esserci una mossa per aumentare le spese militari e verso la Nato. Ma la situazione interna in così tanti di questi paesi è così fluida che non si può dire che ciò si tradurrà in una forte alleanza tra l’Ue, il Regno Unito e gli Stati uniti. Il risultato a breve termine potrebbe essere un rafforzamento della Nato, ma, a medio-lungo termine, potremmo assistere a un indebolimento dell’alleanza occidentale.
Penso che questa sia l’unica cosa che manca alla maggior parte degli analisti quando guardano alla situazione geopolitica sia degli Stati uniti che dell’Europa; non puoi limitarti a guardare la politica estera e non portare nella tua analisi le lotte politiche interne. La mia sensazione è che questo sia il fattore che dobbiamo considerare se vogliamo vedere la direzione a lungo termine dell’Occidente in questa nuova scena internazionale.
*Walden Bello è uno studioso e attivista di fama mondiale, attualmente insegna alla Binghamton University. I suoi ultimi libri sono CounterRevolution: The Global Rise of the Far Right e Paper Dragons: China and the Next Crash. Ben Wray è un giornalista freelance che vive in Scozia e coordina il Gig Economy Project. Questo testo è comparso su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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