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La memoria viva di Peppino Impastato

Giovanni Impastato Luisa Impastato Martina Lo Cascio Marie Moïse 9 Maggio 2021

La storia tragica di Peppino è diventata una storia bellissima di esempio e stimolo per le nuove lotte sociali, grazie allo straordinario lavoro sulla memoria fatto da sua madre che oggi si rinnova nelle generazioni successive

Il 9 Maggio 1978 a Cinisi viene ucciso dalla mafia Peppino Impastato. Nato il 5 gennaio 1948, Peppino inizia il suo percorso di militanza in adolescenza all’interno delle mura domestiche, contrastando il padre, capo di un piccolo clan mafioso. Dopo essere stato cacciato di casa, inizia a formarsi come militante comunista attraversando e contribuendo a esperienze nazionali come il Psiup (Partito socialista di unità proletaria) e il manifesto. Dal 1973 aderisce a Lotta Continua di cui è anima territoriale. Nel 1978 si candida con Democrazia Proletaria alle elezioni comunali di Cinisi. Sin dal 1965 Peppino Impastato si dedica alla scrittura di denuncia e inchiesta, fondando il giornale L’idea socialista mentre nel 1976, con altre compagne e compagni, costituisce il Circolo Musica e Cultura dove si sviluppa un progetto di contro-informazione su tematiche sociali e politiche, sia territoriali che nazionali, attraverso la presa di parola diretta di precari, braccianti, pescatori, contadini, donne, disoccupati ed edili sfruttati. Su queste basi  nasce nel 1978 Radio Aut, sulla scia delle esperienze di movimento come Radio Onda Rossa e Radio Alice. La famiglia, i compagni e le compagne di Peppino da quella emittente e oltre hanno continuato a lottare per 24 anni, per affermare e ottenere la condanna di Gaetano Badalamenti, boss di Cinisi, responsabile del suo asssassinio.

Giovanni e Luisa Impastato, fratello e nipote di Peppino, dal 2005 animano Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato e insieme al gruppo di volontari e volontarie aprono ogni giorno le porte di quella casa, come Felicia, la mamma di Peppino, ha insegnato loro per rendere la memoria di questa storia uno strumento di pedagogia politica per la trasformazione dell’oggi. A 43 anni dalla sua morte siamo tornate insieme a Casa memoria per incontrare Giovanni e Luisa, portando ognuna con sé il proprio legame politico e affettivo con quel luogo.  

La storia di Peppino Impastato ha ottenuto una grande visibilità a partire dagli anni Duemila, con l’uscita del film I cento Passi. La pellicola ha permesso di far conoscere Peppino al grande pubblico su scala nazionale e internazionale. Allo stesso tempo, ha contribuito in parte anche a mitizzare la sua figura, a cristallizzarla nei tratti di un eroe, protagonista solitario di una vicenda al di fuori del comune. Molto del lavoro di Casa memoria è volto a contestualizzare la vicenda, a mostrare il suo carattere di storia collettiva e il valore ancora attuale delle  lotte di Peppino, dei suoi compagni e delle sue compagne. Giovanni, In che modo lavorate con i ragazzi che bussano alla porta di Casa Memoria? Quali sono gli elementi più attuali delle lotte di Peppino che fate risaltare? 

Giovanni: Peppino è stato e continua a essere un punto di riferimento. Il suo è un messaggio di impegno civile e politico, un messaggio educativo nel senso più vero del termine. Le sue battaglie sono di un’attualità e profondità unica. Era un militante politico, portava avanti battaglie sociali, in prima fila coi contadini contro la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Punta Raisi, facendo analisi importanti sul potere, a partire dal ruolo della Democrazia cristiana al governo. Ma sia dal punto di vista dei contenuti che dei metodi Peppino ha anticipato i tempi. Per esempio, allestiva mostre fotografiche sotto il palazzo del sindaco [documentando i traffici dietro alla devastazione del territorio], e illustrava  con insistenza le fotografie ai passanti, poi si affacciava il sindaco e Peppino si rivolgeva a lui domandandogli: «È vero o no, signor sindaco?». Se guardiamo all’attualità, quello che faceva Peppino ricorda  ciò che fa Greta Thunberg col suo cartello con cui si è dichiarata in sciopero scolastico per il clima. Da quel gesto è sorto un movimento globale di lotta al cambiamento climatico, questione che tra qualche anno ci creerà dei problemi molto seri anche più gravi del Coronavirus. Ecco, io credo che Peppino sia stato uno dei primi ecologisti in Italia. Erano in pochi a conoscere la parola stessa «ecologia». Lui invece ha capito molto bene che era necessario mettersi a lottare per la salvaguardia del territorio, e della sua bellezza. Peppino si è scontrato con la mafia proprio perché tutti gli interessi della mafia si giocavano in quell’ambito, dalla speculazione edilizia alla distruzione della Conca d’oro. Nessuno ne parlava a parte lui. E io credo che il suo sia un esempio forte in cui possano riconoscersi anche i giovani d’oggi e prenderlo come riferimento. 

Ma Peppino non è un eroe. Sappiamo bene che il popolo che ha bisogno di eroi non ha futuro. Guccini ne La locomotiva canta che «gli eroi sono tutti giovani e belli»… Ecco, Peppino è rimasto giovane, una bella figura ma gli eroi possono apparire irraggiungibili. Di fronte alle figure eroiche scatta una reazione psicologica che ci porta a pensare «io non sarò mai come lui, non sarò mai in grado…» e finisce che resto a casa e mi godo l’eroe… Allora è molto importante che nel trasmettere la storia di Peppino, non perdiamo mai di vista un lavoro di contestualizzazione del quadro storico, culturale, politico e di tutte le relazioni che hanno avuto un ruolo nella sua vicenda. 

Nell’ultimo libro che ho scritto, Mio fratello. Tutta una vita con Peppino, faccio proprio riferimento al ruolo di alcune figure sottovalutate nella sua biografia: lo zio Matteo, per esempio, un parente materno, un liberale che eppure ha avuto un ruolo importante nel trasmettere a Peppino i valori della democrazia, o anche Danilo Dolci a cui Peppino si è ispirato molto. Vere e proprie figure pedagogiche che hanno avuto un ruolo nella sua crescita e nel suo percorso. Ma occorre fare attenzione anche al contesto culturale di quel periodo e al ruolo che ha giocato sui movimenti politici e nelle lotte dello stesso Peppino. Mio fratello era senza dubbio un militante che ha costruito le sue battaglie attraverso la musica, la cultura, il radiogiornale e soprattutto attraverso quell’arma micidiale che è l’ironia. Peppino aveva capito che l’arte ha il potenziale di pratica aggregativa, è uno stimolo forte per farci riflettere. Gli artisti rispetto ai politici hanno maggiore sensibilità e riescono a percepire in anticipo le trasformazioni sociali.

Sia per Peppino che per Greta Thunberg è indubbio che ci sia una forza individuale a determinare la loro azione politica, ma entrambi hanno una forza collettiva attorno… Il loro esempio è stato determinante, ma poi migliaia di giovani hanno attraversato le piazze consapevoli che l’individuale deve diventare collettivo. In che modo Peppino faceva gruppo, spingeva l’organizzazione del gruppo?

Giovanni: Uno dei motivi per cui hanno ucciso Peppino è proprio perché stava riuscendo in tutti i modi ad aggregare, giorno dopo giorno sempre di più, fino al punto di essere riuscito a mettere in difficoltà i mafiosi. Certo erano battaglie circoscritte a un contesto specifico, mentre Greta agisce in un contesto nuovo e globalizzato. Ecco, questi movimenti devono essere il seme della nostra democrazia, devono essere alimentati, giorno dopo giorno, siamo noi ad alimentarli e dobbiamo crederci. Ora siamo preoccupati dal Coronavirus, ma occorre individuare il vero nemico in coloro che stanno distruggendo il mondo, in questo sistema capitalistico senza regole basato su un consumismo che ci porta alla distruzione totale.

Luisa, il testimone è passato da tua nonna a te, attraverso il valore della porta aperta. Il lavoro di Casa memoria è un lavoro in cui la memoria diventa materia viva, fa da stimolo alla trasformazione della società. Luisa, in che modo tua nonna aprendo la porta di Casa ti ha insegnato il valore pedagogico della memoria? Cosa significava per lei aprirsi all’incontro e alla narrazione della storia di Peppino?

Luisa: Mia nonna è stata fondamentale, Casa memoria è la sua eredità morale.  È stato difficile affermare la storia di Peppino, lei ha dato un contributo fondamentale per questo abbiamo voluto dedicare anche al lei Casa memoria, perché grazie a Felicia la storia di Peppino è stata riscattata dal punto di vista giudiziario, ed è diventata storia collettiva. Oggi sono passati 43 anni e ancora si parla di lui, un simbolo per intere generazioni, e questo lo si deve alla volontà di mia nonna di non chiudersi, come tradizione avrebbe voluto, nel lutto a piangere il figlio: lei decise di denunciare gli assassini del figlio, denunciò Gaetano Badalamenti e aprì le porte di casa, sia materialmente che simbolicamente e continuò a raccontare. La sua missione è diventata il racconto. Un po’ credo per lenire il dolore che si è portata dietro.  Felicia ha manifestato esteriormente il lutto, non si è mai tolta gli abiti neri e li hai trasformati in simbolo di rivalsa e riscatto, e ha trasformato la storia di Peppino da tragica a bellissima, perchè dalla sua morte a oggi ha un impatto positivo: quello di essere uno stimolo, un esempio. Mia nonna è stata per me il mezzo principale attraverso cui ho conosciuto Peppino, per questa sua voglia instancabile di raccontare di lui anche a me che mi vedeva quotidianamente, per vivificarne la memoria. Io sono sicura che tra tutte le soddisfazioni che è riuscita a ottenere – dalla condanna di Badalamenti alla Commissione antimafia sul depistaggio – la cosa che più la riempiva di soddisfazione era trovarsi nella sua casa con la sedia di legno e raccontare la storia di Peppino. E quando leggeva negli occhi dei ragazzi la condivisione di questa storia per lei era una conferma che si potesse farlo vivere ancora, riscattando la sua storia: dal tentativo di farlo passare per suicida e terrorista fino a renderlo un esempio per le successive generazioni. 

Casa memoria va avanti a fare quello che ha iniziato lei. Pensiamo che dalla lotta di Peppino a quella di nonna Felicia si possa trarre valore educativo e stimolare l’impegno contro la mafia anche verso l’ambientalismo, l’antifascismo, l’antirazzismo, le lotte sociali, facendo diventare anche la memoria un veicolo di trasformazione sociale, in questo senso una memoria viva. Come dice Umberto Santino la memoria è «coscienza critica e pratica di mutamento» e quello che fa Casa memoria è costruire a partire dalla memoria una cultura antimafia.

Sul taccuino di Peppino esposto al piano di sopra di Casa memoria, c’è una pagina bellissima in cui racconta che cosa lo ha spinto a fare politica. La pagina di Peppino sembra uscita da un gruppo di autocoscienza, in testa ci sono le ragioni emotive e il personale che diventa politico. Nella presa di distanza dal padre c’è il racconto di un rifiuto del ruolo maschile patriarcale che con molta pressione il padre aveva già previsto per il figlio. E il rifiuto, scrive Peppino, ebbe conseguenze molto dure sul piano della relazione affettiva. In queste righe sembra lasciare testimonianza di come il cambiamento radicale non possa prescindere dalle relazioni più intime e abbia bisogno di approdare a un contesto di relazioni collettive basate su altre premesse, un po’ come se la dimensione politica collettiva fosse la precondizione per una rottura di questa intensità, o forse l’unico modo per sopportarne l’impatto.

Luisa: Sono convinta che alla base del suo impegno e della sua decisione di contrapporsi alla mafia ci sia il rapporto controverso con il padre. È un dolore che Peppino si porta dentro per il resto della sua vita. La rottura con la famiglia segna il rifiuto di un sistema patriarcale e la politica diventa anche una sorta di percorso senza fine, di una tensione di ricerca della figura paterna. Peppino la ritrova di fatto in altre figure come zio Matteo, Stefano Venuti, ma possiamo rintracciarla anche nel rapporto conflittuale con il Partito comunista.

La scelta di Peppino ha avuto un impatto anche su sua madre Felicia che ha messo profondamente in discussione la sua posizione di donna sottomessa e subalterna al marito. Ma a ben vedere anche lei aveva già dimostrato la sua opposizione a quel sistema e a quella cultura in più occasioni anche prima della morte di Peppino, e ancor di più in seguito. Felicia ha mostrato la sua voglia di ribellione a quel sistema maschilista e patriarcale per esempio per aver scelto di sposarsi per amore, cosa che negli anni Quaranta era quasi rivoluzionario, ma anche per aver imposto al marito di non far più entrare in casa i suoi amici mafiosi, e soprattutto per non aver trasmesso alla sua prole i valori della cultura familiare mafiosa. Mia nonna non lo fece né con mio zio né con mio padre, perché nei suoi limiti lei aveva in sé il seme della ribellione. 

Le donne a Casa memoria sono i cardini di quelle porte sempre aperte. Il 9 maggio 2002, durante il forum sociale antimafia a Cinisi, un momento molto significativo è stato l’incontro tra Haidi Giuliani e Felicia. Carlo e Peppino sono stati per noi due figure in cui ci siamo riconosciuti e le loro storie sono state trasmesse di generazione in generazione da donne combattenti, prima Felicia, poi tua mamma Felicetta e adesso tu.

Luisa: Casa memoria anche nel suo direttivo è formato da donne ed è una cosa che amo molto perché da continuità al percorso iniziato da mia nonna. Anche mia madre è stata un esempio incredibile e importante per lei, un sostegno fino alla fine, la figlia che non ha mai avuto e che ha permesso anche a mio padre di portare avanti la memoria di Peppino. Mia nonna, come ci si sarebbe aspettati ai tempi, avrebbe potuto stare a casa sua a proteggere l’altro figlio, e invece, quando le fecero capire che Peppino sarebbe passato per suicida o terrorista, non ha accettato questa versione.

Oggi, per me e per noi, è una grandissima responsabilità sentirsi eredi di tutti questi anni di lotta. Responsabilità che io definisco bellissima eppure grande, ma credo che questo passaggio di testimone alle nuove generazioni sia assolutamente necessario per non vanificare quanto si è ottenuto in questi anni. La cosa che mi piace della storia di Peppino è quanti giovani oggi guardino a lui come un punto di riferimento nonostante che il suo vissuto appartenga a un altro contesto storico. È diventato naturalmente un patrimonio delle generazioni successive. Sì, naturalmente. 

*Martina Lo Cascio, sociologa, si occupa di supermarket revolution, agricolture, cibo, lavoro. È attivista di FuoriMercato. Marie Moïse, attivista, è dottoranda in filosofia politica all’Università di Padova e Tolosa II, scrive di razzismo, femminismo e relazioni di cura. È co-autrice di Future. Il domani narrato dalle voci di oggi (Effequ 2019) e co-traduttrice di Donne, razza e classe di Angela Davis (Alegre, 2018).

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«Ufo 78» dei Wu Ming racconta gli anni Settanta dalla loro fine, dai giorni spartiacque del sequestro Moro, e dalla suggestione di massa per gli avvistamenti alieni
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27 Gen

Centinaia di migliaia di persone ostacolarono il progetto di sterminio degli ebrei. Ma una coltre di oblio avvolge ancora molte delle loro storie.
Come quella di Lorenzo Perrone, il muratore che salvò Primo Levi.

Ne scrivo su @JacobinItalia
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27 Gen

Tra gli anni Trenta e Quaranta centinaia di migliaia di persone ostacolarono lo sterminio degli ebrei. Nonostante le incalcolabili ricerche di questi decenni, una coltre di oblio li avvolge. Come quella di Lorenzo Perrone, che salvò la vita a Primo Levi
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26 Gen

Caso #Cospito e #41bis Libertà di cura, libertà di stampa: media indipendenti e speciale radiofonico. Venerdì 27 gennaio, ore 9.30-10.30, su Radio Onda d'Urto, Radio Popolare, Radio Città Fujiko e Radio Città Aperta, Jacobin Italia e Contropiano -> https://www.radiondadurto.org/2023/01/26/liberta-di-stampa-cospito-e-41-bis-venerdi-27-gennaio-i-media-indipendenti-insieme-per-uno-speciale-radiofonico/

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