
La Patagonia brucia nel silenzio del governo Milei
Gli spaventosi incendi che hanno colpito l’Argentina dipendono anche dai tagli sociali del governo, ad esempio sui pompieri, e da una pervasiva politica liberista e di privatizzazioni forzate
Per tutti i viaggiatori amanti del Sud America affascinati dai lunghi trekking andini, dalle vicende dei popoli nativi, dalla fauna marina e dall’atmosfera del Finis terræ, sarà doloroso constatare che ancora una volta, come ogni estate, la Patagonia argentina brucia. Tra concause naturali, interessi contrastanti, erosioni dei dispositivi legislativi a protezione dell’ambiente e un generale taglio alla spesa pubblica, il futuro di queste terre è sempre più in bilico.
Stiamo parlando dell’ottavo paese più grande al mondo, il secondo dell’America latina e nei circa 4.400 km in cui si distende in latitudine dobbiamo immaginare un susseguirsi di ambienti naturali del tutto diversi tra loro. Da nord a sud si succedono pianure ricche di foreste pluviali subtropicali, la pampa a nord-ovest, una distesa di vaste pianure rese fertili dalle piogge portate dai venti dell’Atlanticoj, la parte occidentale delle Ande con le sue vigne e i boschi della regione dei laghi, e infine, la Patagonia, con le sue infinite steppe, pascoli e aree glaciali.
A partire dalla fine di gennaio (in piena estate nell’emisfero australe) una serie di gravi incendi ha già distrutto una superficie di 37 mila ettari di boschi nelle province di Río Negro, Neuquén e Chubut oltre ai 250 mila ettari bruciati nel nord del paese, nella provincia di Corrientes. Si tratta rispettivamente di un’area pari a poco meno di due volte la superficie del comune di Milano, e poco più di due volte la superficie di Roma. E la situazione si aggrava di giorno in giorno con nuovi incendi sulle Ande, sia sul versante cileno che su quello argentino.
Alcuni fattori ambientali, come l’assenza di consistenti piogge negli ultimi mesi estivi, un’umidità inferiore al 20% e la presenza di fortissimi venti che raggiungono gli 80 km/h sulle pendici delle montagne, rendono molto elevato il rischio di incendi in questo periodo dell’anno, come documenta il Servicio Meteorologico Nacional che nel suo sito aggiorna costantemente mappe con indici di rischio dei vari territori.
I numerosi incendi degli anni passati hanno portato a una rapida sostituzione dei boschi nativi, costituiti da specie autoctone a lenta crescita come le latifoglie sempreverdi della specie Nothofagus (coihue, lenga e ñire), l’Araucaria araucana o la Caña colihue (Chusquea culeou), con boschi di pini alloctoni che a queste latitudini crescono più rapidamente. Questi, purtroppo, hanno la caratteristica di essere più secchi e di fungere da propagatori delle fiamme, sia a causa delle caratteristiche del legno e dei suoi frutti, sia per un fenomeno noto come fuoco ipogeo: l’incendio si propaga tramite le radici, cosa che rende molto difficile controllare le fiamme, che possono apparire anche lontano dal sito iniziale. Gli incendi stanno interessando aree protette e parchi nazionali come quello di Lanin e la zona di Nahuel Huapi: per il coordinatore della Campaña de Bosques di Greenpeace Argentina, Hernán Giardini, potrebbe trattarsi di uno dei peggiori incendi dagli anni Novanta e una grave minaccia per la biodiversità. Ecocidio, è il termine con cui gli abitanti si riferiscono a quello che sta accadendo. Oltre 900 famiglie sono state totalmente o parzialmente evacuate dalle zone colpite, con due vittime al momento, un contadino di 83 anni, Àngel Reyes, e Cindia Alejandra Mendoza, 30 anni, giovanissima preside di una scuola rurale, che ha cercato di contenere le fiamme che minacciavano la casa del padre.
La motosega di Milei si abbatte sui vigili del fuoco
Contenere la rapidità di propagazione degli incendi sembra fatidicamente impossibile dall’esterno, ma la popolazione dei luoghi racconta una storia diversa. Allo stagionale appuntamento con le fiamme, quest’anno il paese si è presentato privo dei mezzi necessari – umani e materiali – per far fronte alla prevedibile catastrofe. I pompieri, indispensabili, hanno a disposizione materiale insufficiente e di pessima qualità, hanno contratti precari e stipendi da fame, dichiara Alhue Gavuzzo, delegata di Ate (Asociación Trabajadores del Estado) di Conicet Río Negro. La carenza di personale nell’ultimo anno si è fatta decisamente più pesante in seguito al licenziamento improvviso di 156 lavoratori del settore, tra pompieri e personale tecnico amministrativo, nel corso del 2024; pertanto, come afferma la delegata dell’Ate del parco nazionale di Lanin in provincia di Neuquén, Virginia Gallardo, «proteggiamo 18 milioni di ettari di territorio, e per questo ammontare, siamo poco più di 2.000 persone, uno ogni 12.436 ettari». Inoltre, denuncia Gallardo, mentre fino al 2024 i lavoratori del settore hanno avuto contratti annuali, a partire dal 2025 i contratti dei pompieri sono trimestrali e drammaticamente mal pagati. Da ottobre 2024, infatti, il salario stabilito per i pompieri è di 600.000 pesos argentini mensili, che possono arrivare a 900.000 nelle province del sud patagonico. Si tratta rispettivamente di 540 e 810 euro mensili in un paese in cui i prezzi sono aumentati del 190% nell’ultimo anno e sono sostanzialmente paragonabili a quelli europei. I lavoratori del settore sono di fatto costretti ad avere un doppio lavoro, come ha dichiarato al giornale Pagina12 Andrea Torres, pompiere di El Chaltén, licenziato dopo 13 anni di lavoro presso il Parco Nazionale.
I tagli imposti alla spesa sociale, oltre che sulla dotazione organica, si ripercuotono anche sul materiale a disposizione.Secondo Alejandro Beletzky, ecologista e guardiaparco da 20 anni, gli aerei a disposizione sono quelli da irrigazione, che non possono trasportare più di 2.000 litri di acqua e che non possono essere utilizzati per spegnere le fiamme, ma solo per contenerle. Quelli che servirebbero sono i Bombardier 415 o Beriev Be 200, che però non sono disponibili. Inoltre, il fumo rende spesso impossibile agli elicotteri sorvolare le zone colpite.
Mentre il supporto delle autorità tarda ad attivarsi, i civili organizzano squadre di pompieri volontari. La popolazione è lasciata sola a far fronte alla situazione, si sente abbandonata e reclama risposte dalle autorità federali, che hanno promesso tardive misure economiche per la ricostruzione delle abitazioni danneggiate, benché ancora non siano in grado di spegnere definitivamente le fiamme.
Tra dichiarazioni schizofreniche e caccia alle streghe
Le reazioni delle autorità locali hanno suscitato grande sdegno. Mentre l’intendente locale Bruno Pogliano rilasciava una dichiarazione quasi terrorizzata al sito Bariloche 2000 – «Qua sta bruciando tutto, siamo nel caos più totale. Sono distrutto» – il presidente della Camera del turismo di El Bolsón, Diego Cordero, assicurava al quotidiano Río Negro che si stava impegnando per offrire ai turisti opzioni aggiornate per un piacevole soggiorno. Tuttavia, nell’ultima settimana, il bucolico panorama tipico di El Bolsón ha lasciato spazio all’ululare delle sirene, al fumo denso e al forte odore di legno bruciato. Il segretario del ministero di Turismo, Ambiente e Sport, Daniel Scioli, sui social ha pubblicato un video in cui gioca a padel e commenta che lo sport è «la miglior soluzione contro lo stress, oltre che aiutare a vedere la vita con fede, speranza e ottimismo». Ma forse il podio spetta al governatore Alberto Weretineck, che a commento di un video dichiarava trionfalmente di aver fermato il colpevole incendiario. Il video però è molto triste e mostra, nel suo appartamento, un uomo balbettante che dice di essere stato costretto ad appiccare l’incendio da Nahuelpan, che gli puntava contro un coltello. Nauhelpan era il capo dei guerrieri del leader mapuche Sayhueque, ed è morto nell’Ottocento.
Al di là di queste dissociate esternazioni, l’attività della politica locale si è concentrata sulla forsennata ricerca di un colpevole, piuttosto che sulla ricerca di soluzioni alla crisi. L’intendente, Pogliano, e il governatore, Weretilneck, hanno condotto una forte campagna mediatica sui social per creare la narrazione di un nemico pubblico, interno, il cui obiettivo sarebbe quello di distruggere lo stile di vita del rionegrino per bene. Pogliano, sostenendo la tesi dell’attacco terroristico, è arrivato addirittura a chiedere la militarizzazione dei territori. In questo clima di caccia alle streghe sono state fermate più di dieci persone negli scorsi giorni, rilasciate successivamente per assenza di prove a loro carico. Si tratta di volontari accorsi sui luoghi dell’incendio, in funzione di pompieri o nella logistica di supporto, in una dinamica tristemente comune, di autorganizzazione delle reti sociali del territorio in assenza di una risposta istituzionale. A completare il quadro, come riportano diversi giornali locali, una manifestazione spontanea riunitasi di fronte al commissariato di El Bolson, in risposta agli arresti, è stata dispersa dall’arrivo di uomini a cavallo, armati di bastoni, fruste e coltelli, sotto lo sguardo impassibile della polizia. Il comandante di questa spedizione punitiva, tale Carlo Hugo Araneda, sembra avere relazioni con Joe Lewis, uno dei maggiori portatori d’interessi nel mercato fondiario in Patagonia, delineando, se così fosse, una possibile ingerenza dei grandi latifondisti nelle modalità di gestione dell’emergenza.
Un’antica storia di lotte: l’egemonia straniera nel paese
La situazione è talmente grottesca da apparire incomprensibile senza qualche spiegazione. Per ragioni storiche, enormi territori dell’Argentina sono di proprietà straniera. Principalmente vengono usati per la coltivazione intensiva a nord, le terre rare (litio) nella zona delle Salinas Grandas, l’allevamento del bestiame e la produzione tessile, l’estrazione mineraria e petrolifera, oltre che a scopi turistici. Questo oligopolio si scontra regolarmente sia con la popolazione residente che con le richieste delle popolazioni native, prevalentemente Mapuche, che rivendicano non solo la proprietà di alcune delle terre in questione, ma anche la possibilità di difendere e mantenere una cultura che con la terra ha un rapporto particolare.
Molte delle azioni di rivendicazione dei popoli nativi vengono mistificate e spesso i tentativi di riappropriazione delle terre vengono additati come atti terroristici. Si può avere un’idea dei rapporti di forza nel paese guardando alla vicenda della Ley de la Tierras, promulgata nel 2011. Pur impedendo ai proprietari terrieri stranieri di impossessarsi di più di 1.000 ettari di suolo argentino, la legge, senza alcun valore retroattivo, non ha alterato i rapporti di forza. I 970.000 ettari di proprietà di Benetton (poco più delle Marche in Italia), i 152.000 di Tompkins o i 18.000 di Lewis (Norberto Baruch, Tiempo Argentino, 2006) e la conseguente preponderanza del potere economico di questi soggetti, danno le dimensioni geografiche ed economiche del problema.
Un vero attacco istituzionale alle politiche di protezione del territorio argentino preda degli incendi, è il progressivo processo di riforma della Ley de Protección de Bosques Nativos promulgata nel 2007. Questa legge mirava a preservare le foreste native e a regolamentare l’uso del suolo per prevenire la deforestazione, tramite l’adozione di specifiche fasce di protezione. Tuttavia, a partire dal 2021, sono stati apportati cambiamenti significativi e controversi che hanno portato a una riduzione della sua efficacia. In particolare se prima, a seguito di un incendio, le terre erano protette per 25 anni da vendita e da destinazione a scopi commerciali o produttivi, ora la normativa è stata estremamente semplificata, al punto, sostengono le associazioni ambientaliste da renderla vuota di contenuto e mettere seriamente a rischio la protezione delle foreste e degli ecosistemi colpiti dalle fiamme.
In questa situazione di delicati equilibri di potere, l’accelerazione ultraliberista impressa dal governo attuale, la rincorsa alle privatizzazioni e la negazione dei seppur minimi diritti garantiti finora alle popolazioni native rischia di far precipitare l’Argentina in una gigantesca catastrofe sociale e ambientale, le cui conseguenze, a parte un generico impoverimento complessivo, sono difficili da stimare.
Eppure, come ha mostrato la gigantesca manifestazione del 1° febbraio a Buenos Aires, l’opposizione contro queste politiche è tutt’altro che irrilevante. Domenica 9 febbraio, a Bariloche, i gruppi Lgbtq+ del territorio ancestrale mapuche, Rete della Diversità di Furilofche, hanno organizzato un festival di finanziamento per le popolazioni locali vittime dell’incendio, un’ulteriore dimostrazione della rapida ed efficace risposta della rete di solidarietà delle comunità residenti. Di fronte all’erosione dei mezzi a protezione dell’ecosistema argentino, si assiste nel paese a molteplici fenomeni di opposizione sia da parte di associazioni già strutturate sul territorio che da spontanee aggregazione di cittadini. Una moltitudine si muove sotto il motto: ante al vaciamiento y la violencia, Orgullo y Resistencia!
*Lisa Collodoro Dottoressa in Medicina Interna, ha studiato Filosofia all’Università di Pisa. Nicola Checcoli, laureato in Lettere Moderne e studente di Storia Contemporanea all’Università di Pisa, collabora con il collettivo OSTinata
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