La politica è Tola Tola
Il dibattito, a tratti paradossale, sviluppatosi attorno al film di Checco Zalone è la misura di quanto lo scenario politico italiano sia inconsistente e lontano dalla realtà
Da almeno un paio di decenni era lecito sperare che un film tornasse al centro del dibattito pubblico, ridando forza politica all’arte del cinema, messa alla prova dai talk show, dalle serie tv, dai social network, ecc. E che il dibattito si concentri su un film di un comico nazional-popolare sarebbe ancora più interessante se fosse il segnale di un mondo politico in grado di uscire dall’autoreferenzialità e confrontarsi con la cultura pop.
Tolo Tolo, film di Checco Zalone/Luca Medici, sicuramente ha avuto il coraggio di infilarsi nel tema al centro degli scontri politici degli ultimi anni. Ed è senza dubbio la pellicola politicamente più discussa da oltre vent’anni. La discussione che ne è scaturita però meriterebbe di essere indagata più del contenuto stesso del film. Perché è stata a tratti surreale, con giravolte nei giudizi degli esponenti politici degne dei più clamorosi ribaltoni di governo nonché con spaccature dentro ai movimenti antirazzisti che hanno riecheggiato le asprezze delle più drammatiche scissioni a sinistra.
Il giorno dell’uscita di Tolo Tolo Checco Zalone dichiarava: «So come reagirete voi giornalisti. Tentando di incasellarmi, di tirarmi da una parte. Be’, penso che sia impossibile. È un film che non può essere definito né di destra né di sinistra. È un film sull’umanità». Eppure il film ha prodotto prese di posizione di politici di ogni schieramento, dibattiti nei talk show, discussioni infuocate sui social network, liti nei bar, editoriali di quotidiani e riviste grandi e piccine. La discussione è andata talmente oltre che l’Istituto Noto ha deciso di fare un sondaggio per rilevare i consensi elettorali che prenderebbe Tolto Tolo se il film desse vita a un partito politico (spoiler: prenderebbe il 10%).
All’uscita della canzone-spot di lancio del film – che molti hanno considerato un trailer mentre con la storia del film non c’entrava nulla – molte associazioni umanitarie e antirazziste, di movimento o istituzionali, hanno accusato duramente Checco Zalone di giustificare gli atteggiamenti razzisti e riproporre i luoghi comuni sul fenomeno migratorio. A questi sono seguiti tweet e stroncature del film non ancora uscito di vari esponenti politici del Partito democratico e di formazioni e opinionisti di sinistra. Alla velocità della luce il comico barese è divenuto un’icona della destra, con Matteo Salvini che lo ha proposto niente di meno che senatore a vita, altro che Liliana Segre: «È sotto accusa Checco Zalone, perché è razzista, perché è politicamente scorretto. Ma viva Checco Zalone, lo voglio senatore a vita, non qualche reperto… […] la sinistra ce l’ha con lui perché non è abbastanza radical chic». Giorgia Meloni, dopo esser stata ministro di un Governo con a capo Silvio Berlusconi – famoso per aver estromesso dalla Rai Daniele Luttazzi sostenendo che «spacciava per satira l’aggressione» –, è diventata a sorpresa una fervente sostenitrice della libertà assoluta della satira: «Se diventa politicamente corretta anche la satira allora sparisce. Solo la sinistra può pretendere di controllare la satira di Checco Zalone».
Ma all’uscita del film vero e proprio arriva il ribaltone. È Ignazio La Russa a dare la nuova linea su Il Giornale definendo il film «una noia infinita con solo un paio di battute carine, al massimo da sorriso, quando Zalone si ricordava di essere un comico e non una specie di cugino della Boldrini». E la stessa etichetta di «radical chic» rivolta ai critici di sinistra del comico barese viene ora rinfacciata allo stesso Checco Zalone, reo di aver confezionato un film in cui «pur di ricercare un giudizio positivo della critica radical chic e di sinistra, rinuncia al meglio della sua proverbiale verve comica per rifugiarsi in un noioso filmetto di spicciola propaganda. Per questo insisto a dire che per certi film dovrebbe valere il… soddisfatti o rimborsati». Tutto «made in La Russa» l’appunto finale che l’ex missino aggiunge indignato contro Checco Zalone che travisa «il messaggio di Faccetta nera che semmai segnò in positivo la diversità del colonialismo italiano rispetto a quello degli altri paesi europei». Italiani brava gente. Sempre. Dopo La Russa ecco il tweet del segretario dei neofascisti di CasaPound Simone Di Stefano che se la prende con la scena finale a mo’ di cartone animato dove il comico barese mostra ai bambini un’ingiustizia sociale inspiegabile, quella della cicogna che sceglie di portare i bambini nei paesi ricchi o in quelli poveri. «La bugia stupida della cicogna che ci fa nascere per caso in vari posti del mondo – twitta disorientato Di Stefano mentre cerca di darsi una spiegazione – Ognuno di noi invece è nato in un determinato luogo e appartiene ad un determinato popolo, per infinite scelte precise fatte dai suoi genitori, dai suoi nonni e da tutti i suoi avi». Insomma, la battuta «non è colpa mia se siete nati in Africa» non riesce proprio a capirla.
Il ribaltone arriva anche a sinistra, con esponenti politici e personalità della cultura – da l’ex premier Enrico Letta alla scrittrice Michela Murgia per intenderci – che ora riconoscono il coraggio di Checco Zalone e ne sottolineano la capacità di cambiare il punto di vista sull’immigrazione.
Qualcuno sostiene che, anche nelle loro giravolte, per una volta i politici di ogni schieramento siano stati vittime di una sapiente strategia di marketing. Quello di Checco Zalone non sarebbe altro che un uso cinematografico delle leggi del «real time marketing», con una logica di fare cinema del tutto simile a quella con cui i social media manager delle aziende più all’avanguardia quotidianamente cavalcano l’onda dell’attualità – e dei conseguenti dibattiti sui social network – per far circolare e vendere un prodotto. Con una capacità straordinaria di saper sfruttare l’epoca del «pensiero confermativo», dando l’idea a ciascuno di veder confermate le proprie opinioni di partenza mentre ride durante un suo film, scatenando così discussioni e diatribe tra opposte fazioni entrambe con qualche ragione (più o meno solida) a cui appigliarsi. Anche se stavolta, a guardar bene, a destra ci sono rimasti proprio male.
Sicuramente in questo dibattito la politica ha mostrato soprattutto la sua inconsistenza. Tanto da aver lasciato in un baleno persino il 10% dei consensi elettorali a un film!
Matteo Salvini e soci hanno avuto eccessiva fretta di salire sul «carro del campione di incassi» per poi scoprire che il film accusava i loro elettori di avere la «candida» (ossia un’infezione di «fascistite» che viene fuori con lo stress) – una figura barbina che ha ricordato i bei tempi estivi del Papeete; la sinistra moderata ha mostrato tanta voglia di parlare della rappresentazione dell’immigrazione – buona o cattiva che fosse – quanto poca ne sta dimostrando di fare politiche concrete al governo per intervenire realmente sui diritti dei migranti, a partire dalla cancellazione almeno dei decreti Salvini, e poi delle leggi Bossi-Fini e Turco-Napolitano; buona parte delle sinistre radicali e militanti hanno avuto un iniziale smarrimento nell’accorgersi che un film e un comico nazional-popolare che utilizza per far ridere anche luoghi comuni di vario tipo potrebbe essere utile a incrinare la narrazione ormai strabordante del «prima gli italiani».
Il problema è che a essere Tola Tola è la politica. Mentre Checco Zalone parla a milioni di persone, con fan affezionati e fedeli che hanno deciso anche di passare la mezzanotte del primo gennaio 2020 al cinema, la politica si ritrova senza radicamento sociale, con consensi elettorali sempre più fluidi e instabili, un linguaggio in alcuni casi incapace di andare oltre la nicchia degli addetti ai lavori o della propria «bolla facebook» in altri privo di un reale punto di vista sulla realtà.
Ma la lezione del comico barese potrebbe essere utile anche a chi prova a gestire la politica con le regole del «real time marketing». Conoscete qualche leader politico che riuscirebbe a stare lontano dalla ribalta per quattro anni come ha fatto Checco Zalone dal suo ultimo film? A non sgomitare per farsi vedere e invitare ogni settimana in qualche talk show per poi riapparire al momento opportuno senza logorare chi lo ascolta?
Facciamo così. Cari Salvini, Renzi, Di Maio e Zingaretti, imparate da Checco Zalone e sparite almeno per quattro anni. Nel frattempo noi proviamo a non accontentarci di Tolo Tolo, a concretizzare proposte e pratiche politiche e sociali che rispondano ai bisogni prodotti dalla crescente diseguaglianza, e ad avere un linguaggio in grado di arrivare agli stessi settori sociali che in questi giorni riempiono le sale dei cinema.
*Giulio Calella è cofondatore e direttore generale di Edizioni Alegre.
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