
La scommessa e il fallimento
Ripercorrendo le storie delle sconfitte dei rivoluzionari, Daniel Bensaïd ha tracciato una road map per il presente utile alle lotte dei movimenti
Daniel Bensaïd una volta osservò che l’era del «maestro pensatore» nel marxismo europeo, rappresentata da figure come Jean-Paul Sartre o Georg Lukács, era passata: «E questa cosa è piuttosto buona, un segno della democratizzazione della vita intellettuale e del dibattito teorico». Eppure lo stesso Bensaïd si distingue chiaramente come uno dei più importanti pensatori marxisti della generazione passata.
Prima della sua morte nel 2010, Bensaïd ha pubblicato una straordinaria serie di libri e saggi che esplorano le principali questioni politiche e teoriche che il marxismo si trova oggi davanti. Lo fece in un contesto intellettuale francese in cui l’aspra ostilità alle idee marxiste era diventata la norma, spesso espressa da veterani del 1968 che, a differenza di Bensaïd, avevano rinnegato le loro posizioni precedenti.
Alcuni dei lavori di Bensaïd sono stati tradotti in inglese, in particolare Marx l’intempestivo (in italiano Alegre, 2007) e il suo memoir, Una Lenta Impazienza (in italiano Alegre, 2012). Tuttavia, la maggior parte dei suoi scritti rimane inaccessibile a coloro che non sanno leggere il francese. Questo saggio offre una breve panoramica dei temi principali articolati da Bensaïd nel tentativo di rinnovare la teoria marxista in modo che potesse elaborare le sconfitte e le delusioni del secolo scorso e fornirci una road map intellettuale per il presente.
Una vita politica
Nato nel 1946, Bensaïd ha trascorso i suoi anni formativi nel caffè di sua madre, Le Bar des Amis, a Tolosa, appena a nord di Barcellona, passando per i Pirenei. Il caffè era frequentato da veterani della guerra civile spagnola, comunisti francesi, operai e antifascisti italiani. Era un luogo di incontro per esponenti radicali della classe operaia di diversi luoghi e tradizioni.
A Le Bar des Amis, Bensaïd ha imparato la cultura della conversazione tra i militanti, ma anche le posizioni politiche assunte da sua madre, come lo sciopero quando il governo di Francisco Franco assassinò il leader comunista spagnolo Julián Grimau. In Una lenta impazienza ha messo a confronto la sua prospettiva sulla classe operaia con quella degli intellettuali francesi provenienti da contesti sociali d’élite che hanno iniziato a far politica idealizzando la classe operaia da lontano prima di rinunciare alle loro convinzioni di sinistra quando i lavoratori e le lavoratrici non potevano essere all’altezza delle loro irrealistiche aspettative. Bensaïd ha descritto la sua relazione nella vita reale con la classe operaia nel modo seguente:
I miei anni di apprendistato al bar sono serviti a vaccinarmi contro certe mitologie fiorite nel 1968. Non mi riconoscevo nel culto religioso del proletario rosso, nelle genuflessioni dei fraticelli maoisti e nelle salmodie di Mao Zedong (peraltro, non più che nella vita edificante di san Maurice Thorez o di san Giacomo Duclos). Il popolo della mia infanzia non era immaginario ma in carne e ossa. Era capace sia del meglio che del peggio, della dignità più nobile come del servilismo più abbietto. Pierrot, il tiratore scelto partigiano, era talmente succube del suo datore di lavoro da guidare gratis, la domenica, il camioncino che ne trasportava i cavalli sul campo da corsa! Gli stessi individui, secondo le circostanze, erano capaci del più sorprendente coraggio o della più desolante codardia. Non erano eroi, ma piuttosto personaggi tragicomici pieni di rughe e contraddizioni, ingenuità e inganni. Ma erano la mia gente. Mi ero schierato dalla loro parte.
Durante la giovinezza di Bensaïd, la Francia era impegnata in un brutale attacco alla lotta algerina per l’indipendenza. Bensaïd istituì un gruppo della Jeunesse Communiste nel suo liceo nel febbraio 1962, il giorno dopo che la polizia parigina aveva picchiato e soffocato a morte nove comunisti alla stazione della metropolitana Charonne. La polizia aveva inflitto violenze durante una manifestazione contro la campagna di attentati terroristici orchestrata dai teppisti fascisti dell’Organizzazione armée secrète (Oas).
L’appartenenza di Bensaïd al Partito comunista francese (Pcf) durò solo fino al 1965. Fu espulso insieme a molti altri studenti e fondò un piccolo gruppo chiamato Jeunesse communiste révolutionnaire (Jcr), insieme a personaggi come Henri Weber e Alain Krivine. La Jcr ha svolto un ruolo fondamentale negli eventi del maggio 1968 e nelle successive traiettorie della sinistra radicale francese.
Il maggio ’68 ebbe un impatto elettrizzante in Francia e in tutto il mondo. La convergenza di studenti e lavoratori paralizzò il paese nel più grande sciopero generale della storia francese. Bensaïd si fece le ossa in questi eventi, entrando in clandestinità con Weber per sfuggire all’arresto e soggiornando nell’appartamento della scrittrice Marguerite Duras. Per coincidenza, Bensaïd stava lavorando a una dissertazione sulla nozione di crisi rivoluzionaria di Lenin sotto la supervisione di Henri Lefebvre, il grande filosofo marxista degli anni tra le due guerre.
Tre percorsi
Bensaïd e la Jcr fecero di tutto per costruire ill movimento studentesco e cercarono di stringere legami con gli esponenti radicali della classe operaia. Entrarono negli anni Settanta con la sensazione che i tempi stessero cambiando e che la rivoluzione fosse tornata all’ordine del giorno. Nel 1974, lanciarono la Ligue communiste révolutionnaire (Lcr) dopo che le autorità francesi avevano bandito l’organizzazione precedente. La Lcr divenne una delle principali forze della sinistra radicale francese.
Con lo sciopero generale del 1968 seguito da lotte chiave come l’occupazione nel 1973 da parte degli orologiai della fabbrica Lip di Besançon, era chiaro che i lavoratori avevano il potenziale per trasformare la società. L’idea che la classe operaia industriale dei paesi capitalisti avanzati fosse stata in qualche modo ripagata e ora fosse pacificata stava crollando.
Tuttavia, il potenziale della classe operaia non si espresse in Francia durante gli anni Settanta e i successivi. Il Partito socialista (Ps) divenne la forza dominante della sinistra nel giro di pochi anni dal maggio ’68. François Mitterrand salì al potere nel 1981, inizialmente promettendo riforme radicali prima di imporre rapidamente una svolta di austerità. Bensaïd dovette riflettere sul senso delle sconfitte subite dal movimento operaio e dalla sinistra esterna al Ps e al Pcf.
Sulla scena internazionale, si interessò molto alla costruzione del Partito dei lavoratori brasiliani in opposizione alla dittatura militare, viaggiando in America Latina per partecipare a discussioni con i compagni brasiliani della Lcr nella Quarta Internazionale. Verso la fine degli anni Ottanta, tuttavia, Bensaïd contrasse l’Aids e non poté più viaggiare come prima. Spinto dal giornalista Edwy Plenel, Bensaïd iniziò a dedicarsi al lavoro letterario e teorico, essendosi precedentemente concentrato sulle pubblicazioni di partito.
Questa svolta ha comportato un salto qualitativo di illuminazione teorica. La creatività di Bensaïd ha cambiato il terreno della teoria marxista, scoprendo molte possibilità per una nuova generazione che stava incontrando il marxismo per la prima volta. Il rinnovamento di Bensaïd ha attraversato tre percorsi: storia e memoria, teoria marxista e un’articolazione della politica profana. Ognuno di questi percorsi si è incrociato nello sforzo di Bensaïd di portare un’interpretazione filosofica del marxismo in relazione alle strategie politiche per rovesciare il capitalismo.
Il sentiero di Benjamin
Nel campo della storia e della memoria, le opere più significative di Bensaïd sono state lo studio di Walter Benjamin, il libro sulla Rivoluzione francese (raccontato in prima persona singolare – la voce della Rivoluzione) e il commovente libro su Giovanna d’Arco, che è una testimonianza degli sforzi per onorare con fedeltà le giovani convinzioni rivoluzionarie in un contesto di trionfo neoliberista.
In tutti questi libri, possiamo vedere un filo conduttore centrale nella determinazione a rappresentare la storia in forme diverse dai modi in cui l’aveva concepita una precedente generazione di marxisti. Gli scritti di Bensaïd sulla storia e la memoria erano importanti, specialmente nel contesto dell’osservazione di Perry Anderson, nella postfazione del suo Il dibattito nel marxismo occidentale, secondo cui l’idea stessa di storia non era stata adeguatamente chiarita, deliberata ed esplorata nella tradizione marxista.
Sebbene non abbia inquadrato il suo lavoro come una risposta diretta ad Anderson, Bensaïd ha sviluppato la nozione di biforcazione storica: la ramificazione della storia. In tal modo, si allontanò dall’idea di storia corrente in gran parte della tradizione trotskista, che aveva unito in modo inadeguato la scienza e le leggi della storia suggerendo che in qualche modo la storia stesse andando verso il comunismo come risultato predestinato. Bensaïd ha rotto con questa illusione insistendo sul fatto che la storia non conosce strade a senso unico.
In questo contesto, criticava «un certo tipo di ottimismo sociologico» che era stato prevalente tra i marxisti: «l’idea che lo sviluppo capitalista provochi quasi meccanicamente la crescita di una classe operaia sempre maggiore, sempre più forte, sempre più organizzata e sempre più cosciente». Per Bensaïd, ciò evitava il duro lavoro dell’organizzazione politica, che non aveva esiti predeterminati:
Un secolo di esperienze ha evidenziato la portata delle divisioni e delle differenziazioni nelle file del proletariato. L’unità delle classi sfruttate non è un dato naturale, ma qualcosa per cui si combatte e che si costruisce.
Il suo approccio alla storia ha preso quello che ha definito il «sentiero Benjamin», attraverso il quale ha cercato di salvare il primato dell’azione politica contro le deformazioni staliniste del marxismo. Bensaïd ha colto questa mossa nella sua autobiografia, ricordando come il sentiero di Benjamin avesse rivelato un «paesaggio di pensiero» che era «sconcertante per un marxista ortodosso», popolato da figure come Auguste Blanqui, Charles Péguy, Georges Sorel e Marcel Proust:
Per il Péguy socialista militante, il presunto senso della storia non poteva che servire da diversivo rispetto a una responsabilità imperiosa qui e ora. Non poteva liberarci, in nome di astratte leggi storiche, dall’impegno del presente. Nessuno può sottrarsi al temibile dovere di prendere decisioni fallibili, umanamente, nella carne. A rischio di perdersi. Il socialismo non è una terra promessa, un giudizio finale, una meta ultima e chiusa dell’umanità. Resta «davanti alla soglia», sporto sull’ignoto, nell’inquietudine del presente e nella «potenza del dissenso storico».
Il «potere del dissenso storico» è caratteristica fondamentale del percorso benjaminiano di Bensaïd, coinvolge la memoria delle tradizioni degli oppressi. La fedeltà a queste storie ha impegnato Bensaïd, dalla resistenza anticoloniale delle lotte indigene all’opposizione di sinistra contro lo stalinismo e le vittime dell’Olocausto nazista, il terrore di Franco o la repressione dittatoriale in gran parte dell’America Latina che ha spazzato via una generazione. Ciò lo ha portato a incentrare il suo lavoro su una forma di memoria capace di intrecciare le tradizioni degli oppressi, formulando un terreno della memoria che impone un dovere nel presente.
Un Marx plurale
La riconfigurazione del pensiero e della memoria storica operata da Bensaïd si è concretizzata a livello di metafora, illuminando espressioni della teoria marxista che potessero individuare e superare i punti fragili del marxismo. Ha trascorso gran parte degli anni Ottanta a insegnare all’Università di Parigi 8, elaborando con i suoi studenti la critica incompiuta di Marx dell’economia politica. I risultati più notevoli di questo lavoro sono in Marx l’intempestivo oltre che in La discordance des temps: Essais sur les crises, les classes, l’histoire.
In un certo senso, la ridefinizione metaforica del «materialismo storico» che Bensaïd intraprese sulle tracce di Benjamin confluì in una presentazione delle opere chiave di Marx di carattere teorico. Ha messo insieme gli elementi, incentrati principalmente sul tempo, per un altro modo di interpretare il materialismo storico.
L’interpretazione di Bensaïd è apparsa insieme ad altri sforzi per ampliare la comprensione di Marx oltre l’immagine omogenea del marxismo come sistema chiuso di pensiero. È ormai comune, almeno nella sinistra continentale e anglofona, rifiutare l’idea del marxismo come dottrina unificata. Ciò ci consente oggi di percorrere seriamente e senza resistenze dogmatiche le vie aperte dalla critica di Marx.
Come ha affermato Bensaïd in un’intervista del 2006, quando gli è stato chiesto cosa fosse rimasto valido nell’«eredità marxista»:
Non c’è un’eredità, ma molte: un marxismo «ortodosso» (di partito o di Stato) e marxismi «eterodossi»; un marxismo scientista (o positivista) e un marxismo critico (o dialettico); e anche quelle che il filosofo Ernst Bloch chiamava le «correnti fredde» e le «correnti calde» del marxismo. Non si tratta semplicemente di letture o interpretazioni diverse, piuttosto di costruzioni teoriche che a volte sono alla base di politiche antagonistiche. Come ha spesso ripetuto Jacques Derrida, il patrimonio non è qualcosa che si può tramandare o conservare. Ciò che conta è cosa ne faranno i suoi eredi, ora e in futuro.
Naturalmente, la pluralità di descrizioni e storie che si potrebbero raccontare sulla teoria marxista hanno l’effetto di far rivivere e sviluppare la teoria. Non si trattava però di un pluralismo del tipo «va bene tutto», nel senso che la fedeltà ai testi dello stesso Marx rimaneva cruciale. Inoltre, le argomentazioni politiche e la pratica rimanevano ancora un banco di prova extra-teorico per il pensiero.
Controtempo
Quando guardiamo agli interventi teorici distintivi di Bensaïd, la nozione di controtempo viene in primo piano. Ciò implica pensare all’organizzazione antagonista del tempo. Per Bensaïd, ciò significava interpretare il Capitale in modo da esporre la complessa molteplicità dei tempi così come sono organizzati dal capitalismo.
Leggere Marx dal punto di vista della temporalità ha portato a un incontro con una teoria prematura che non era in perfetta sincronia con il tempo di Marx. Questa mancanza di sincronicità significava che si poteva continuare a seguire il lavoro di Marx, trovando in esso un modo scientifico unico di pensare al capitalismo, alle lotte di classe e alle complessità del mondo moderno se si voleva lottare per il socialismo.
Il passaggio seguente dà un senso all’argomentazione che Bensaïd voleva trasmettere sull’organizzazione del tempo e del capitale:
Il Libro 1 svela il segreto del plusvalore. Il Libro 2 rivela il modo in cui ciò si realizza attraverso l’alienazione. La sua trasfigurazione in profitto costituisce il centro del volume 3, sul «processo di produzione capitalistico nel suo insieme», o il processo di riproduzione. Solo qui appaiono le forme concrete che sono generate dal «movimento del capitale considerato nel suo insieme». La critica dell’economia politica risulta così essere sia una logica che un’estetica del concetto, andando «fino al disagio interno di tutto ciò che esiste». Nella sua architettura complessiva, il Capitale si presenta come un’organizzazione contraddittoria dei tempi sociali. In questo senso Marx ha svolto un lavoro pionieristico.
Anche le temporalità del capitalismo sono plasmate dalle classi in lotta. L’orientamento di Bensaïd nei confronti di Marx si concentrava sulla comprensione delle classi in termini delle loro lotte, non come dati sociologici da manipolare dalla sociologia borghese.
Significativamente per Bensaïd, il lavoro pionieristico di Marx sull’organizzazione capitalista del tempo richiedeva una decostruzione dell’idea che Marx fosse un filosofo della storia. Gran parte del marxismo del ventesimo secolo era rimasto confuso su questo punto, che Bensaïd ha chiarito mostrando che l’approccio di Marx alla storia, basato sul materialismo e sulla critica dell’economia politica, non era una filosofia.
Ha invece insistito sul modo in cui le crisi del capitalismo nascono nella storia, che devono essere affrontate con l’azione politica e senza la consolazione di un racconto filosofico sulla storia. Ciò andava di pari passo con la sua nozione di biforcazione menzionata sopra. La decostruzione di Marx come filosofo della storia implicava l’abbandono della convinzione che la storia fosse governata da leggi generali che le avrebbero consentito di giungere, finalmente, a una destinazione socialista.
Politica profana
Possiamo comprendere la specificità di Bensaïd come marxista se lo confrontiamo con la caratterizzazione che da Perry Anderson del marxismo occidentale. Nello schema di Anderson, la caratteristica distintiva del marxismo occidentale era un ritiro dalla politica rivoluzionaria, dalla deliberazione strategica e dalla critica dell’economia politica, con una fuga invece nella filosofia e nell’estetica. Il prezzo di questa concentrazione sul pensiero filosofico fu l’abbandono del pensiero politico e le necessarie analisi delle congiunture in cui operavano i marxisti.
Bensaïd non si adatta allo schema di Anderson del marxismo occidentale, in parte perché gran parte del suo lavoro è dedicato a un elogio della politica profana sostenuto dalla critica dell’economia politica e dalla diagnosi del presente storico in cui operava. Prodotti in modo irregolare, i principali scritti di Bensaïd su questo terreno includevano La Révolution et le pouvoir, Le Pari mélancolique: Métamorphoses de la politique, politique des metamorphoses e Elogio della politica profana (Tradotto in italiano da Alegre, 2013).
Ciascuno di questi libri ha il merito di unire dibattiti politici e strategici, diagnosi della congiuntura capitalista e tendenze della riflessione teorica e filosofica contemporanea. L’arco di ogni opera si sviluppa essenzialmente verso la politica e la trasformazione rivoluzionaria.
I percorsi metaforici e teorici di Bensaïd lo condussero verso il primato di quella che chiamava «politica profana». Questo è un termine caro a Bensaïd, proprio perché era una forma di politica senza illusioni sulla storia come processo automatico, dove l’azione politica e la responsabilità restavano vitali e certamente guadagnavano in sostanza.
Accettando le conseguenze imprevedibili dell’azione politica e difendendo un bisogno rivoluzionario di trasformare il mondo, l’opera di Bensaïd ha fornito l’idea di una scommessa malinconica al marxismo. In sostanza, si trattava di uno sviluppo della famosa scommessa del filosofo francese del diciassettesimo secolo Blaise Pascal, il quale sosteneva che una persona razionale dovrebbe agire partendo dal presupposto che Dio esiste. Se avessero scommesso correttamente, avrebbero ricevuto la vita eterna; se invece avessero scommesso sull’inesistenza di Dio e si fossero sbagliati, il prezzo sarebbe la dannazione eterna.
Riformulata in termini materialistici, la scommessa di Bensaïd era la seguente. Se scommettiamo che il socialismo è possibile, allora possiamo realizzare l’abolizione delle classi. Se scommettiamo che il socialismo è impossibile e non lottiamo per esso, allora il dominio di classe continuerà, con il capitalismo che distruggerà vite umane e il pianeta da cui dipendono.
Per Bensaïd, questo modo di esprimere il nostro dilemma ci ha permesso di conservare la speranza in una trasformazione socialista della società, pur riconoscendo le possibilità di fallimento. Significa stabilire un rapporto di reciprocità tra speranza e fallimento in modo che l’esperienza politica possa evolvere nella direzione di un futuro socialista.
*Darren Roso è un attivista di Melbourne. Il suo libro Daniel Bensaid: From the Actuality of Revolution to the Melancholic Wager (Historical Materialism Book Series) è in uscita. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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