La spia che fermò il fascismo
Ottant'anni fa finiva sul patibolo Richard Sorge, l'uomo che dal consolato tedesco in Giappone fece trapelare la notizia che cambiò il volto alla resistenza sovietica all'invasione nazista
Nel novembre 1941, in una dacia lungo il fiume Moscova trasformata in un ospedale da campo, alla famiglia Kravchenko venne ordinato di prepararsi all’evacuazione. L’esercito tedesco, dopo mesi di avanzata trionfale, si attestava a poche decine di chilometri da Mosca e si apprestava ad allungare la serie dei sanguinosi trionfi ottenuti in Bielorussia e Ucraina con la conquista della capitale. La mattina successiva, tuttavia, l’ordine di abbandonare la dacia venne annullato. I Kravschenko assistettero all’arrivo di centinaia di ragazzi provenienti dall’estremo oriente del paese, inviati per la protezione della capitale dell’Unione Sovietica. La dacia non venne più evacuata e nel corso dei mesi centinaia di migliaia di soldati giunsero a Mosca dalla Siberia, consentendo così l’arresto dell’esercito nazista alle porte della capitale nel momento più difficile della guerra. Prima di Stalingrado, fu Mosca a resistere, in quella che fu la prima battuta d’arresto della Wermacht nell’Operazione Barbarossa.
L’aneddoto è raccontato da un erede della famiglia Kravschenko, Owen Matthews, che in An Impecable Spy racconta la storia dell’uomo che rese possibile quel trasferimento di truppe. Fu un giornalista e intellettuale tedesco, membro del Partito Nazionalsocialista e consulente dell’ambasciata tedesca a Tokyo a far giungere a Mosca la più preziosa delle informazioni: l’esercito giapponese non avrebbe attaccato l’Unione Sovietica perché privo di combustibile e si sarebbe rivolto verso le Indie Orientali, alla ricerca di petrolio di altre materie prima. Le truppe siberiane di guardia a est non dovevano temere l’apertura di un secondo fronte e potevano spostarsi verso ovest.
Ottant’anni fa, il 7 novembre 1944, quella spia al servizio dell’Urss, Richard Sorge, e il suo più stetto collaboratore, Hotzumi Ozaki, vennero impiccati per spionaggio e tradimento. Per una serie di sfortunate circostanze la loro rete venne scoperta e smantellata, ma non prima di aver inflitto alla Germania e al Giappone uno dei più grandi colpi di intelligence della storia. Sorge, come molti altri giovani idealisti sparsi per il mondo, decise di manifestare il proprio antifascismo e ideale comunista servendo come agente segreto in un paese che non era il proprio. E proprio come molti altri, da quello stesso paese Sorge ricevette principalmente disprezzo e sfiducia, per poi venire abbandonato una volta arrestato.
Un rivoluzionario al servizio dell’intelligence
Richard Sorge nacque a Baku nel 1895, figlio di un ingegnere tedesco nel settore petrolifero e di una donna russa. Trasferitosi a Berlino a quattro anni, visse un’adolescenza animata da ideali pangermanici, che lo spinsero ad arruolarsi al fronte una volta iniziata la Prima guerra mondiale. Sia nella seconda battaglia di Ypres che sul fronte orientale Sorge mostrò abilità e coraggio ma una volta ferito, alla luce di quanto accadeva in Russia ebbe quella trasformazione ideologica che vissero alcuni dei reduci tedeschi, sostituendo l’ideale nazionalista in favore di quello comunista. Di lì in avanti la sua vita fu quella di un rivoluzionario dedito totalmente alla causa socialista, forgiato ideologicamente sia nello studio che nella lotta di classe. E questa sua capacità di unire aspetti diversi ma complementari fu ciò che lo rese un agente incredibilmente valido: rigoroso intellettuale al servizio del Reich, bon vivant nelle notti di Tokyo, impeccabile spia per conto di Mosca.
All’inizio degli anni Venti, a Kiel il giovane Sorge ottenne un dottorato in scienze politiche e iniziò a lavorare in una miniera per essere a contatto con la classe operaia. Partecipò giovanissimo ai moti spartachisti e divenne uno dei responsabili della sicurezza del Partito comunista tedesco (Dkp). Nel 1924 Óspit Piatnitski, commissario dell’Internazionale comunista e ospite clandestino del congresso del Dkp, rimase sorpreso dalle capacità del giovane Sorge e gli propose di trasferirsi a Mosca. Dopo essersi sposato con Katja Maxinova, la sua insegnante di russo, e pur non rinunciando mai alla sua vocazione intellettuale, fu da subito spedito per l’Europa del nord a svolgere attività di propaganda e coordinamento dei diversi partiti comunisti. Tuttavia nel Comintern il vento stava cambiando e tra le sue priorità l’organizzazione della rivoluzione mondiale stava lasciando il passo alla difesa dell’Unione Sovietica. Molti compagni del Dkp cominciarono a cadere in disgrazia e dopo mesi di abbandono anche lui venne richiamato a Mosca, processato ed espulso dal Partito con l’accusa di aver fatto parte di un gruppo «buchariniano».
Tuttavia nel 1929 l’apparato di intelligence sovietico era ancora capace di non sottovalutare l’immenso talento di Sorge e fece in modo che tutto il processo a suo carico non fosse altro che una montatura per farlo uscire di scena e aprirgli nuove porte nel mondo dello spionaggio. Abbandonata l’Internazionale, fu il 4º Direttorio dello Stato Maggiore dell’Armata Rossa – quello dedito allo spionaggio estero – a dargli una nuova possibilità, in particolar modo il suo capo, il Generale lettone Yan Berzin. L’obiettivo era quello di sfruttare le sue doti intellettuali e sociali e dirigerlo verso l’Asia, un territorio diventato centrale per l’Urss dopo il fallimento delle rivoluzioni in Europa.
Dopo un breve soggiorno a Berlino, dove Sorge riuscì a convincere una serie riviste di temi agricoli e asiatici a pubblicare i suoi articoli, l’agente Ramsey (come venne ribattezzato in codice) fu inviato a Shanghai, in una Cina in balia delle forze occidentali e del Giappone, e dove pullulavano spie in concorrenza tra loro. In Asia Sorge ottenne rapidamente importanti successi: mentre in Germania acquisiva credibilità per via dei suoi articoli in campo economico, in Russia aumentò il suo prestigio per via di informazioni sempre più dettagliate sulle manovre militari delle forze nazionaliste di Chiang Kai-shek, sulle operazioni degli istruttori tedeschi e sui movimenti delle forze rivoluzionarie comuniste. Fu sempre a Shangai dove, grazie a Hotsumi Ozaki, un giornalista giapponese con stretti rapporti con le élite militari (e segretamente di ideologia comunista), cominciò a disporre di informazioni riguardo alle discussioni interne all’esercito giapponese, che intanto aveva preso il largo nella Manciuria. Come combattevano i giapponesi? Con quali tattiche e quali risorse? E, soprattutto, erano intenzionati ad attaccare le deboli difese orientali dell’Unione Sovietica? Sorge fu capace di rispondere a queste domande ed è per questo che dopo tre anni Berzin lo spedì in un territorio molto più ostico per una spia, a Tokyo, dove la presenza di stranieri era limitata. Al suo seguito, lo stesso Ozaki, che in breve divenne un consigliere del Primo ministro.
Dopo un altro e rischioso soggiorno nella Germania governata da Adolf Hitler (dove ottenne la tessera del partito nazionalsocialista, unico al mondo a essere iscritto tanto al Partito comunista sovietico come a quello nazista tedesco), nel 1933 Sorge giunse a nella capitale dell’Impero del Sol Levante, dove da subito acquistò la fiducia delle massime istituzioni tedesche del posto, specialmente dell’Ambasciatote Eugene Ott, che a sua volta aveva un rapporto diretto con il capo del Terzo Reich. In una delle sue popolari lezioni all’aperto, Alessandro Barbero racconta come nel Giappone degli anni Trenta accadessero cose incomprensibili agli occhi degli occidentali, come l’uccisione del generale Nagata per parte di un colonnello con l’accusa di essere venduto all’«alta finanza» nonché un tentativo fallito di uccisione del Primo ministro da parte di giovani ufficiali. Mentre gli stessi inviati europei erano incapaci di far luce sugli eventi in corso nel paese, a spiegare il senso di ciò che stava accadendo fu proprio il dottor Sorge, che in un lungo articolo spiegò come nell’esercito vi fosse un conflitto tra gli alti comandi, moderati e legati all’industria giapponese, e una generazione di ufficiali di origine modesta con inclinazioni fasciste e aggressive. Sorge – che aveva fonti di alto livello sia tra i tedeschi che i nipponici – divenne autorità mondiale sulle questioni politiche giapponesi, il ché ebbe come effetto un aumento del suo prestigio presso le autorità tedesche, a tal punto da essere assunto come consulente presso l’Ambasciata del suo paese. Successi importanti, insomma, ma a dispetto di quanto egli stesso immaginava, nella capitale dell’Unione Sovietica la reputazione dell’agente Ramsey era peggiorata notevolmente.
Diffidato ma indispensabile
Sul finire del 1936, un’agente del Comintern a Tokyo, la finlandese Aino Kuusinen, consegnò a Sorge l’ordine di rientrare nell’Unione Sovietica, un ordine che l’agente Ramsey decise di non eseguire. Era un periodo in cui il suo lavoro stava dando dei frutti importanti: per via del suo legame con Ott e di quello di Ozaki con il Primo Ministro nipponico Fumimaro Konoe, Sorge forniva all’Urss informazioni vitali sui legami sempre più stretti tra il Giappone e la Germania, che proprio in quel periodo siglarono il Patto Anti-Komintern. Tuttavia, nel frattempo a Mosca erano cominciate le purghe dentro il partito, nell’Internazionale e nell’esercito: alla fine del 1938 più di 680mila persone vennero fucilate e più di un milione e mezzo arrestate con l’accusa di tramare contro il governo sovietico. Tra questi particolarmente dura fu la purga degli alti comandi dell’Armata Rossa e del Comintern: il 90% dei generali e l’80% dei colonnelli vennero fucilati e la stessa sorte toccò a 133 dei 492 membri dell’Internazionale Comunista.
Sorge, un cittadino tedesco legato a molti dei dirigenti assassinati, aveva letto i resoconti spuri delle purghe sui giornali statunitensi e si convinse che era più prudente trovare un espediente che gli permettesse di non tornare a Mosca. La scelta fu saggia: centinaia di spie al servizio dell’Internazionale e dell’Unione Sovietica vennero arrestate o fucilate e il 4º Direttorio dell’Armata Rossa, quello dedicato allo spionaggio estero, venne distrutto. Tra il 1937 e il 1938 l’intelligence militare sovietica ebbe sei capi diversi, cinque dei quali vennero condannati a morte. Il Generale Berzin, il capo di Sorge, venne ucciso nel 1938. Ósip Piátnitski, che era stato il primo reclutatore di Sorge, fece la stessa fine. Aino Kuusinen, che aveva consegnato a Sorge l’ordine di tornare, venne arrestata e condannata a quindici anni in un gulag pur essendo la moglie di un importante dirigente del Komintern.
Sorge decise di disobbedire e, probabilmente, di salvarsi, ma quella insubordinazione generò un crollo di fiducia verso di lui e dei rapporti che continuava a inviare al 4º Direttorio. Eppure l’Armata Rossa non ruppe mai i rapporti con Ramsey. Mosca, infatti, non disponeva, nel mondo intero, di alcuna fonte che potesse vantare una posizione tanto privilegiata: solo un livello di separazione da Hitler e un accesso diretto (attraverso Ozaki) al Primo Ministro giapponese. Potè così succedere che quando Sorge, nel 1939, chiese di chiudere la sua missione a Tokyo per tornare a Mosca da sua moglie, la richiesta gli venne respinta proprio per via del fondamentale ruolo che aveva raggiunto.
Ad ogni modo Sorge, così come altre spie per il mondo, non riuscì a essere convincente quando avvertì dell’imminente attacco tedesco contro l’alleato sovietico. Con il Patto di non aggressione Molotov-Von Ribbentrop del 1939 l’Urss e la Germania divennero alleate ma nel 1941 Ramsey avvisò diverse volte dei piani tedeschi di invasione dell’Unione Sovietica, gli ultimi incredibilmente precisi finanche riguardo alla data di invasione. Tuttavia l’ennesimo capo del 4º Direttorio, Filip Gólikov, aveva come primo obiettivo quello di non fare la stessa fine dei suoi predecessori e come strategia di sopravvivenza adottò quella di dire a Stalin solo ciò che egli voleva sentirsi dire, ovvero che non era vero che la Germania avrebbe attaccato a breve l’Unione Sovietica. Sorge era inaffidabile, gli diceva Gólikov, controllato dai nazisti, un ex-destro buchariniano, un protetto del traditore Berzin, e dunque era meglio non fidarsi. E lo stesso valeva per altre decine di altre spie che in tutto il mondo erano dediti alla salvaguardia dell’Urss.
L’invasione tedesca per forza di cose costrinse l’intelligence sovietica e lo stesso Stalin a prestare più attenzione all’agente Ramsey. Divorato dalla tensione Sorge si immerse in un alcolismo profondo che in qualche modo giustificava agli occhi dei colleghi dell’ambasciata un suo comportamento sempre più erratico. D’altro canto continuò a operare con la solita eccelsa professionalità. Per i nazisti produceva rapporti di alta qualità sulle forze armate giapponesi, ai sovietici faceva conoscere le reali intenzioni del Giappone. Se l’Impero avesse attaccato da est, per l’Urss sarebbe stata la fine, ma il Giappone di risorse non ne aveva e quindi avrebbe dovuto scegliere: o giungere a un accordo con gli Usa in modo da rimuovere l’embargo sulle importazioni di petrolio – consentendo così l’attacco contro i sovietici – o dirigersi verso il sud, in particolare verso le Indie Orientali, nelle quali avrebbe potuto attingere ingenti risorse petrolifere. Sorge, Ozaki e una squadra di spie addette allo studio dei documenti ufficiali permisero di far giungere a Mosca l’informazione attesa: il Giappone non avrebbe attaccato l’Urss, si sarebbe diretta verso il Pacifico, presto tra l’Impero e gli Stati Uniti vi sarebbe stata la guerra.
Arresto e abbandono
Nell’ottobre 1941 Richard Sorge e gli altri membri della cellula vennero arrestati. A lungo l’agente Ramsey negò di essere una spia ma alla fine, dopo settimane di privazione del sonno cedette e confessò, con lo sconcerto maiuscolo di esperti diplomatici e spietati militari nazisti (come il «macellaio di Varsavia», il colonnello della Gestapo Josef Meisinger, inviato a Tokyo per indagare su Sorge e che questi portò con sé nelle nottate di svago tra i bordelli di Tokyo). Sorge chiese e ottenne una macchina da scrivere e cominciò a raccontare la sua vita da rivoluzionario e spia, senza mai segnalare i nomi delle persone con cui aveva collaborato. Forse proprio per questo – per essere venuto meno alla regola secondo cui una spia non deve mai ammettere di esserlo o forse semplicemente perché Sorge era già stato condannato, vittima della paranoia che vigeva nell’epoca staliniana – l’Urss negò che Sorge avesse nulla a che fare con essa e non fece niente per salvarlo. Anzi, già nel 1942, due anni prima dell’esecuzione, i sovietici arrestarono Katya Maxinova, la moglie di Sorge con cui aveva trascorso pochissimo tempo, e la deportarono in Siberia, dove morì, con l’accusa di essere una spia tedesca. Sorge non seppe niente di tutto ciò ed è anzi probabile che fino alla fine sperasse in uno scambio di prigionieri. Solo negli anni Sessanta, nell’Urss post-staliniana, la figura di Sorge venne riscoperta e esaltata, diventando un eroe postumo dell’Unione Sovietica.
La vita scelta dell’agente Ramsey fu simile a molti altri comunisti della sua generazione, giovani idealisti che divennero spie formidabili. Alcuni, come Leonard Trepper, trascorsero anni nei gulag, altri, come Arvid Harnack, furono condannati a morte dal nemico, altri ancora come Kim Philby e Ursula Kuzckynsky vissero una vita più o meno tranquilla una volta scappati oltre la cortina. Tutti, anche chi di loro commise dei terribili crimini, erano animati da una sincera vocazione ideologica, dall’impeto di voler combattere il fascismo e da una desiderio autentico di costruire una società diversa. E tutti si scontrarono con un sistema animato dal sospetto. Richard Sorge assestò un colpo terribile al governo del suo paese di origine e nonostante il disprezzo, la sfiducia e l’abbandono sofferti sentì il peso del suo ruolo e non tradì né l’Unione Sovietica né i compagni incontrati lungo il cammino, neanche in punto di morte. Le sue ultime parole sul patibolo, pronunciate in giapponese, furono in omaggio all’Unione Sovietica e all’Internazionale comunista. La dignità delle sue ultime ore colpì finanche Mitsusada Yoshikawa, il procuratore che chiese e ottenne la sua condanna a morte, che affermò in seguito «in tutta la mia vita, mai ho conosciuto qualcuno così grande come lui».
*Nicola Tanno è laureato in scienze politiche e in analisi economica delle istituzioni Internazionali presso l’Università Sapienza di Roma. Ha pubblicato Tutta colpa di Robben (Ensemble, 2012). Vive e lavora da anni a Barcellona.
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