La tempesta di classe
A Valencia l'alluvione ha funzionato da moltiplicatore di disuguaglianze già esistenti, nuovo caso di ingiustizia climatica
Le immagini che ci sono arrivate da Valencia in queste settimane sono apocalittiche: strade invase dal fango, carcasse di automobili accartocciate l’una sull’altra, case e negozi sventrati dalla furia dell’acqua, paesi irriconoscibili. A parlare, oltre alla tragedia umana, sono i dati, che fanno capire quanto sia stato estremo questo fenomeno della Dana (Depressione isolata a livelli elevati): sulle colline a sud-est della città di Valencia sono caduti tra i 200 e i 300 mm di pioggia in poche ore, ma alcune località hanno registrato accumuli impressionanti, con addirittura 400-500 mm di pioggia in 8 ore, fino ai 640 mm raggiunti nella località di Turis. Laddove cadono in media 475 mm di pioggia in un anno, questa volta la stessa quantità è stata scaricata a terra in appena 3 ore e 20 minuti. Di questi, 179 mm di pioggia sono caduti in una sola ora: un record assoluto, mai registrato fino a ora in Spagna.
Siamo davanti a un evento drammatico senza precedenti, acuito dalla crisi climatica, con un mar Mediterraneo caldissimo, con temperature ormai tropicali, che ha favorito l’evaporazione di enormi masse d’acqua che sono state scaricate tutte in un’area circoscritta, presentando il conto a un territorio totalmente impreparato, che ora sta pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane. E mentre Valencia stenta ancora a riprendersi, anche la Catalogna in questi giorni è finita sott’acqua.
A poche ore dall’arrivo della Dana, a Valencia però la produzione è continuata come se nulla fosse nonostante il pericolo imminente annunciato dai meteorologi. In questo modo, il governatore della regione con le sue valutazioni ha mostrato il vero volto cinico e calcolatore dell’attuale modello economico. A essere maggiormente esposte sono state ancora una volta le vite dei lavoratori in prima linea. Quegli stessi lavoratori e lavoratrici considerate essenziali, eppure, ancora una volta tristemente sacrificabili.
La crisi climatica in questo scenario ha agito e agisce da moltiplicatore dei rischi e delle disuguaglianze già esistenti. E anche con le politiche di adattamento il centro è stato protetto con maggiori investimenti, mentre tutto ciò che è ai margini e periferico è stato lasciato senza protezioni. È il caso di dire che l’uragano del capitale sembra soffiare implacabile, strappando risorse, accumulando ricchezze per alcuni e lasciando macerie e scarti per tutti gli altri. La gestione di queste rovine, materiali e morali, ricade così sulle spalle di una collettività già provata da decennali crisi economiche. Siamo tutti nell’occhio dell’uragano del capitale, un vortice che sembra risparmiare solo chi è già al riparo: «si salvi chi può». Ma nell’eco di questa tempesta, si percepisce anche una nota di sfida, un presagio che la tempesta stessa potrebbe un giorno spezzarsi contro la forza e la rabbia di chi si rifiuta di piegarsi.
Per comprendere meglio cosa sta accadendo, abbiamo sentito Sergio Aires Machado, vent’anni, studente di giornalismo all’Università di Valencia, attivista per il clima con Juventud por el clima (il movimento spagnolo di Fridays For Future) e collaboratore di Cadena SER, importante radio spagnola:
Qual è l’attuale situazione a Valencia e nelle aree circostanti e come si sono evolute le conseguenze dell’evento dopo essersi abbattuto con tutta la sua violenza sulla comunità valenciana?
La situazione a Valencia è drammatica. Decine di comuni valenciani sono colpiti, con scene drammatiche che provengono da molte località. La capitale, però, non è stata colpita. Per dare un contesto breve: durante il secolo scorso, Valencia era attraversata da un fiume, il Turia, che nel 1957 causò un’esondazione gravissima in cui morirono 80 persone nella città di Valencia. A seguito di questo evento, si decise di deviare il fiume fuori dalla città, creando un nuovo percorso per l’acqua che prevenisse future esondazioni all’interno del centro urbano.
In questi giorni, altri fiumi e torrenti della zona, come il rio Magro, sono esondati, colpendo diversi paesi a sud-est del nuovo percorso del Turia. Il comune più colpito è a un’ora di macchina da Valencia, dove il Barranco del Poyo è esondato, lasciando tutto in frantumi. Sono stato in due paesi, a Benetússer e Alfafar, dove le strade sono bloccate dalle carcasse delle auto, c’è tantissimo fango, e molti garage sono ancora pieni d’acqua.
Qual è stata la risposta dei servizi di emergenza e la velocità del loro intervento a Valencia e come è stato gestito il coordinamento delle operazioni? Qual è il ruolo delle autorità regionali e statali in questa gestione e come la popolazione ha reagito alla loro presenza?
Il problema è che non ci sono abbastanza servizi di emergenza. C’è un’evidente lentezza nelle operazioni e la gente è furiosa. I paesi più colpiti sono stati visitati dal presidente spagnolo Pedro Sánchez, dal presidente della regione Carlos Mazón e dai reali di Spagna. La reazione della gente è stata una pioggia di fango contro queste autorità, accompagnata da insulti: li hanno chiamati «assassini». C’è una rabbia sociale molto forte.
Il grande tema ora è capire di chi sia la responsabilità: le accuse sono rivolte direttamente a Carlos Mazón, presidente della Comunità Autonoma Valenciana, che avrebbe dovuto dare l’allerta.
In Spagna, abbiamo un servizio meteorologico, l’Aemet, che emette avvisi. Quella mattina è stato emesso un avviso rosso, il più grave, con previsioni di forti piogge. Tuttavia, il governo locale non ha allertato la popolazione e ha lasciato che le persone andassero al lavoro. Quando l’inondazione è arrivata, molte persone sono morte nelle loro auto, cercando di tornare dal lavoro, e le strade si sono trasformate in trappole mortali. Alcuni sono morti persino nei supermercati: è stato terribile, proprio perché non sono stati emessi gli avvisi necessari.
E nonostante tutto, chi dovrebbe coordinare questa fase di emergenza è ancora Carlos Mazón, ma non lo sta facendo. Alla fine, chi sta pulendo le strade sono i volontari e la gente comune. C’è un’inimmaginabile marea di persone che va dalla città di Valencia verso le aree colpite. Ci vogliono circa due ore a piedi dal centro, e le persone portano acqua, scope, pale… è una marea di solidarietà.
Inoltre, sta emergendo un grave problema di salute pubblica, perché l’acqua ristagna da oltre 15 giorni, e ci sono molti cadaveri non ancora recuperati che stanno contaminando l’acqua. I volontari sono stati avvisati di indossare mascherine, sia perché il fango rende l’acqua tossica sia per le fughe di gas.
La rabbia della popolazione si è condensata sabato 9 novembre in una manifestazione che ha visto scendere in piazza, a Valencia, circa 130.000 persone, la cui richiesta principale sono state le dimissioni del governatore Mazón. Che sensazione hai avuto della piazza?
Le persone pensano di essere state tradite da chi governa e che ci siano dei colpevoli ben precisi. Questo discorso da un lato rischia di rafforzare l’antipolitica. Sono in molti a rimproverare Pedro Sánchez per non aver fatto di più per evitare la catastrofe, di non aver preso il posto di Mazón per gestire in prima persona gli aiuti, o di aver pensato a tattiche politiche piuttosto che alla gente. Però l’obiettivo principale è il governo regionale di destra che ha gestito l’emergenza nel modo peggiore. E ciò apre anche la porta a possibili cambiamenti radicali.
Questo è stato uno degli eventi estremi più violenti e disastrosi mai avvenuti in Europa. Com’è la sensazione per cui nemmeno nel nostro continente – soprattutto nell’area mediterranea – si è al sicuro da queste catastrofi, che si pensava colpissero solo il cosiddetto «sud globale»?
Questo è stato uno dei principali effetti della crisi climatica, lo sappiamo bene. Ora è stata colpita anche Barcellona: non si tratta di un fenomeno localizzato solo nella zona di Valencia, sta colpendo tutta la costa mediterranea. Penso che ci sarà un cambio di mentalità, o almeno che la gente inizierà a rendersi conto di quanto sta accadendo.
Io parlando con alcune amiche del mio paese, che fortunatamente non è stato colpito in questo modo trovandosi più a sud, a nord di Alicante, dove ha solo piovuto tanto, mi sono reso conto di questo. Sono persone che non hanno mai fatto attivismo, tantomeno sono ecologiste o hanno avuto grandi preoccupazioni politiche, ma mi dicevano: «Questo è il cambiamento climatico, ci saranno sempre più eventi così?! Diventerà questa la normalità?!».
Ho pensato: «Cavolo, la gente si sta rendendo conto che questo sarà il futuro». È un discorso su cui dovremo lavorare molto nelle prossime settimane e mesi, perché è reale. Noi di Fridays For Future abbiamo sempre cercato di sensibilizzare sul fatto che gli eventi estremi sarebbero stati sempre più violenti e frequenti. Già avvengono in varie parti del mondo, ma non avresti mai immaginato che un disastro di dimensioni tali potesse colpire qui, in modo così apocalittico e distopico. Ti rendi conto che il collasso climatico è già qui e lo abbiamo visto con i nostri occhi.
Valencia è una delle città europee che ha lavorato maggiormente sul tema della transizione ecologica e della mobilità pubblica, dai trasporti alla ciclabilità. Cosa si è fatto invece in termini di adattamento alla crisi climatica e riduzione della vulnerabilità?
Valencia, ironicamente, quest’anno è la capitale verde europea. Il problema, per dare un piccolo contesto politico, è che l’intera regione della Comunità Valenciana, è stata per molti anni governata dalla destra, nota per la corruzione. Hanno utilizzato denaro pubblico per progetti come circuiti di Formula 1 e gare di barche, senza mai considerare le questioni climatiche ed ecologiche.
Nel 2015 è arrivata la sinistra, con il Psoe di Sánchez in coalizione con Compromís, un partito regionale di sinistra. Hanno governato fino a due anni fa. Durante quegli otto anni, la rotta era stata invertita, con un modello di città che prevedeva più zone verdi e molte piste ciclabili, ma la questione irrisolta è la vulnerabilità della regione alle inondazioni e che si è costruito troppo in zone inondabili.
La politica urbanistica è stata un disastro: a partire dagli anni Sessanta, il dittatore Francisco Franco ha cercato di dare alla Spagna l’immagine di una dittatura moderna, avviando uno sviluppo urbanistico (noto come «desarrollismo») che ha portato a costruire in aree inadatte. Ora stiamo affrontando un dramma tremendo a causa della mancanza di una pianificazione urbanistica adeguata. Questo dimostra l’importanza per Valencia e altre città del mondo di affrontare le sfide del cambiamento climatico con piani urbanistici che prevedano l’adattamento e la mitigazione.
La distribuzione ineguale tanto del rischio quanto degli interventi di adattamento riflette una forte dimensione di classe, con piani di protezione concentrati nelle aree più ricche. Come ha influenzato questo la catastrofe a Valencia, dove la deviazione del Rio Turia, effettuata all’inizio degli anni Settanta, ha salvaguardato soprattutto il centro?
L’unica grande opera urbanistica realizzata a Valencia è il «Plan Sur», un’infrastruttura costruita per deviare il corso del fiume Turia dal centro della città verso sud. Quest’opera ha protetto Valencia, ma l’alluvione ha devastato tutti i quartieri a sud del nuovo corso del Turia. Sebbene la città sia stata salvata, le piccole località rurali sono state travolte dalla forza del fiume.
Nella pianificazione urbana di Valencia c’è una chiarissima dimensione di classe: il sud di Valencia, la zona colpita, è sempre stata la zona più povera, da sempre abbandonata dai piani urbanistici. Quando il Turia è stato deviato, si è pensato a proteggere la città, ma non tutti i comuni del sud, che non sono turistici, belli da visitare o degni di essere protetti dalle autorità. È proprio in questi comuni che vive tutta la classe operaia che lavora a Valencia e nei poligoni industriali dei dintorni, ed è quella che è stata colpita più duramente.
È una chiarissima questione di classe: i ricchi, potranno permettersi di pagare i danni, mentre i poveri no. Il governo aiuterà e risarcirà gli alluvionati, pagando loro i danni delle case, delle auto e di tutto ciò che hanno perso. Ma non so come faranno… se gli aiuti procederanno al ritmo attuale, sarà un disastro. Fortunatamente, le persone venute da fuori stanno portando loro cibo e aiuti, perché in quelle case non c’è più nulla: né cibo, né acqua, né elettricità.
*Ferdinando Pezzopane studia Scienze Internazionali, dello sviluppo e della cooperazione presso l’Università degli Studi di Torino, è attivista del Collettivo di Comunicazione Chrono. Stefano Ditella, 22 anni, della Val di Susa, è uno studente laureando in Scienze Geologiche all’Università di Torino ed è attivista di Fridays For Future Italia.
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