
La via haitiana al comunismo
Il marxismo occidentale si è consolidato attorno al concetto di alienazione. Negli anni Trenta e Quaranta i marxisti anticoloniali di Haiti hanno ripreso questa categoria per pensare la situazione coloniale e ripensare il marxismo stesso
Durante gli anni Trenta del secolo scorso sono emersi nuovi marxismi centrati attorno a nuove domande. Con la prima pubblicazione nel 1932 dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx una nuova corrente – che Perry Anderson ha definito «marxismo occidentale» – ha posto sul tavolo il concetto di alienazione, aprendo in questo modo una serie di interrogativi di stampo umanista sulla possibilità di restituire all’umanità la propria essenza, alienata dentro al capitalismo.
Bisogna ricordare che il concetto di alienazione era stato respinto dalla Seconda e dalla Terza Internazionale perché legato all’hegelismo e, soprattutto, perché considerato pre-scientifico. I marxisti ortodossi della Seconda Internazionale (Karl Kautsky, Frantz Mehring e Georges Plekanov) sostenevano la dimensione scientifica del marxismo (inteso come scienza della storia) e rifiutavano qualsiasi concetto provenisse dal giovane Marx.
Secondo questa tradizione ortodossa del marxismo, a partire dal 1850 Marx avrebbe rifiutato ogni concetto ideologico, incluso quello di alienazione, per fondare una scienza della storia. Ma la lotta filosofica contro questa ortodossia, iniziata da György Lukács e Karl Korsch, metterà l’alienazione al centro dei propri interessi, trasformandola in una categoria utile a rileggere i marxismi.
Il concetto di alienazione (Henri Lefebvre parla di una «grande disputa sull’alienazione») ha favorito l’emergere di un marxismo occidentale, ma pochi si sono fermati a studiare l’effetto di questo dibattito nella ristrutturazione concettuale dei marxismi anticoloniali. È questo il caso del marxismo haitiano, nato negli anni Quaranta da una visione critica della politica della negritudine, allora dominante.
L’alienazione postcoloniale
Riflettendo sulla ricezione del concetto di alienazione nel contesto del comunismo caraibico sorgono una serie di domande: questo concetto conservava la stessa funzione anche in una regione postcoloniale? E in che modo il marxismo haitiano si è appropriato di questo dibattito per esporre i problemi di Haiti? Una cosa è certa: esiste uno spazio per interrogare la relazione esistente tra i dibattiti sull’alienazione e l’avvento di nuove forme di pensiero marxista, più aperte ed eterodosse.
Soprattutto se si tiene in conto, come sostiene l’antropologa Catherine Benoît, che la problematica dell’alienazione è annoverata tra le tre tematiche più importanti nelle investigazioni sul mondo nero (una lettura condivisa anche da Gérard Pierre-Charles). Anche Aimé Césaire attribuisce a questo concetto un ruolo preponderante nell’avvento del movimento della negritudine.
Dunque, a cosa si fa riferimento quando si parla di un marxismo haitiano? Perché tornare a riflettere su questa corrente così poco studiata dalla tradizione universitaria europea (e mondiale)? Qual è il contributo filosofico del marxismo haitiano nel dibattito sull’alienazione?
In primo luogo il marxismo haitiano ha abbozzato un altro concetto di alienazione, attraverso il prisma della storia di Haiti, per dar luogo a un altro dibattito: quello sull’articolazione dei modi di produzione. Nella maniera in cui è ricevuta ad Haiti soprattutto a partire dagli anni Quaranta, l’alienazione non si descrive più in relazione al capitalismo, ma come un effetto delirante del colonialismo.
Questo concetto di alienazione è legato alla natura della formazione sociale haitiana, che presenta molteplici particolarità atipiche. In questo modo l’alienazione viene formulata in contrapposizione a un Altro che è l’Occidente capitalista e coloniale. Lo stesso succede con la dipendenza di Haiti dal capitalismo occidentale.
Queste due problematiche, l’alienazione postcoloniale e l’articolazione dei modi di produzione, costituiscono il nodo tematico di quello che definisco il pensiero marxista haitiano. L’Occidente è stato analizzato a fondo da questa tendenza marxista che ha fatto della questione coloniale il suo principale vettore epistemico. Per questo sostengo che si tratta di un marxismo anticoloniale.
Così la categoria dell’alienazione ha avuto un’influenza su due correnti: quella della negritudine e quella della dipendenza. Bisogna domandarsi allora se queste due correnti hanno permesso al marxismo haitiano di articolare una critica radicale dell’epistemologia coloniale. Un’analisi delle due problematiche (alienazione postcoloniale e articolazione dei modi di produzione) permette di affrontare la questione.
Marx e Haiti
Prima di continuare, bisogna precisare che ci sono state altre riflessioni sul rapporto tra Marx e Haiti. Si potrebbe citare l’articolo di Wulf Hund che evoca il silenzio di Marx sulla rivoluzione haitiana del 1804. La mancanza di interesse di Marx verso Haiti è affrontata da svariati intellettuali che, in alcuni casi, la utilizzano come argomento per attaccare il marxismo haitiano.
Si constata un rifiuto di Haiti anche nell’opera di Cédric Robinson. Nel suo studio sulla tradizione radicale nera non fa riferimento alle figure haitiane. Va detto che il suo lavoro parte da quello che Marx avrebbe dovuto fare in rapporto a Haiti, ma neanche Robinson interroga i discorsi delle correnti marxiste haitiane.
Io invece preferisco partire dai lavori del marxismo haitiano al fine di comprendere la loro lettura delle opere di Marx. Con questa sfida, si può tornare al secolo XIX per analizzare le prime appropriazioni haitiane di Marx realizzate dal giornalista e medico Louis-Joseph Janvier. È a lui che Michel Hector si riferisce quando parla dei precursori del movimento socialista ad Haiti (anche se io preferisco utilizzare la formula di «premesse del marxismo haitiano»).
L’idea è quella di non partire da Marx, ma di partire da Haiti per ricostruire, da lì, il marxismo haitiano. In questo modo la storia del marxismo haitiano non si fissa su un personaggio, ma su un movimento ancorato a un determinato periodo: irrompe così sulla scena (politica e intellettuale) a partire dalla rivolta del 1946, anno in cui una ribellione popolare, con una grande partecipazione marxista, abbatté il governo di Élie Lescot.
Anche se non fu il frutto di un solo pensatore, la vitalità di questo marxismo è un’eredità dello scrittore haitiano Jacques Roumain (che morendo a 37 anni perse la possibilità di sviluppare le principali linee del suo pensiero). Grazie al precedente di Roumain possiamo ubicare nella seconda metà del ventesimo secolo la base di un marxismo ormai divenuto propriamente haitiano, capace di affrontare la storia di Haiti e i problemi haitiani.
Ma il comunismo haitiano va oltre le opere di Jacques Roumain: ci sono pensatori (Depestre, Alexis, Charlier, Hector, Gérard, Jean Luc) che permettono di analizzare la strutturazione concettuale di quel movimento.
Si potrebbe obiettare che si tratta di comunisti e non di marxisti. In che misura questi comunisti haitiani furono marxisti? Alain Badiou e Toni Negri hanno affrontato la questione nel 2007. Badiou rappresenta il prototipo del comunista senza Marx, mentre Negri solleva l’importanza di Marx per il comunismo, «per impiantarsi nel comune, nell’ontologia». Nel caso di Haiti, troviamo anche comunisti senza Marx: Dorléans Juste Constant, Anthony Lespès e Max Sam.
Ma sono molti di più i comunisti che si riconoscono nel pensiero di Marx ed Engels. Erano marxisti, come abbiamo detto, nella misura in cui articolavano una critica del capitalismo attraverso il prisma del lavoro alienato. Lo erano anche nella misura in cui definivano i grandi momenti della storia della società haitiana attraverso molteplici modi di produzione. Infine, erano marxisti nella misura in cui preconizzavano l’estinzione dello stato attraverso la conquista del potere da parte del proletariato. Si capisce quindi per quali ragioni furono tutti fondatori e dirigenti di partiti politici.
Il marxismo diventa haitiano
Nel mio libro Le marxisme Haïtien ho esplorato il posto che Marx occupa nel discorso del comunismo haitiano. Questa corrente fa di Marx uno dei suoi modelli, adottandone la filosofia e il metodo per spiegare e trasformare la realtà haitiana. È in questo momento che il marxismo diventa haitiano perché abbraccia i problemi della società haitiana.
Il marxismo haitiano si indigenizza (nel senso di Roumain, che ha saputo conciliare marxismo e indigenismo) nella misura in cui insiste nello studio della particolarità culturale e storica di Haiti al fine di proporre un progetto di emancipazione adeguato. Il marxismo diventa haitiano nella misura in cui offre un luogo importante alla radicalità della rivoluzione haitiana del 1804 e alle opere del secolo XIX, specialmente a quelle di Anténor Firmin, l’antropologo radicale che diventerà un precursore del movimento della negritudine.
Il marxismo diventa haitiano nella misura in cui si serve, per studiare la storia coloniale del paese, di un metodo di lettura delle opere di Marx (quello che io chiamo «distillazione»). A sua volta, il marxismo haitiano si costruisce contro le grandi tesi dell’Occidente coloniale e capitalista, pur senza rinnegarle del tutto.
Si può dire che il marxismo haitiano presenta delle particolarità molto evidenti. È uno dei pochi marxismi che tematizza, dagli anni Trenta e Quaranta dello scorso secolo, questioni etnologiche, letterarie ed estetiche (si veda come esempio Gouverneurs de la rosée, il romanzo di Roumain del 1944). Recuperare, nel presente, le opere più ricche di questo corpus ci permetterà di scoprire le prospettive che rimangono ancora innovative nei marxismi anticoloniali.
*Jean-Jacques Cadet è dottore in filosofia all’Università di París VIII e autore di Le marxisme Haïtien. Questo articolo è uscito su Jacobin America latina. La traduzione è di Alberto Prunetti.
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