
La vita rivoluzionaria di Hugo Blanco
Blanco ha trascorso gran parte della vita in esilio, è stato imprigionato più volte ed è sfuggito per un soffio alla condanna a morte. Un'esistenza interamente dedicata alle lotte indigene peruviane che lascia un'eredità viva in America Latina
Il 25 giugno è morto all’età di ottantotto anni Hugo Blanco Galdós, una delle figure più ammirate della sinistra peruviana. Blanco ha lasciato un segno profondo e indelebile nella società peruviana, soprattutto per il suo ruolo nella storica rivolta contadina contro i latifondisti nell’altopiano delle Ande, che ha portato in Perù alla costituzione della Legge della Riforma Agraria del 1969.
Radicale convinto, Blanco ha trascorso la maggior parte della propria vita in esilio, è stato imprigionato ripetutamente ed è sfuggito per un soffio alla condanna a morte. Ha dedicato la propria esistenza alla causa dei diritti territoriali e alle lotte indigene, contro la dittatura, l’imperialismo e le multinazionali estrattiviste che depredavano il Perù.
La lotta per le terre in Perù
Blanco si è formato in un ambiente fortemente peruviano. In Perù, come in altre zone dell’America Latina, l’espansione capitalistica del Diciannovesimo secolo aveva preservato e perpetuato strutture sociali precapitalistiche come quella del latifundio. Con il nuovo secolo, il sistema di piantagioni del periodo coloniale venne rimodellato per potenziare l’accumulazione capitalista, aggravando le forme di sfruttamento denunciate dall’autore socialista José Carlos Mariátegui: la separazione violenta delle popolazioni indigene dai loro mezzi materiali e spirituali di riproduzione sociale consentì ai capitalisti in cerca di profitto di espropriare i loro territori e in aggiunta di sfruttare le loro forme tradizionali di forza lavoro condivisa.
Blanco nacque sulla scia della cosiddetta Repubblica aristocratica (1895-1919), una parentesi successiva all’indipendenza in cui la privatizzazione dei territori conobbe un picco storico e in Perù iniziarono a scavare i poteri imperialisti. Le famiglie locali più influenti riorganizzarono inoltre le loro proprietà proprio in questo periodo, sfruttando il controllo che esercitavano sul governo repubblicano per accelerare la concentrazione dei terreni su larga scala. Già nei primi decenni del Ventesimo secolo, oltre alle tradizionali haciendas lungo la costa, i vasti altipiani del Perù erano coperti di latifundia.
Nello stesso arco di tempo, le società indigene tradizionali della regione delle Ande vennero violate da una nuova forma di dominazione economica e politica definita gamonalismo, che deriva il suo nome da una pianta parassitaria. Il gamonalismo permise a capitalisti parvenu di appropriarsi dei territori comuni degli altipiani e trasformarli in feudi. Ciononostante, le nuove forme di oppressione nelle campagne si scontrarono con una resistenza contadina e indigena sempre più determinata.
Tutto questo fece da sfondo a un susseguirsi decennale di lotte in difesa del territorio, che rappresentarono il principio fondativo dell’attivazione indigena e contadina per la maggior parte del Ventesimo secolo. Secondo lo storico Wilfredo Kapsoli, già a metà del secolo la battaglia contadina per la ridistribuzione delle terre aveva raggiunto un livello tale che molte persone, tra cui lo stesso Hugo Blanco, potevano ragionevolmente mettere in discussione le basi dell’esistente ordine sociale peruviano.
Dal Perù all’Argentina e ritorno
Hugo Blanco Galdós nacque nel novembre del 1934 nella città di Cuzco, un tempo capitale di Tawantinsuyo, ovvero l’Impero Inca. Sua madre era una piccola proprietaria terriera e suo padre un avvocato di classe media – non apparteneva certo a una famiglia contadina. Però, da bambino, Blanco rimase colpito dai suoi primi incontri con la brutalità con cui i possidenti trattavano gli indigeni; più tardi avrebbe indicato in un episodio specifico il punto di non-ritorno: un latifondista locale, Bartolomé Paz, aveva inciso le proprie iniziali sul sedere di uomo indigeno con un ferro rovente.
L’ancora tenera militanza di Blanco, alimentata dal suo primo contatto con l’ingiustizia, si consolidò grazie alle sue letture di Mariátegui, Víctor Raúl Haya de la Torre, Manuel González Prada e altri scrittori classici della sinistra peruviana. Nel 1954, Blanco lasciò il Perù per studiare agronomia in Argentina, dove il fratello, che studiava nella città argentina di La Plata, occupava una posizione di rilievo nell’importante Alleanza rivoluzionaria popolare americana (Arpa).
Con l’aiuto del fratello e di altri conoscenti, Blanco si avvicinò alle politiche pan-latinoamericane e anti-imperialiste dell’Arpa, arrivando presto a criticarne l’atteggiamento conciliatorio e le politiche di classe piccolo-borghesi e spostandosi così verso il trotskismo. Ancora in Argentina, seguì alcune correnti trotskiste come Palabra Obrera (Parola Operaia), guidata da Nahuel Moreno, e abbandonò poi gli studi per iniziare a lavorare alla politicizzazione di uno stabilimento di imballaggio delle carni a Berisso, La Plata.
Tornato in Perù nel 1956, Blanco si iscrisse al Partito operaio rivoluzionario (Por). Di tendenza trotskista, il Por aveva già conosciuto gravi perdite a causa della repressione politica della dittatura di Manuel Odría negli anni Cinquanta. Blanco entrò nei ranghi della resistenza del Por, immaginando di lavorare come sindacalista a Lima e nella provincia amazzonica di Chanchamayo. Invece fu rimandato in patria, a Cuzco, dove operò come rappresentante del sindacato dei canillitas, i venditori di giornali, che faceva parte della federazione dei lavoratori del dipartimento di Cuzco.
Fu il suo inaspettato incontro con il movimento contadino nelle province di La Convención e Lares a indurre Blanco ad abbandonare il cammino militante socialista verso la «proletarizzazione» per diventare egli stesso un contadino. Mentre era sottoposto a fermo a causa della sua attività con i venditori di giornali, Blanco aveva incontrato diversi sindacalisti contadini dell’area di Chaupimayo, che stavano scontando invece una più lunga pena di reclusione. Discussero a lungo della lotta agricola e, una volta rilasciato, Blanco mise in piedi una campagna per la loro liberazione, trovandosi presto a lavorare e a organizzarsi fianco a fianco con i sindacalisti contadini delle vicine piantagioni di caffè e cacao.
Questa sua trasformazione si sarebbe rivelata poi irreversibile: come contadino, Blanco avrebbe dedicato il resto della propria vita alla lotta per la terra.
La terra o la morte
I contadini della provincia di La Convención avevano appena fondato dei sindacati per difendersi dall’aumento imprevisto degli affitti e dagli abusi violenti dei proprietari terrieri locali. Avendo assistito alla repressione subita dai contadini organizzati, Blanco si spostò nella città di Chaupimayo, a La Convención, dove diventò presto il leader eletto del sindacato. Nel 1961, Blanco fondò insieme ad altri la Federazione dei contadini di Cuzco e l’anno successivo diede vita con altri leader di sinistra al Fronte rivoluzionario di sinistra (Fri), un’organizzazione che riuniva membri del Partito agricolo rivoluzionario, del Por e della sezione leninista del Partito comunista peruviano.
Nel 1962, il Fri lanciò la chiamata storica all’appropriazione delle terre di Cuzco sotto lo slogan di «La terra o la morte!». Ponendosi a capo di uno sciopero contadino che pretendeva la cessazione del lavoro non pagato, degli affitti proibitivi della terra e della repressione statale violenta, l’agitazione politica del Fri scatenò la formazione di innumerevoli gruppi contadini di autodifesa, tra cui la colonna guerrigliera dello stesso Blanco, la Brigata Remigio Huamán.
Pur se i guerriglieri contadini lottarono valorosamente, non poterono nulla contro lo forze armate peruviane e gli scioperi agricoli furono schiacciati duramente. Ciononostante, l’episodio rappresentò un punto di svolta nella storia delle lotte contadine delle Ande del Ventesimo secolo, e la battaglia per la difesa della terra si espanse presto in altre parti della regione di Cuzco. Più tardi, gli storici avrebbero guardato alla sollevazione come a un momento decisivo che avrebbe portato alla Legge di Riforma Agraria.
Blanco venne catturato nel maggio del 1963 per la sua partecipazione nella lotta contadina e spostato in una prigione nella provincia meridionale di Arequipa, dove fu condannato a morte. La condanna provocò però un’ondata di indignazione internazionale grazie a cui la pena fu in seguito ridotta. Dopo un periodo di prigionia, Blanco fu processato una seconda volta nel 1966 e condannato a venticinque anni nella prigione di El Frontón a Lima.
La riforma dall’alto
Gli altipiani andini del Perù rimasero terreno fertile di lotte e conflittualità politica per la maggior parte degli anni Sessanta. Nei primi anni Sessanta, l’acclamato romanziere socialista peruviano Manuel Scorza si mosse da Lima per andare a incontrare i membri del movimento contadino nell’altopiano centrale, dove assistette con stupore a forme di sfruttamento inimmaginabili nella capitale creola. Si unì quindi alla lotta contadina e divenne così testimone di una delle grandi vittorie popolari del decennio (che sarebbe poi diventata il cuore del suo primo celebre romanzo): la riconquista di territori che erano stati sottratti alla comunità Rancas dalla compagnia estrattivista statunitense Cerro de Pasco Copper Corporation.
Scorza diventò poi un membro del Movimento communalista del Perù (Movimiento Communal del Perú), un’organizzazione che lottava perché i lavoratori indigeni sfruttati della nazione ottenessero il diritto alla terra e il potere politico. Come testimone oculare dell’iniziale fervore politico che ispirò Blanco e gli altri, scrisse:
Non ci mettiamo contro ai piccoli fattori e ai rancheros del Perù, che lottano ogni giorno contro il monopolio dell’accredito e l’indifferenza dello stato mentre lavorano per rendere fertile la terra… Ma non possiamo accettare che le grandi compagnie straniere, non contente di possedere il sottosuolo – il petrolio e tutti i minerali – prendano possesso anche della terra dove siamo nati.
Man mano che le lotte per la terra si estendevano a tutto il paese e cominciavano ad acquisire tratti anti-imperialisti, la rivendicazione riuscì a conquistarsi un posto in cima all’agenda nazionale. Arrivò il momento in cui non fu più possibile soffocare la lotta per la riforma agricola con la forza militare. Nel 1964, davanti al radicalismo indigeno e all’aumento dei gruppi di guerriglia di sinistra, l’oligarchia peruviana cercò di allentare le tensioni approvando una legge di riforma agricola sotto il governo di Fernando Belaúnde (la cui amministrazione aveva già tentato, senza molto successo, di reprimere nella violenza la mobilitazione contadina).
La lotta contadina
Con le loro battaglie per la terra, i contadini andini erano riusciti a costringere lo stato peruviano ad alterare il consolidato regime della proprietà. Guidati dal generale progressista Juan Velasco Alvarado, gli ultimi anni Sessanta e i primi anni Settanta conobbero una spinta nuova verso la modernizzazione della società agricola peruviana che, eliminando le tenute terriere grandi o piccole (dette minifundios), diede vita a centinaia di cooperative contadine e portò avanti l’industrializzazione attraverso una politica di sostituzione dei beni importati.
Blanco non si lasciò piegare dal nuovo governo riformista. Velasco, secondo lui, puntava a eliminare il sistema dei latifundia per proletarizzare i contadini peruviani. Ciò era in linea con il progetto di classe di Velasco: scatenare il potere nascente della borghesia industriale della nazione. Ancora peggio, la riforma agricola di Velasco era, come scrisse Blanco, talmente burocratizzata da strappare ai contadini qualsiasi forma di soggettività politica che avevano:
Le cooperative contadine non hanno scelto il loro manager: è stato nominato, e questo le ha trasformate in entità burocratiche dirette da una manciata di funzionari che traggono profitto dalla produzione contadina. Ma le comunità contadine hanno lottato perché la terra fosse restituita a loro.
Le critiche mosse a Velasco da Blanco si dimostrarono azzeccate. In molte zone del paese, i contadini continuarono a scontrarsi con la riforma burocratica del regime, appropriandosi delle cooperative statali e delle proprietà agricole. Già in esilio, Blanco seguiva con approvazione la richiesta contadina che la riforma lasciasse spazio a una maggiore autonomia locale e all’indipendenza dalla politica borghese.
Una vita in esilio
Durante il suo ultimo esilio, Blanco trascorse diversi mesi nella prigione argentina di Villa Devoto. Imprigionato per aver superato il limite di un permesso di soggiorno, Blanco assistette personalmente alle violazioni dei diritti umani regolarmente commesse sotto la giunta militare di Alejandro Augustín Lanusse. Continuando nell’esilio, Blanco si spostò poi nel Cile di Salvador Allende, che dovette presto abbandonare a causa del colpo di stato di Pinochet del 1973.
Come a molte delle persone di sinistra in fuga dal Cile, a Blanco fu concesso il diritto di asilo dal rinomato ambasciatore svedese Harald Edelstam. Blanco trascorse l’anno successivo in viaggio attraverso l’Europa, nel tentativo di denunciare i crimini dei regimi militari nell’America Latina e di radunare sostenitori per la causa degli esiliati, diventando così un importante punto di riferimento delle prime campagne di sensibilizzazione sull’Operazione Condor voluta dagli Stati uniti. Tornò in Perù nel 1975 e l’anno successivo guidò un’ondata di manifestazioni contro il governo militare conservatore di Francisco Morales Bermudez. Ovviamente, fu rimandato in esilio a causa della sua attività politica.
Nel 1978, Blanco tornò di nuovo in Perù, questa volta per partecipare alle elezioni per l’appena istituita Assemblea costituzionale. Si candidò alle elezioni costituenti insieme al Fronte lavoratori contadini studentesco e popolare (Frente Obrero Campesino Estudiantil y Popular) fondato dal politico peruviano di sinistra Genaro Ledesma Izquieta. Eletto come membro dell’assemblea, Blanco partecipò anche alle elezioni per l’amministrazione comunale di Lima con il Partito rivoluzionario dei lavoratori. Nel 1990 Blanco aveva raggiunto il senato con il partito della Sinistra unita. Purtroppo, la promettente traiettoria politica istituzionale di Blanco subì una brusca battuta d’arresto quando l’appena eletto dittatore Alberto Fujimori dissolse il Congresso peruviano.
Poiché era troppo rischioso rimanere in Perù durante la dittatura di Fujimori, Blanco si spostò in Messico nel 1991, dove si unì all’entusiasmo politico ispirato dalle sollevazioni della guerriglia Zapatista nel Chiapas. L’anticapitalismo di Blanco assunse in quel periodo un’importante componente ecologica, quando l’ex leader contadino prese posizione con più forza contro le corporazioni estrattiviste transnazionali in America Latina.
Come molti altri negli anni Novanta, Blanco si era allontanato dalle politiche di partito per avvicinarsi ai movimenti indigeni dell’America Latina. Grazie a una prospettiva più radicalmente ecosocialista, Blanco allargò la sua definizione di lotta per la terra per includere la difesa dell’ambiente naturale e delle risorse collettive che contiene. Il suo libro del 2017 Noi, gli indios non lascia ombra di dubbio sulla sua posizione in divenire:
A queste compagnie che diffondono il verbo del neoliberismo non interessa se la loro attività danneggia la natura o causa l’estinzione della specie umana; l’unica cosa di cui si curano è fare il maggior guadagno nel minor tempo possibile. Avvelenano i fiumi e abbattono gli alberi per il legname; uccidono la foresta amazzonica, madre dei nativi amazzoni, e così facendo uccidono anche loro.
Questo passaggio riflette lo spostamento dell’attenzione politica di Blanco dai lavoratori rurali e la lotta per la terra ai movimenti indigeni e la difesa del mondo naturale contro la devastazione dell’industria estrattivista. Per Blanco il capitalismo globalizzato si traduceva sempre più chiaramente in riscaldamento globale, miniere a cielo aperto, estrazione di idrocarburi, deforestazione, e altre espressioni crudeli della logica distruttiva del capitale. La resistenza indigena globale diventava così l’avanguardia anticapitalista.
Hugo Blanco, Presente
Hugo Blanco è stato un uomo dalle ferme convinzioni. Da militante convinto, ha capito il valore della terra come fonte di benessere materiale e spirituale per i contadini e le persone indigene povere e sfruttate dell’America Latina. Più avanti nella sua vita, ha diretto le sue critiche in una direzione globale, spinto dall’imperativo sempre più forte di preservare e difendere i mezzi naturali della vita sulla terra.
Alcuni aspetti del suo marxismo hanno attirato delle critiche e la sua rigida politica di classe lo ha spesso allontanato dal potere istituzionale. Ciononostante, un’analisi equilibrata della sua eredità militante non può che accrescere la nostra ammirazione per uno dei più importanti rivoluzionari latinoamericani.
Hugo Blanco è morto in Svezia lo scorso 25 giugno e la sua vecchiaia ha rappresentato anch’essa una vittoria sulla borghesia peruviana e latinoamericana che avrebbe preferito vederlo morto molto tempo fa. E forse la morte non raggiunge mai veramente coloro che, come Blanco, nel mezzo della lotta di classe riescono a mantenere viva la loro rabbia contro l’ingiustizia del mondo. In ogni caso, la severa figura di Blanco continuerà a essere presente nelle discussioni politiche in America Latina negli anni a venire, in una sorta di memento rivoluzionario che per i senza-terra, gli espropriati e i senza potere non c’è più nient’altro da perdere se non le nostre catene.
*Lourdes Flores Bordais ha conseguito un dottorato in scienze sociali presso l’Università Federale di San Paolo. È autrice di Mariátegui, Los Comunistas Y Los Mineros Del Centro (Editorial Ande, 2021). Questo articolo è uscito su Jacobin Magazine, la traduzione è di Valentina Menicacci.
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