
L’Argentina dopo il successo dell’estrema destra
L'onda anomala di Javier Milei arriva da lontano e trasforma lo scenario politico argentino. Qui però la destra non arriva in una fase di riflusso dei movimenti sociali e dovrà fare i conti con la loro resistenza
Le elezioni primarie di domenica 13 agosto non hanno soltanto spalancato le porte a una crisi della coalizione delle forze di governo (questa è stata infatti la peggior elezione della storia del peronismo), ma hanno creato scompiglio anche nell’opposizione di Juntos por el Cambio, che non ha ottenuto i risultati sperati. In un contesto di profonda crisi economica, aggravatasi poi con la svalutazione della scorsa settimana, il trionfo inaspettato del candidato de La Libertad Avanza, Javier Milei, ha infranto ogni previsione, dando l’avvio al nuovo scenario politico delle elezioni del prossimo ottobre.
Per analizzare gli strascichi delle Primarie Aperte Simultanee e Obbligatorie (Paso), i motivi che hanno portato sette milioni di persone ad appoggiare il candidato de La Libertad Avanza e le possibili conseguenze di questa scelta, Jacobin America Latina ha dialogato con il professore di economia Claudio Katz.
Come si spiega quello che è successo con Milei?
È riuscito a sfruttare con i suoi messaggi di estrema destra la sfiducia e la frustrazione della gente causate dal disastro in cui si trova il paese. Questa tendenza si sta verificando in numerosi paesi, però Milei è il più imprevedibile. La sua figura è stata gonfiata dai social network, ed è giunto in politica senza avere alcuna direzione. Non ha l’appoggio di un partito tradizionale come Donald Trump, né della base ideologico-sociale di cui godeva José Antonio Kast in Cile o il sostegno evangelico-militare di Jair Bolsonaro in Brasile. Questa singolarità potrebbe farlo crollare o dargli enorme potere. Ancora è difficile dirlo.
Il suo discorso è di estrema destra, ma è riuscito a ottenere consensi con atteggiamenti teatrali e facendo invettive. Molti dei suoi elettori hanno risposto ai sondaggi dando una risposta positiva all’istruzione pubblica e negativa alla privatizzazione di Aerolíneas. Ha creato l’illusione di poter fare soldi con l’avventura dell’agganciamento del peso al dollaro. È un personaggio potenzialmente più fragile o più pericoloso delle sue controparti internazionali. Sono interrogativi aperti.
Già circolano molte spiegazioni su ciò che Milei rappresenta…
Sì. Certamente. Alcune interpretazioni sottolineano il suo essere legato ai grandi cambiamenti della soggettività, della comunicazione e del comportamento dei giovani. Sono considerazioni interessanti se non ci si dimentica che Milei è un prodotto dell’assurdo deterioramento delle condizioni di vita del nostro paese. La responsabilità è del governo perché ha consolidato il crollo dei salari, la precarizzazione del lavoro e la crescita delle disuguaglianze. Milei non fa che dare una direzione al malessere generato da questo tipo di degrado.
Che cosa succede invece alla destra tradizionale?
La vittoria di Patricia Bullrich conferma lo spostamento a destra della sua coalizione. Ha scambiato le promesse di felicità che faceva l’ex presidente Mauricio Macri con la retorica della sopportazione. Il crollo di Horacio Rodríguez Larreta dimostra che l’attuale destra ha perso attrattiva. Si tratta dello stesso indebolimento che ha sofferto in Brasile il partito di Fernando Henrique Cardoso nel clima introdotto da Jair Bolsonaro.
La scossa di Milei ha creato uno scenario molto contraddittorio per l’establishment. Da una parte, i potenti festeggiano il conseguente aumento di deputati a loro favorevoli, che potranno avviare la loro agenda nascosta. Dall’altra, l’attuale rotta è a rischio di condurre al naufragio, che i potenti preferirebbero evitare appoggiandosi al governo di compromesso auspicato dal viceré Stanley. In aggiunta il fatto che Bullrich e Milei siano in competizione per la stessa clientela conservatrice risulta piuttosto scomodo.
Che è successo al peronismo?
Ha subito uno smacco più grande del previsto, arrivando terzo alle elezioni, la posizione più bassa nella sua storia, rassegnando simbolicamente le redini del governo di Santa Cruz. Si aprono due possibilità per i prossimi mesi. Se il ministro dell’economia Sergio Massa continua a spingere sull’austerità secondo le richieste del Fondo monetario internazionale (Fmi) non farà altro che scavarsi la fossa come candidato della coalizione governativa. La sepoltura ha già avuto inizio con la svalutazione che aveva promesso di aggirare e che invece ha finito per accettare. Ha ceduto al ricatto di Washington per ottenere i crediti che il Fmi usa per autofinanziarsi. L’Argentina è sottoposta a questo calvario interminabile perché ha legittimato la frode del debito pubblico.
L’immagine di Massa come astuto mediatore sta svanendo davanti all’inflazione rampante che ad agosto raggiungerà la doppia cifra. Il governo ha perso credibilità per negoziare qualsiasi freno all’aumento dei prezzi con le imprese, mentre la quotazione del dollaro non ha limiti. Colto tra la padella e la brace, Massa sta facendo ricorso al cosiddetto «compromesso senza programma». Svaluta le risorse, improvvisando misure che aggravano la crisi economica e la conseguente paralisi del governo.

Un simile deterioramento può portare allo stesso scenario di ascesa e crollo che ha affrontato Raul Ricardo Alfonsín negli anni Ottanta?
Ci troviamo davanti a una doppia tensione. Alcuni settori hanno promosso proprio una debacle di questo tipo. Però allo stesso tempo i maggiori poteri economici preferiscono tutelare le relazioni commerciali per il gas, il litio e gli alimenti previste per i prossimi anni. Per questo promuovevano il compromesso prevedibile di Larreta e Massa.
Questa contraddizione è emersa a seguito del Paso. Lo spostamento a destra dell’elettorato, che avrebbe dovuto rallegrare i capitalisti, ha generato l’effetto contrario del crollo dei titoli di borsa. C’è un clima di tensione estrema e se l’impeto inflazionistico si estenderà alle prossime settimane, l’esito delle elezioni di ottobre sarà molto incerto.
La coalizione governativa può rimontare prima di ottobre?
Se sarà in grado di contenere l’economia in deraglio. È la condizione essenziale perché possa tentare di rovesciare i risultati del Paso. Avrà bisogno di recuperare gli elettori che si sono astenuti e sottrarre i voti a Milei o Bullrich. Inoltre dovrebbe preparare una difesa feroce contro il pericolo reazionario in avvicinamento. Questa reazione difensiva ha avuto luogo poco tempo fa in Spagna, quando l’avanzata di Vox è stata fermata alle urne.
L’elezione rispettabile di Axel Kicillof mette già un freno all’onda di Milei…
Sì, ma si è trattata dell’unica eccezione significativa alla marea viola. Questo non fa che dar prova che, a differenza del 2015, un presidente di destra dovrà affrontare un nucleo di opposizione nella provincia di Buenos Aires. Questo risultato mette anche in evidenza la spaccatura introdotta da Milei nel progetto conservatore tradizionale. Non si potrà ripetere il governo Vidal perché Piparo divide il fronte di destra.
In ogni caso, l’Argentina si trova davanti a un cambiamento nuovo.
Mi par di notare che ci siano due diverse letture di ciò che sta accadendo. Secondo la prima si tratterebbe di un turn over politico. C’è stata una votazione con il Paso, preceduta da varie elezioni provinciali, e si è visto come molti elettori abbiano modificato la propria preferenza durante queste elezioni. Secondo questo punto di vista, il voto a favore dell’estrema destra potrebbe essere solo un avvertimento che si potrebbe ancora attenuare a ottobre.
Una seconda lettura suggerisce invece che questo fenomeno ha avuto inizio alla fine del ciclo politico degli ultimi due decenni, con il conseguente abbattimento dei suoi due protagonisti: il kirchnerismo e il macrismo. Il declino del bipolarismo causato dall’estrema destra annuncia una profonda crisi, sia del peronismo che dei suoi antagonisti tradizionali. Questo punto di vista si lega all’improvvisa e inversa rinascita dei movimenti che ha inaugurato l’attuale periodo. Milei ha ridotto la parola d’ordine «que se vayan todos» in una furiosa contestazione della «casta». Ha trasformato lo slogan rivoluzionario e speranzoso del 2001 in una bandiera completamente regressiva.
È sufficiente il trionfo elettorale della destra per imporre il compromesso a cui mira il potere economico?
No, si tratta solo del primo passo. Avrà inizio una battaglia che sfocerà in una dinamica di resistenza. Il risultato giungerà dal confronto tra chi fa e chi subisce il compromesso. La reazione popolare contro i soprusi è una grande preoccupazione della destra. Si interrogano da molto tempo su come piegare i picchetti, frenare gli scioperi e fermare le mobilitazioni. Sono ossessionati dalla tradizionale capacità di resistenza del nostro popolo.
L’Argentina può contare sul movimento dei lavoratori più importante del continente e sul tasso di sindacalizzazione più alto. Si è creato il più grande gruppo organizzato di disoccupati e la forza democratica del paese ha costretto i responsabili dei genocidi a rimanere in prigione. La destra dovrà scontrarsi con questa resistenza sociale. Stavolta vogliono tutto e proveranno a liquidare i contratti collettivi, i sussidi, elargendo indulti ai militari e tentando di cancellare il diritto all’aborto. Hanno già sperimentato a Jujuy [durante le manifestazioni di questa estate contro il progetto estrattivista e di stravolgimento costituzionale, Ndr] la criminalizzazione della protesta.
È evidente che sotto il governo di Fernández c’è stata una reazione popolare molto inferiore rispetto al normale. Però a differenza del Brasile, la destra non è arrivata al governo in uno stato di riflusso dei movimenti o di disgregamento popolare. Inoltre, per adesso Milei e Bullrich hanno un grande sostegno elettorale ma non nelle strade. Non sono accompagnati dai cazerolazos della pandemia o dalle marce del periodo di Nisman.
Come vedi la situazione della sinistra?
Il Fronte de Izquierda e i Trabajadores-Unidad (Fit-U) hanno ottenuto una percentuale molto simile alle ultime elezioni di questo tipo. Le cifre della coalizione sono state molto basse, però è rientrata tra le cinque liste che concorreranno alle elezioni di ottobre. Altre coalizioni non sono riuscite a raggiungere la percentuale necessaria a superare lo sbarramento. Con base minoritaria ma solida Fit-U è riuscita a resistere ai venti avversi elettorali. Si trova davanti la difficoltà oggettiva generata dallo sfruttamento da parte della destra del voto di pancia. In più, lo scontento interno al peronismo è stato contenuto dalla lista alternativa a Massa, la cui inclusione inopportuna nel Fit-U è risultata incomprensibile ai suoi stessi sostenitori.
Quali sono secondo te le opzioni immediate per i settori militanti?
Per gli ambienti del peronismo critico, della sinistra e dei progressisti sono in gioco numerosi problemi. Il primo è la tattica elettorale. Alcune correnti puntano alla scheda bianca, senza considerare il significato ormai alterato di questa opzione. Se nel 2001 rappresentava una forma di ribellione popolare, ora esprime apatia e depoliticizzazione. È una risposta passiva al compromesso che non porta alla resistenza. Al contrario, rinforza lo scoramento e favorisce il messaggio pericoloso che «i politici sono tutti uguali”.
Il secondo tema sono i deputati in corsa. Io credo che un aumento del numero dei deputati di sinistra sarebbe molto positivo. Poiché ci stiamo muovendo verso l’austerità e bisognerà opporre resistenza, avere un sostegno legislativo sarebbe molto conveniente. Non si può dire che avranno lo stesso ruolo i candidati proposti dai peronisti, che contano innumerevoli conservatori e un comportamento ambiguo nei confronti della mobilitazione sociale. I problemi strategici del Fit-U rimarrano appesi, ma la coalizione avrà più forza per sopportare la dura lotta che si avvicina.
Da ultimo, la campagna per votare Massa e portare a termine il compromesso adottato da Grabois nel presentare la sua lista è un boccone piuttosto amaro. Il giorno dopo aver presentato al suo candidato la proposta di cancellare l’accordo con il Fmi, il ministro ha avviato la svalutazione richiesta dal Fondo. Grabois dovrà decidere se far passare sotto silenzio o denunciare un simile inganno.
La modalità con cui contenere la destra sul piano elettorale rimane un dibattito aperto dalle molte sfumature, specialmente davanti a un ballottaggio. Ma la necessità di deputati di sinistra è una priorità assoluta.
*Claudio Katz, economista, è professore all’Università di Buenos Aires e membro di Edi (Economistas de Izquierda). Il suo sito web è www.lahaine.org/katz. Questo articolo è uscito su Jacobin America Latina. La traduzione è di Valentina Menicacci.
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