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L’Argentina, il vaccino e la sovranità

Camillo Robertini 5 Febbraio 2021

La scelta, prevalentemente di natura pragmatica, del governo peronista di acquistare il vaccino russo, dimostra come la campagna vaccinale può divenire motivo di scontro sui nuovi equilibri internazionali post-pandemia

Come abbiamo avuto modo di raccontare su queste stesse pagine, nei mesi scorsi l’America Latina è divenuta una delle frontiere della disputa globale tra i sostenitori delle misure dettate dall’Oms in fatto di Covid-19 e la galassia delle destre liberal-conservatrici o direttamente reazionarie che vi si oppongono. L’Argentina, che da almeno due anni è alle prese con una profonda crisi economica e in queste ore sta discutendo col Fondo monetario internazionale la rinegoziazione del debito, è stato lo scenario privilegiato di un sempre più serrato scontro tra i «militanti della quarantena» e quelli della «libertà». L’acceso confronto tra le parti è testimonianza di un profondo solco tra chi nonostante la lunghissima quarantena continua a rispettare le regole governative e i variegati gruppi organizzati o meno che sperano di adoperare il malcontento generato dalle misure anti-Covid per il proprio tornaconto elettorale. Anche la storica approvazione della legge sull’interruzione della gravidanza avvenuta lo scorso  30 dicembre si è prestata al gioco delle parti, restituendo l’immagine di una società profondamente divisa, pronta a scontrarsi sulla riapertura delle scuole, sull’uso della mascherina e financo sulla memoria di Maradona.  

Fino a qui, a dirla tutta, non vi è nulla di nuovo sotto al sole, nulla che non sia accaduto nel resto del mondo, che non si sia ripetuto tra le centinaia di gruppi dell’ultra destra che prosperano tra i social e il deep web e i difensori senza se e senza ma delle vaccinazioni di massa. La questione, tuttavia, ha assunto tratti assolutamente peculiari per quanto riguarda il tanto atteso inizio delle vaccinazioni. 

Dopo mesi di una rigida e disciplinata quarantena, non accompagnata in maniera colpevole da una seria politica volta a identificare i focolai e isolarli, il paese sudamericano totalizza 1,8 milioni di casi e circa 46.000 morti. Di fronte al rischio di un secondo lockdown e all’impossibilità di offrire concreti ristori contraendo ulteriore debito, la strategia del governo di Alberto Fernández ha puntato tutto sulla vaccinazione di massa quale chiave per scongiurare nuove e insostenibili chiusure. Il fallimento delle trattative per l’acquisizione del vaccino cinese ha generato un piccolo terremoto nella casa rosada e ha portato alla rimozione d’urgenza del responsabile delle stesse, l’ex ambasciatore Luis María Kreckler. Sfumato per il momento l’accordo con la Cina, così come quello con Pfizer i cui costi si sono rivelati insostenibili, il governo di Buenos Aires ha rapidamente volto lo sguardo verso la Russia di Putin con la quale i governi peronisti dell’ultimo decennio hanno intelaiato saldissimi rapporti commerciali e politici. 

Così in dicembre, mentre in Europa veniva celebrato il Vaccine day in America Latina le prospettive a corto termine lasciavano poco sperare. Con l’eccezione del Cile e del Messico, che simbolicamente hanno scelto il 24 dicembre per cominciare a somministrare le scarse dosi raggranellate, l’accordo tra Buenos Aires e Mosca ha fatto tirare un sospiro di sollievo ad Alberto Fernández e all’esecutivo. 

El vuelo de la esperanza

A partire dal 10 dicembre, data ufficiale dell’accordo che prevede la fornitura di seicentomila dosi dello Sputnik V (che dovrebbero diventare 30 milioni entro fine marzo), l’opinione pubblica ha cominciato a confrontarsi su quel vaccino. In un paese in cui l’egemonia del modello occidentale è messa in discussione da diversi attori sociali che si interrogano circa la necessità di un’alternativa latina e meridiana rispetto ai dettami del primer mundo, l’annuncio dell’arrivo della vacuna rusa ha generato grandi aspettative. Alcune delle principali organizzazioni di base del peronismo, tra le quali la Patria Grande e la Cámpora hanno letto l’arrivo della Sputnik V come un ulteriore passo verso l’auspicato sfilamento dell’Argentina dall’influenza statunitense nell’America meridionale. I quattro anni della passivo-aggressiva politica estera di Trump verso l’America Latina, salvo nel caso del muro col Messico o dell’inasprimento dell’embargo contro Cuba e il Venezuela, hanno segnato un disimpegno Usa nella regione e una conseguente rincorsa tra Russia e Cina per riempire quell’inaspettato vuoto nel «giardino di casa». Nello spazio che si è aperto a partire dal disinteresse statunitense, paesi come l’Argentina hanno potuto esercitare una maggiore autonomia al momento di tessere rapporti con le potenze emergenti. In questo senso, ci indica chiaramente Buenos Aires, la scelta di legarsi ad Astrazeneca, Sinopharm o a Gamaleya non si misura solamente sul terreno dei numeri e dell’efficacia del vaccino, ma anche su quello della geopolitica e sul progetto dei nuovi equilibri internazionali che ci si aspetta per il post-pandemia. 

Attorno al vaccino russo, in un contesto di crescente polarizzazione, è stato ingaggiato uno scontro a base di slogan, simboli o – per dirla in altri termini – una battaglia tra immaginari contrapposti. I fan dello Sputnik leggono l’acquisto del vaccino russo come un passo decisivo verso l’autarchia del paese, speranza ricorrente per diverse generazioni di peronisti, mentre l’opinione pubblica liberal-conservatrice lo considera un ulteriore segno dell’allineamento col Venezuela e un disconoscimento della «naturale» collocazione dell’Argentina nel quadro atlantico. 

Nonostante le montanti polemiche, il 22 dicembre, accompagnato da una lunga maratona televisiva, un volo speciale di Aerolíneas Argentinas è atterrato a Buenos Aires con le prime dosi provenienti da Mosca. In molti hanno intravisto nella telecronaca televisiva andata in onda sul canale C5N gli altisonanti registi filmici di una sorta di corsa allo spazio in salsa latina. Il giornalista Víctor Hugo Morales non ha esitato nel definire quel volo come un «miracolo», un successo del governo in un giorno «che dovrebbe essere sacro», contro il quale si scagliano «menzogne e odio, i nemici della patria». Dello stesso avviso è stata anche la pagina web della Cámpora, che ha dato ampio spazio a quell’evento, ritratto secondo le consuete tonalità della retorica peronista: «È arrivato il volo che da Mosca porta la prima partita di vaccini che fanno sperare che presto finisca la pandemia. Il popolo anela la fine di questa tappa di incertezza e dolore e di dare inizio alla ricostruzione della Patria. Ma, a los mismos de siempre [ai soliti noti], come sempre accade, questo dà fastidio».

Tanto nel discorso di Morales come in quello della Cámpora è riverberato un elemento costitutivo della retorica peronista: l’idea che un «nemico interno» rappresentato dagli imprenditori, le destre e l’area che gravita attorno al partito Cambiemos, in questa come in altre occasioni, scommetta sul fallimento del progetto governativo, mirando alla destabilizzazione del Paese e all’infelicità del pueblo. Il copione non è nuovo e anzi, a ogni piè sospinto si ripete attraverso una fittizia polarizzazione nella quale è difficile mantenere un atteggiamento non manicheo. Chi critica le vaccinazioni o pone legittimi dubbi circa i suoi effetti collaterali o la poca trasparenza negli esperimenti che hanno portato all’approvazione del Sputnik è additato come un vendepatria, un nemico del popolo, chi al contrario sostiene le ragioni che hanno portato all’accordo con Putin è accusato di fare gli interessi della Russia e di voler trasformare l’Argentina in una base di una non bene specificata novella Unione Sovietica. Non stupisce che il giornale Clarín abbia dato ampissimo spazio alla notizia – per il momento non confermata – dell’installazione di una base militare russa lasciando intendere che, come leggiamo tra i commenti dei lettori, «il vaccino, evidentemente, non è gratis». 

In questa gincana di accuse tra le parti spiccano le dichiarazioni dell’esponente di punta della Coalición Cívica, Elisa Carrió che non ha esitato a definire il volo di Aerolíneas come un «volo della dittatura», tracciando un’insolita analogia coi voli della morte del regime militare, oppure l’ex ministra degli interni del governo di Macri, Patricia Bullrich che ha sollevato il dubbio che dietro l’accordo per il vaccino si celi un patto corruttivo internazionale che vedrebbe implicati l’ex presidenta Cristina Kirchner e nientepopodimeno che Putin. Al di là dei dubbi sollevati dalla destra, il mero confronto con quanto accade nel resto della regione pone in evidenza la natura pretestuosa delle critiche. A oggi l’Argentina ha vaccinato lo 0,64% della sua popolazione, contro lo 0,33 del Cile e lo 0,48 del Messico. Nel Brasile di Bolsonaro solo all’ultimo momento, dopo un anno teso tra negazionismo e messianismo, si è cominciato a far vaccinare alla spicciolata il personale medico mentre la situazione non è migliore in paesi come Paraguay, Bolivia, Perù e Colombia che non hanno somministrato nemmeno una dose. Questi dati, dunque, dimostrando che la scelta di Buenos Aires sì, è parte di una visione geopolitica, ma che è anche fermamente ancorata su uno zoccolo di pragmatismo.

La tempesta perfetta sull’Argentina

Andando oltre la retorica peronista e le pressanti dichiarazioni di una destra che più volte ha corteggiato e incoraggiato le tendenze negazioniste e revansciste di una parte della cittadinanza, un dato di fatto è che l’esecutivo sembra non godere della forza sufficiente per andare fino in fondo col programma col quale Fernández ha vinto le elezioni nel 2019. Uno dei sintomi di questa debolezza è stato lo scontro tra la fine di dicembre del 2020 e il gennaio del ‘21 tra il governo e i produttori agricoli. Alberto Fernández, nel contesto di una crescita esponenziale della povertà e di una progressiva difficoltà della popolazione più fragile di accedere a pasti regolari ha imposto ai produttori di mais una sospensione delle esportazioni motivandola con la necessità di calmierare i prezzi fuori controllo dei generi alimentari. Gli agrari riuniti nelle confederazioni padronali, che trovano più conveniente vendere i propri prodotti all’estero che destinarli al mercato locale, hanno risposto con una serrata e una campagna sui principali media conservatori che ha fatto temere un revival dello storico scontro tra Cristina Kirchner e i latifondisti nel 2008. Oggi come allora i produttori di soia, grano e carne, praticamente l’unica fonte di ingresso di divise pregiate nel paese, l’hanno spuntata ricordando alla casa rosada che, senza le esportazioni, il governo non avrebbe con ché finanziare l’elefantiaca spesa pubblica. L’esecutivo è stato messo con le spalle al muro in poco tempo e le altisonanti dichiarazioni circa la soberanía alimentaria che avevano accompagnato la decisione di applicare restrizioni sulle esportazioni sono state cassate. 

Il dato politico più rilevante è che la narrazione epica con la quale è stata raccontata la lunga quarantena e l’inizio delle vaccinazioni non è più sufficiente per continuare a chiedere agli argentini di pazientare ancora. L’impossibilità di tenere a freno i prezzi, di far rispettare quarantene selettive, di testare i nuovi casi e di dare una risposta concreta a chi ha perso il lavoro sono sotto gli occhi di tutti. A questi problemi che appaiono di difficile soluzione nel breve termine si aggiunge poi la strategia sempre più decisa della destra di Cambiemos. Durante la quarantena essa ha subito una mutazione e i registri pacati che ne avevano fatto un «modello» per i liberali dell’America Latina sono scomparsi. Al loro posto hanno fatto capolino agli slogan rabbiosi contro l’infectadura, le manifestazioni no-vax e la strategia da golpe blando. Il 7 gennaio, mentre erano in discussione misure per scongiurare la seconda ondata alcuni deputati di Cambiemos hanno firmato una lettera con la quale rifiutavano qualsiasi tipo chiusura in nome della «costituzione e del rispetto dei diritti umani». Questi argomenti, nonostante siano difficili da seguire fosse anche solo dal punto di vista logico, fanno sempre più breccia su una classe media disorientata che guarda con incertezza al futuro e si afferra al mito di un’Argentina bianca, urbana e ordinata. 

La situazione, tuttavia, non sembra destinata a deflagare nelle prossime settimane anche per il provvidenziale inizio dell’estate che, accompagnato da una flessione dei nuovi casi, ha mandato in villeggiatura anche gli impellenti problemi del paese. In marzo, tuttavia, quando comincerà l’autunno, essi si ripresenteranno con maggiore urgenza preannunciando un difficile 2021.  

*Camillo Robertini è uno storico italiano, ricercatore e docente presso l’Instituto de Estudios Internacionales dell’Universidad de Chile. È autore per Le Monnier di Quando la Fiat parlava argentino. Una fabbrica italiana e i suoi operai nella Buenos Aires dei militari, (2019).

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Se pensate che in nome della fantomatica «cancel culture» qualcuno stia manipolando i libri dovreste leggere quanto scrive l'Associazione dei bibliotecari americani sulla campagna oscurantista in atto. Spoiler: non c'entra la sinistra
https://jacobinitalia.it/la-censura-viene-da-destra/

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30 Mar

Nel solo 2021 negli Stati uniti le macchine hanno causato circa quarantatremila morti per incidenti. Ma ormai le accettiamo in quanto sfortunato ma inevitabile costo della vita moderna
https://jacobinitalia.it/le-auto-distruggono-la-citta/

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29 Mar

Grazie anche a @JacobinItalia per la ripresa dell'intervista con @PabloIglesias per la rivista @ctxt_es su "Questa guerra non finisce in Ukraina", che per l'appunto è in corso di traduzione all'italiano. https://twitter.com/JacobinItalia/status/1641011347340025858

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29 Mar

La guerra definisce l'ambiente ideale per produrre nuovi fascismi e per cancellare ogni istanza di liberazione. Basterebbe questo per lottare per la «pace costituente» di cui parla Raúl Sánchez Cedillo con Pablo Iglesias
https://jacobinitalia.it/senza-rivolta-il-pacifismo-e-sconfitto/

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