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L’arroganza dei miliardari e il ponte di Rotterdam

Luke Savage 14 Febbraio 2022

In Olanda stavano per demolire un monumento storico solo perché era di intralcio al varo del nuovo superyacht di Jeff Bezos. Le proteste hanno bloccato il progetto

La scorsa settimana, diverse testate hanno dato la notizia terribile che la città olandese di Rotterdam stava pianificando di smantellare temporaneamente il suo storico ponte Koningshaven per consentire il passaggio del superyacht di proprietà del fondatore di Amazon Jeff Bezos. Anche per chi al di fuori dei Paesi Bassi non aveva mai sentito parlare del ponte o non conosceva il suo significato di monumento nazionale, la notizia è per forza di cose emblematica: un pezzo storico di infrastruttura pubblica viene destinato alla demolizione per far posto a un vistoso e miliardario mezzo da diporto di proprietà del secondo uomo più ricco del mondo. Le vignette di satira politica praticamente si disegnano da sole.

Rotterdam, per quel che vale, di fronte alla protesta pubblica sembra essersi ricreduta. Riassumendo il senso dell’opposizione allo smantellamento, la saggista Siebe Thissen ha detto al New York Times:

È un monumento. È l’identità di Rotterdam. Penso che sia per questo che c’è così tanto trambusto su Jeff Bezos e la sua barca. La gente dice: «Perché proprio a lui?». Siamo in una città con una presenza di classe operaia e tutti sanno che Jeff Bezos, ovviamente, sfrutta i suoi lavoratori, quindi la gente dice: «Perché questo tizio dovrebbe avere la facoltà di demolire il ponte per la sua barca?»

Migliaia di cittadini olandesi nel frattempo avevano minacciato di colpire la barca con uova marce se il progetto originale dell’amministrazione fosse andato in porto. Quel piano ora sembra essere nel limbo, ma non è chiaro in che modo Bezos intenda portare il suo superyacht – attualmente in costruzione nei Paesi Bassi – in mare aperto, o cos’altro potrebbe dover essere smantellato alla bisogna. Allo stato attuale, tuttavia, i residenti di Rotterdam si sono opposti alla demolizione del ponte e sembrano aver conseguito una vittoria piccola ma concreta della democrazia locale contro uno dei simboli più smaccati del capitalismo globale.

Tuttavia, l’intero episodio è una buona occasione per riaffermare la semplice causa democratica contro il permesso a chiunque di accumulare miliardi di dollari, per non parlare dei quasi 200 miliardi attualmente dichiarati da Jeff Bezos. Sebbene gli apologeti di destra della ricchezza estrema abbiano subito tacciato di «invidia» i critici, Bezos è un caso di studio particolarmente illuminante di quale effettivamente debba essere il punto di vista della sinistra.

Essere un miliardario, dopotutto, non ti dà solo la possibilità di acquistare prodotti di lusso, proprietà costose e un eccesso di «cose». Una ricchezza così grande si traduce inevitabilmente in potere: portare avanti (o aiutare a contrastare) particolari scelte politiche; influenzare o controllare importanti decisioni di investimento; oltrepassare i confini nazionali allo scopo di evitare le tasse; perseguire hobby al prezzo di minacciare i monumenti nazionali e le infrastrutture storiche; possedere grandi porzioni dell’economia mondiale; piegare letteralmente la società attorno ai propri desideri, bisogni e interessi.

Nel caso di Bezos, possedere una partecipazione del 10% nella più grande azienda del mondo comporta anche la pretesa di manipolare la vita di milioni di suoi simili. Come scrive Grace Blakeley:

[Bezos] può influenzare il salario fissato da Amazon, che determina i redditi di milioni di persone in tutto il mondo. Può dare forma alle decisioni di investimento dell’azienda, il che non solo determina quanti posti di lavoro verranno creati nell’economia, ma anche i tipi di beni, servizi e tecnologie che probabilmente verranno sviluppati nei prossimi anni. Può contribuire a tutta una serie di decisioni che hanno un enorme impatto sul resto della società, dall’impronta ambientale dell’azienda alla responsabilità fiscale in generale.

Resistere a un ordine economico che consente a pochissimi di accumulare così tanto potere non ha quindi nulla a che fare con l’invidia e tutto con la democrazia. Nel ventunesimo secolo, rischiamo di far regnare il potere transnazionale dei super-ricchi globali e lasciare che – letteralmente e metaforicamente – demoliscano quel che rimane della sfera pubblica, dei beni comuni e delle forme democratiche.

*Luke Savage è redattore di JacobinMag, da cui è tratto questo articolo. La traduzione è a cura della redazione

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