Le false soluzioni della Cop 16
La conferenza delle Nazioni unite a Cali, in Colombia, rappresenta un’altra occasione persa: anche la biodiversità va in mano ai mercati
Si è conclusa a Cali, in Colombia, la Cop 16, la Conferenza delle Nazioni Unite per la protezione della biodiversità. Dal 21 ottobre al 1 novembre i delegati di 150 paesi hanno discusso delle azioni da mettere in campo per l’implementazione dell’Accordo Kunming-Montreal firmato nel 2022 in Canada alla Cop15.
Rosina Bierbaum, presidente del Gruppo Scientifico e consultivo del Fondo mondiale per l’ambiente (Gef), ha dichiarato nell’evento di apertura dell’Alto Segmento della Cop16, che per raggiungere l’Obiettivo 18 del Global Biodiversity Framework, i paesi devono eliminare o riformare i sussidi dannosi per almeno 500 miliardi di dollari all’anno e incrementare i finanziamenti per la protezione della biodiversità. Nel suo discorso di apertura, Barry Gardiner, membro del Parlamento britannico, ha affrontato il ruolo dell’incoerenza politica nel perpetuare sussidi dannosi, affermando che «usiamo la natura perché ha un valore», e «abusiamo della natura perché è gratis». Osservando che «non possiamo continuare a prendere tutto, ovunque, tutto in una volta, in terra e in mare».
I discorsi dei capi di Stato, dei ministri e dei delegati dei 150 paesi che si sono riuniti nella Zona Azzurra, nello spazio eventi Valle del Pacifcio a Cali, sembrano andare tutti nella giusta direzione: fine ai finanziamenti dannosi, pace con la natura, riconoscimento dei saperi locali, allineamento dei piani nazionali per la difesa della biodiversità e del clima. Tuttavia, questa sicurezza nel saper cosa fare e come farlo, nasconde grandi interessi e il perpetuarsi delle false soluzioni denunciate dai movimenti internazionali. Lo dimostra un documento finale vago, con impegni non vincolanti, e spazio aperto ai mercati per agire guardando alla mercificazione della natura. Di fronte alle enunciazioni altisonanti, rimane il business as usual di governi e imprese interessate a cercare nuove fette di mercato su cui portare avanti iniziative speculative.
La Cop della gente
D’altra parte, nel centro della città di Cali, quasi un milione di persone ha preso parte agli eventi organizzati nella Zona Verde, uno spazio dedicato ad attività culturali e accademiche per il pubblico. Qui movimenti indigeni, organizzazioni sociali e mondo accademico hanno organizzato una fitta agenda di incontri per discutere con sguardo critico dei temi della Cop16.
Se il bilancio finale del vertice può dirsi fallimentare, per il paese colombiano questo è stato innegabilmente un momento storico, con un partecipazione senza precedenti. Secondo le parole della Presidente della Cop e Ministra dell’Ambiente colombiana Susana Muhammad,«la Cop16 è stata un evento trasformativo, che ha segnato una pietra miliare nell’educazione e nella mobilitazione della società colombiana. Vedere così tante persone, provenienti da tutte le regioni del paese, entusiaste e impegnate per la biodiversità, dimostra l’impatto di questo vertice».
Passi avanti nel riconoscimento dei popoli indigeni
Un passo avanti (forse l’unico) realizzato nell’ambito della Cop ufficiale grazie alla pressione e al lavoro delle organizzazioni indigene, riguarda l’approvazione dell’istituzione di un gruppo di lavoro (Organo Sussidiario) per l’attuazione delle disposizioni dell’Articolo 8J della Convenzione sulla Diversità Biologica che riconosce e protegge le conoscenze tradizionali delle comunità indigene e afro discendenti rilevanti per la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità, promuovendo la loro partecipazione equa e il rispetto dei loro diritti.
Questo organismo si aggiunge ai due già esistenti: l’Organo Sussidiario di Consulenza Scientifica, Tecnica e Tecnologica, che effettua la valutazione dello stato della biodiversità e affronta altre questioni tecniche; e l’Organo Sussidiario di Attuazione, che ha il compito di formulare raccomandazioni alla Conferenza sugli aspetti tecnici e scientifici dell’attuazione della Convenzione. «È un’occasione senza precedenti nella storia degli accordi multilaterali sulla biodiversità. I popoli indigeni e le comunità locali hanno fatto una lunga strada per ottenere questo risultato, che riconosce i nostri sistemi di conoscenza e cura della vita e della biodiversità» ha dichiarato Camila Paz Romero, portavoce dei popoli indigeni durante la plenaria.
Una Cop senza Fondo Globale ma nelle mire della finanza
Di soldi si è parlato molto dentro e fuori i negoziati. Tra gli accordi economici chiusi in queste giornate vi è l’approvazione del Fondo di Cali, che raccoglierà fondi dalle aziende farmaceutiche e cosmetiche da redistribuire tra i paesi con l’obiettivo di garantire che i profitti e i benefici delle risorse genetiche siano condivisi. La proposta è che almeno metà di questo fondo sia utilizzato per progetti di sostegno ai popoli indigeni. Un risultato microscopico a fronte del mancato e chiaro impegno delle Parti a contribuire al Fondo Globale per la Biodiversità, Fondo a cui dovrebbero andare, con modalità non vincolanti, 20 miliardi di aiuti all’anno nel 2025 e 30 miliardi nel 2030, a fronte dei 700 necessari come ricorda il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep).
Le questioni più dibattute sembrano riguardare l’ammontare dei fondi da stanziare e i soggetti responsabili della loro gestione, su cui non è stato raggiunto un consenso. D’altronde parlare di fondi e di gestione finanziaria significa consegnare le soluzioni per la protezione della biodiversità ai mercati, senza comprendere che alcune delle politiche di protezione sono già in atto, per esempio da comunità locali e popoli indigeni che non necessitano di fondi, ma solo di essere libere di governare i propri territori in autonomia e di porre fine a progetti speculativi ed estrattivi.
In sordina sono entrate a far parte del lessico della Cop 16 espressioni come crediti di biodiversità e cancellazione del debito per scambio di crediti verdi, operazione di lobby delle quasi tremila imprese che hanno partecipato al vertice.
La notizia dell’emissione del primo credito di biodiversità di 50 milioni di euro da parte della Colombia (il secondo a livello globale) ha confermato che oltre a essere la Cop della gente, come è stata definita dalla Ministra Susana Muhammad, questa è anche la Cop di banche e istituti di credito.
Non stupisce che anche la presenza italiana sia connotata da importanti interessi aziendali, e lo dimostra la presentazione alla Cop16 del primo «Rapporto su biodiversità e settore privato in Italia» realizzato dalla società di consulenza ambientale Etifor, in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova. Secondo il report, le direttive europee, come la Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive) di recente approvazione, richiedono alle aziende di adattare le proprie strategie per monitorare e rendicontare aspetti legati alla sostenibilità, inclusa la biodiversità. E sempre secondo le realtà promotrici «tali normative rappresentano un’importante opportunità: le aziende che si adeguano rapidamente possono migliorare la loro competitività, accedere a nuovi mercati e rafforzare la reputazione». Il report evidenzia che in Italia saranno circa 4.000 le imprese obbligate alla rendicontazione dalla normativa, ma ci sarà un effetto a cascata su tutte le Pmi.
Le minacce tecnologiche
Secondo molte organizzazioni, lo sviluppo di nuove soluzioni di ingegneria genetica discusse alla Cop, avrebbero potenzialmente un impatto molto negativo sulla biodiversità.
In una risoluzione sulla biologia sintetica all’interno del gruppo di lavoro sul Dsi (Digital Sequence Information, informazioni digitali sulle sequenze genetiche), si parla della possibilità di creare microrganismi che non esistono in natura o utilizzare strumenti come i gene drive. I gene drive possono potenzialmente influenzare le popolazioni selvatiche di specie naturali e causare massicci cambiamenti genetici in intere popolazioni di una specie o la loro estinzione mirata, con la giustificazione di vantaggi economici in un caso o per eliminare vettori biologici di malattie contagiose nell’altro.
La risoluzione inoltre ha confermato l’interesse sulle iniziative di biologia sintetica come opportunità per le parti e ha eliminato una serie di garanzie fondamentali tra cui la richiesta di costituire un gruppo di lavoro multidisciplinare e indipendente (non solo tecnologico) per il monitoraggio dell’applicazione della risoluzione stessa.
*Laura Greco, antropologa e attivista, Presidente e fondatrice di A Sud e del Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali
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