Le frodi elettorali bipartisan
Donald Trump delira sui presunti brogli che gli avrebbero fatto perdere le presidenziali, ma il giornalista Greg Palast da vent'anni denuncia frodi compiute sia dai Repubblicani che dai Democratici, come mostra tra l'altro il caso Georgia
Le accuse di Donald Trump al Partito democratico di avere rubato le elezioni hanno portato alla ribalta l’argomento delle frodi elettorali di cui generalmente i media mainstream non si occupano volentieri, poiché in un modo o nell’altro coinvolgono entrambi i partiti. Se il Partito repubblicano ne è artefice a livello nazionale contro i Democratici, a dispetto delle affermazioni di Trump, i Democratici le praticano spesso nelle primarie a danno dei candidati progressisti.
In tempi recenti la situazione ha toccato i picchi assoluti contro Bernie Sanders, non solo nel 2016 ma anche in questo strano 2020 in cui il colpo mortale a Bernie Sanders, legalmente inferto due giorni prima del supertuesdy del 3 marzo con il forzato ritiro dalla corsa presidenziale di Pete Buttigieg e Amy Klobuchar, è stato comunque supportato da soppressioni di voti.
Le ventennali indagini di Greg Palast sui brogli elettorali
«Frodi di massa sono state commesse contro gli elettori, soprattutto elettori di colore e giovani. È una cosa di cui in America non si parla. Trump è matto come un cavallo perché vuole ribaltare i risultati delle elezioni, ma ciò non significa che la popolazione in America non venga imbrogliata. Si preferisce usare l’espressione educata soppressione di voti, ma di fatto se qualcuno ti ruba l’auto non dici che la tua auto è stata soppressa. Sono veri e propri furti, ne abbiamo avuti in abbondanza e tutto è cominciato in Georgia».
La citazione è tratta da una recente intervista rilasciata al sito di informazione indipendente Status Coup da Greg Palast (1952), giornalista investigativo, documentarista, attivista e probabilmente la massima autorità in campo di frodi elettorali a stelle e strisce, di cui si occupa da oltre vent’anni, dopo aver lavorato nella prima parte della sua carriera come detective nel campo delle frodi delle corporation.
Poiché i media statunitensi non erano interessati a scoperchiare il vaso di Pandora elettorale, Palast ha per diversi anni condotto le sue indagini giornalistiche, a partire dal caso della sfida presidenziale tra Al Gore e George W. Bush del 2000, per i giornali britannici Guardian e Bbc Newsnight per poi approdare anche a testate statunitensi come Rolling Stone, Salon e all’estero ad Al Jazeera. Palast ha inoltre istituito un’organizzazione che da anni individua elettori in regola proditoriamente cancellati dalle liste elettorali, avvisando tutti coloro che riesce a raggiungere, e pubblicandone i dati anagrafici stato per stato sul sito Save My Vote, dando modo agli elettori di controllare la propria registrazione. Le cause da lui intentate e vinte contro i responsabili delle epurazioni in diversi stati hanno portato negli anni al reintegro di centinaia di migliaia di persone, senza però eliminare il problema che continua a coinvolgere milioni di elettori, poiché metodi sempre nuovi vengono escogitati per prevenire voti indesiderati. Ultimo è l’espediente, che riportiamo in chiusura, escogitato in Georgia per ostacolare il voto giovanile e afroamericano nel ballottaggio del prossimo 5 gennaio, evento che in questo momento rende la Georgia lo stato più importante degli Stati uniti.
Il caso della Georgia
Il recente riconteggio dei circa 5 milioni di voti presidenziali della Georgia (in effetti un audit, ossia una verifica, e non un vero e proprio recount, poiché è iniziato prima della fine del conteggio ufficiale, anche se nella sostanza le cose non cambiano) ha visto riconfermare ufficialmente la vittoria di Joe Biden. Sebbene lo scarto su Donald Trump sia minimo e sia oltretutto passato nell’audit dallo 0,3% allo 0,2%, la vittoria di un Democratico alle presidenziali non avveniva dai tempi di Bill Clinton.
Ma il vero segno del cambiamento è rappresentato dal ricorso ai ballottaggi, in quanto i due senatori David Perdue e Kelly Loeffler, entrambi di estrema destra, non hanno raggiunto il 50% dei voti necessario per battere gli sfidanti Democratici Jon Osoff e Raphael Wornock. La maggioranza assoluta è infatti indispensabile in Georgia a causa di una legge «creata negli anni Sessanta – spiega il New York Times – per preservare il potere politico bianco». Il suo conseguimento consente infatti di «diminuire l’influenza dei politici neri che potrebbero vincere più facilmente in una competizione multirazziale a maggioranza relativa».
Quel che rende ancor più particolare la situazione è che tocchi proprio a una roccaforte del suprematismo bianco come la Georgia determinare la composizione del Senato nei prossimi due anni, essendo il computo aggiornato dei 100 senatori di 50 a 48 a favore dei Repubblicani, contando nei 48 Democratici anche i due senatori indipendenti Bernie Sanders e Angus King. La vittoria dei due sfidanti Democratici porterebbe dunque a una situazione di parità, in cui il voto della vicepresidente Kamala Harris potrebbe fare da ago della bilancia.
Lo sfidante di David Perdue è Jon Osoff, classe 1987, che in un’intervista a risposte secche si è dichiarato contrario al Green New Deal, al Medicare for All, all’abolizione dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement), al definanziamento della polizia e all’espansione della Corte Suprema, che con le nomine di Trump di Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett, ha ora una maggioranza conservatrice di sei a tre. Se eletto, Osoff si aggiungerà dunque a quella folta schiera di Democratici che amano flirtare con i Repubblicani. Seppur non socialista democratico, Raphael Wornock è invece molto più vicino alle posizioni di Bernie Sanders, che infatti gli ha dato un endorsement molto più caloroso di quello dato per dovere a Osoff. Se eletto, il reverendo Warnock, che da anni si batte con Stacey Abrams per i diritti civili dei neri, diventerebbe il primo senatore nero della Georgia, la cui popolazione è recentemente passata da maggioranza bianca a maggioranza nera. Se un’eventuale parità in senato potrà dunque essere una buona cosa, quanto a una sostanziale differenza politica rispetto al controllo di Wall Street sulle decisioni congressuali a favore della gente comune c’è poco da sperare. Sia perché Joe Manchin, il più Repubblicano tra i senatori Democratici, ha apertamente dichiarato in interviste su Fox News che ci penserà lui a portare gli eventuali 50 voti Democratici a 49, sia perché la compromissione di moltissimi politici Democratici con i loro finanziatori li porta spesso a votare insieme ai Repubblicani, sia per la stessa composizione della futura squadra di governo di Biden.
Palast vanta una lunga storia di denuncia dei metodi elettorali della Georgia e in particolare contro Brian Kemp, segretario di stato dal 2010 fino alla vittoria nel 2018 della carica di governatore, ottenuta defraudando l’afroamericana Stacey Abrams. Infischiandosi del conflitto di interessi e di qualsiasi forma di decenza, l’arrogante personaggio, tipico esponente da Ku Klux Klan (come si evince anche dallo sconvolgente video di Greg Palast How to steal Georgia in 7 minutes realizzato prima del voto del 2018) ha condotto la propria campagna elettorale non dimettendosi dalla carica di segretario di stato, che dà a chi la ricopre poteri praticamente assoluti nelle decisioni elettorali. Tra queste la facoltà di modificare le regole relative al voto anticipato, voto per posta, numero e ubicazione dei seggi da chiudere, sistema di registrazione e via di seguito, tutte cose che Kemp avrebbe messo in atto a proprio vantaggio collateralmente all’enorme epurazione di massa condotta attraverso metodi più sofisticati denunciati da Palast.
Le purghe repubblicane del sistema interstate cross-checking
Ho avuto modo di sentire Greg Palast a Filadelfia quattro anni fa, precisamente il 27 luglio 2016 subito dopo la proclamazione della vittoria di Hillary Clinton alle primarie. Sul palco e dai megascreen del F.D. Roosevelt Park, quartier generale delle migliaia di sostenitori di Sanders giunti da ogni angolo degli Usa nella settimana della Convention democratica, Greg Palast presentava in anteprima il suo ultimo film The Best Democracy Money Can Buy: a Tale of Billionaires & Ballot Bandits. Il documentario e l’omonimo libro, che includevano le scoperte dell’inchiesta condotta da Palast e da Robert F. Kennedy jr. per il reportage di Rolling Stone The Gop stealth war against voters (La guerra segreta del Grand Old Party [i Repubblicani] contro gli elettori), illustrava la pratica dell’interstate cross-checking.
Il sistema partiva dall’individuazione di omonimie negli stati da sempre Repubblicani e in due swing states come l’Ohio e il North Carolina, per defraudare milioni di afroamericani, latini e asiatici del loro diritto di voto. Semplificando al massimo venivano presi di mira i nomi e cognomi più comuni tra le varie etnie e, non tenendo conto del secondo nome che in America quasi tutti hanno, né di distinzioni tra junior e senior e dei diversi indirizzi e/o città, gli omonimi sarebbero stati accusati di aver votato più volte e i loro voti annullati. Palast e Kennedy sono riusciti a individuare una lista di 7 milioni e duecentomila nominativi in procinto di essere cancellati su una stima effettuata di oltre 15 milioni di persone. I contenuti di quel libro sono riportati, corredati dagli aggiornamenti fino a quest’anno, anche in How Trump Stole 2020: the Hunt for America’s Vanishing Voters, l’ultimo libro di Palast uscito nel mese di luglio. Come ha detto l’autore stesso, il titolo voleva essere «un ammonimento, non una previsione, in modo che molta gente leggesse il libro. Ho marcato la differenze concludendo con la frase ‘They can’t steal all the votes all the time’ (non possono rubare tutti i voti ogni volta)».
Le frodi elettorali dei Democratici alle primarie
In quell’occasione Palast aveva allargato il discorso alle frodi nelle primarie Democratiche, di cui continua a occuparsi come attesta il recente pezzo per il Guardian California’s rules for independent party voters could suppress the Bernie vote, in cui denuncia come anche nel 2020 si sia replicato lo scherzetto giocato a Bernie Sanders nel 2016 dal segretario di stato californiano Alex Padilla, uno dei principali raccoglitori di fondi per Hillary Clinton e quest’anno per Joe Biden. Modificando le leggi californiane che prevedono una regolare registrazione come No Party Preference (Npp), Padilla nel 2016 annullò circa 2 milioni di voti obbligando gli ufficiali elettorali a consegnare agli Npp delle schede provvisorie, in seguito cestinate. Si trattava soprattutto di giovani, disse Palast a Filadelfia, trattati «come se si fossero improvvisamente trasformati tutti in elettori di colore». La replica di Padilla quest’anno non ha impedito a Bernie di vincere la California in quel fatidico supermartedì del 3 marzo, ma lo ha comunque privato di molti delegati.
Anche un’altra roccaforte del Partito democratico come lo stato di New York aveva nel 2016 eliminato centinaia di migliaia di voti, in particolare a Brooklyn, tanto che furono profetiche alcune frasi di Greg Palast: «Hillary sarà anche felice dei voti non contati in California e dei voti non contati a New York. Ma adesso saranno loro [i Repubblicani] a usare tutto ciò per rubare la vittoria a Hillary Rodham Clinton. Quindi Hillary, se adesso sei felice, preparati!».
Greg Palst, Stacey Abrams e Brian Kemp
Tornando alla Georgia, nel 2014 Palast riuscì a entrare in possesso di una lista segreta, custodita nel computer dell’ufficio del segretario di stato Brian Kemp, di 580.000 persone che stavano per essere epurate. La presentò a Stacey Abrams, allora leader di maggioranza della camera dello stato, e al reverendo Raphael Wornock, l’attuale sfidante di Kelly Loeffler, i quali rimasero sbalorditi, nonostante fossero attivi da molti anni nel campo del diritto di voto. Palast successivamente aiutò Stacey Abrams a fondare Fair Fight, un’organizzazione che da allora svolge un incredibile lavoro capillare sul territorio della Georgia, sempre in sinergia con le indagini di Palast e con altre associazioni ora in prima linea come Black Voters Matter.
La questione Georgia esplose poi a livello nazionale nel 2018 per la competizione governatoriale, dopo la quale Stacey Abrams intentò causa a Brian Kemp, ma senza successo. In quell’occasione anche le tv mainstream invitarono Greg Palast, che aveva denunciato una nuova frode su larga scala su Rolling Stone nel già citato articolo The GOP’s Stealth war Against Voters e nel video How to Steal Georgia in 7 Minutes.
Il punto di forza dell’epurazione ipotizzata da Palast consisteva in un formulario inviato col pretesto di controllare se i destinatari continuassero a risiedere ai loro indirizzi e la scusa paradossalmente era proprio di impedire le frodi elettorali. Apparentemente simile a quelle junk mail che di solito si buttano via senza neanche aprirle e inviato ai residenti dei quartieri più poveri e di colore, quel formulario, talmente pieno di tranelli e ambiguità che compilarlo «correttamente» era impossibile, andava compilato e restituito pena l’inconsapevole cancellazione dalle liste elettorali. Palast e il suo team coinvolsero allora sia il servizio postale, cosa che negli Usa è possibile fare, sia degli esperti informatici per incrociare i dati personali in possesso di centinaia di compagnie come Amazon, Google, Ebay eccetera. Il controllo di ogni singolo nominativo evidenziò che oltre 340.000 presunti traslocati continuavano in realtà a vivere allo stesso indirizzo. Sebbene le ripetute denunce a Kemp lo avessero costretto a reintegrare molti elettori, la proporzione fu tale da farlo eleggere governatore. Colpisce guardare il cortometraggio di 14 minuti The Purged: The Vanished Voters of Trump’s America che Palast realizzò dopo le elezioni del 2018, nel quale compare anche la novantaduenne Christine Jordan, cugina di Martin Luther King jr. Dopo aver votato nello stesso seggio di Atlanta dal 1968, ossia da quando la legge sui diritti civili approvata da Lyndon Johnson glielo aveva consentito, nel 2018 Christine si vide respingere dal seggio perché avrebbe cambiato residenza.
Gli ultimi stratagemmi Repubblicani in attesa del ballottaggio
Nell’intervista a Status Coup Palast ha denunciato anche un altro metodo di frode adottato soprattutto ai danni degli studenti dei campus universitari di diverse città non solo della Georgia, campus che spesso hanno una popolazione studentesca simile a quella di una cittadina statunitense media. Il metodo, messo in atto anche dal Partito democratico nelle primarie per penalizzare il giovane elettorato progressista, consisteva nel non considerare validi per la registrazione al voto nei campus né il tesserino universitario né la patente di guida rilasciata dallo stato di residenza, laddove il documento di guida ha invece piena validità, ad esempio, per l’acquisto di armi. La trafila, o meglio la lotta, per riuscire a registrarsi è così lunga e complicata da scoraggiare moltissimi studenti.
Intanto la bagarre in Georgia è in pieno svolgimento e non solo tra Democratici e Repubblicani, ma anche all’interno del Partito repubblicano. Le pretese di Trump di aver vinto le elezioni, che infiamma la base e permette al presidente in bancarotta di raccogliere fondi, si scontra infatti con le accuse che Trump rivolge persino a Brian Kemp e al segretario di stato Brad Raffensperger per aver ufficializzato la vittoria di Biden. La situazione è tale che ultimamente i titoli di diversi siti indipendenti ironizzano sul fatto che il mostro (Kemp) si sia ribellato al suo creatore (Trump). In effetti la vicenda è molto più complicata che in Frankenstein, poiché i personaggi di giorno in giorno coinvolti nella faida sono sempre di più. L’ultimo a entrare in scena per cercare di convincere ad andare alle urne i fanatici di Donald Trump, che ritengono inutile il ballottaggio perché le elezioni sarebbero truccate, è il primogenito Donald Trump Jr. Infine, come anticipato in apertura, l’ultima trovata del segretario di Stato della Georgia Brad Raffensperger e denunciata da Palast in Georgia tries to block new voters ahead of runoff: il provvedimento, preso alla mezzanotte del 22 novembre e confermato sia in un’assemblea straordinaria del Board of Election indetta il mattino dopo alle 8, sia con l’approvazione del procuratore generale, neanche a dirlo Repubblicano, stabilisce che chi ha la necessità di registrarsi o di ri-registrarsi, debba dimostrare di possedere un’auto con licenza della Georgia. O meglio, fino alla deadline del 7 dicembre la registrazione è consentita anche a chi non possiede un’auto, tuttavia le pratiche resteranno in sospeso fino a udienze individuali che verranno date ai non-possessori di auto in data da destinarsi, presumibilmente anche dopo il 5 gennaio 2021. Sembra una barzelletta, invece è tutto vero.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue da tre anni la Political Revolution di Bernie Sanders.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.