Le incertezze del governo spagnolo e i suoi nemici
La coalizione di Pedro Sánchez è stata contraddittoria fin dall'inizio della diffusione del virus, subendo l'offensiva opportunista della destra e quella degli indipendentisti. Ora ha un consenso basso e nere prospettive da affrontare
In Spagna da lunedì 13 aprile hanno riaperto alcune attività economiche non essenziali, con raccomandazioni sanitarie e l’assicurazione, da parte del Governo, di distribuire 10 milioni di mascherine e realizzare 5 milioni di test rapidi. Dopo due settimane di chiusura quasi totale e un mese di quarantena, la scelta di riaprire parzialmente le attività lavorative è stata criticata dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (Oms) e segnala le incertezze di un Governo che prima ha esitato ad adottare misure stringenti contro la diffusione del Covid-19 e adesso sembra cedere alle pressioni delle organizzazioni imprenditoriali. La condotta dell’esecutivo composto da Psoe e Unidos Podemos è stata in effetti ondivaga, diviso al suo interno prima sul decretare lo stato d’allarme e poi sulle misure economiche da adottare. L’impressione è che nel Governo di Pedro Sánchez, sottoposto a una critica senza sosta da parte delle destre, le posizioni moderate della Ministra dell’Economia Nadia Calviño abbiano via via prevalso su quelle più orientate all’intervento pubblico sostenute dai ministri di Unidos Podemos (Up), per eccessiva lealtà o per debolezza di questi ultimi. L’ultimo fronte è proprio quello della riapertura delle attività non essenziali, che ha visto una contrarietà senza risultati della coalizione guidata da Pablo Iglesias.
La Spagna è il terzo paese al mondo per numero di contagiati e vittime. A fronte della diffusione del virus, il Governo e il Congresso dei Deputati hanno deciso di affrontare la pandemia attraverso la dichiarazione di stato di allarme, un regime eccezionale che limita i diritti costituzionali per quindici giorni rinnovabili e che assegna all’esecutivo poteri di limitazione della circolazione, requisizione e controllo di industrie. Come e più di altri paesi, la Spagna si appresta a vivere un’enorme distruzione della ricchezza nazionale e per alleviare questa situazione il Governo ha approvato per decreto misure economiche di notevole portata. Come l’Italia, ma in maniera più timida, ha chiesto alla comunità europea un impegno più attivo per fronteggiare gli effetti economici del virus; a differenza del nostro paese, invece, l’esecutivo è stato per lo più giudicato negativamente dai propri cittadini, sia per non aver saputo prevedere l’espansione del Coronavirus, sia per le misure adottate successivamente. Secondo un sondaggio dell’Instituto Dym, infatti, il 69,5% degli spagnoli ritiene che le misure di confinamento siano state imposte troppo tardi e il 58,9% che le stesse siano insufficienti.
La leggenda nera dell’8 marzo
L’accusa principale che viene mossa al Governo è di non aver saputo prevedere l’arrivo del virus mentre si diffondeva in Italia. Il caso che viene considerato dalle destre opportunisticamente come fattore responsabile della sua diffusione e del presunto lassismo dell’esecutivo, è l’autorizzazione allo svolgimento delle manifestazioni dell’8 marzo. Nonostante che nessun esponente politico nei giorni precedenti avesse invocato l’annullamento delle manifestazioni né l’applicazione di misure di confinamento, si è diffusa l’idea secondo cui le manifestazioni femministe sarebbero state fondamentali per la propagazione del virus e che il Governo avrebbe potuto impedirle. Si tratta di attacchi pretestuosi, portati avanti soprattutto dal partito d’estrema destra Vox, ma un’analisi distaccata porta comunque alla conclusione che il Governo (assieme alle altre istituzioni responsabili) abbia sottovalutato la pericolosità di Covid-19 nei giorni in cui seminava il panico in Italia.
Mentre la pandemia si diffondeva nel nostro paese e il Governo Conte aveva già preso misure drastiche come il cordone sanitario per isolare Codogno del 21 febbraio e la chiusura delle scuole e università del 4 marzo, in Spagna la stampa e la politica non consideravano la possibilità di adottare misure simili prima che il virus si diffondesse. Pablo Echenique, portavoce di Unidos Podemos, assicurava il 25 febbraio che «il Coronavirus in Spagna [era] assolutamente sotto controllo». L’indipendentismo catalano si riuniva il 29 febbraio a Perpignano per abbracciare Carles Puigdemont organizzando centinaia di pullman con una grande presenza di anziani. La Direzione Sanitaria di Madrid (a guida del Partito Popolare) assicurava il 5 marzo che il virus non poteva essere trasmesso dagli asintomatici. Ancora il 7 marzo, il Direttore del Centro di Coordinamento delle Emergenze, Fernando Simón, garantiva che non c’erano motivi per sospendere né le manifestazioni previste per il giorno seguente né altre iniziative con partecipazione di massa. Vox, infine, in sfregio alle raccomandazioni di evitare assembramenti in posti chiusi, riuniva 9 mila persone in una sala congressi di Madrid lo stesso 8 marzo. Le drastiche decisioni prese nel paese vicino venivano considerate «isteriche» mentre tanti italiani residenti nel paese iberico erano quasi gli unici a paventare il rischio di un disastro.
Per capire come gli spagnoli si siano risvegliati il 9 marzo basta fare un confronto tra la prima pagina di un giornale progressista dell’8 marzo alle 23 e quella dello stesso la mattina successiva. Se nel primo caso i primi dieci articoli erano dedicati alle partecipate manifestazioni femministe, l’esplosione di casi registrata il giorno precedente hanno fatto cambiare del tutto le priorità dello stesso giornale poche ore dopo, facendo sparire la cronaca dell’8 marzo dalle parti alte dell’home page e concentrandosi principalmente sulla diffusione del Covid-19. Nella settimana tra il lunedì e il venerdì la Spagna è caduta nella paura, convincendosi poco a poco che sarebbe stato necessario adottare misure simili a quelle italiane. Il fatto che sia stata decretata la quarantena quando si erano registrati solo 288 morti però non è stata vista come una prova di prontezza del Governo da parte della popolazione, che pensa oggi che siano stati persi 10 giorni essenziali per limitare i danni.
Le misure anticrisi
Pedro Sánchez si è affacciato agli schermi spagnoli la sera di venerdì 13 marzo con viso tirato e un’espressione mai così buia. Dopo un Consiglio dei Ministri di sette ore annunciava lo stato d’allarme e faceva appello all’unità del popolo spagnolo per fronteggiare le difficoltà. Le cronache giornalistiche hanno da subito raccontato di una spaccatura interna al governo, trasversale ai partiti. Le Ministre dell’Economia e delle Finanze, Nadia Calviño e María Jesús Montero, erano contrarie sia alla quarantena che alle misure economiche espansive, dimostrando poca percezione della gravità della situazione. Al contrario, i ministri di Up e alcuni dei socialisti come il Ministro dei Trasporti, come Luís Ábalos, hanno fatto pendere la bilancia verso misure simili a quelle prese in Italia e incoraggiate dall’Oms, ma consentendo ancora lo svolgimento di molte attività lavorative. Solo l’aumento esponenziale delle vittime e dei contagiati hanno fatto decidere il governo di decretare giorni dopo la chiusura di tutte le attività lavorative non essenziali, una scelta che ha visto l’opposizione frontale del Partito Popolare (Pp) e di Vox, per nulla interessate ad accogliere l’invito all’unità lanciato dal Presidente del Governo.
L’intervento economico dell’esecutivo è stato ingente per quanto non esente da critiche. Tra le altre cose sono stati sospesi i tagli di luce, acqua e gas e gli sfratti per le persone con maggiori vulnerabilità. Per tre mesi, poi, sono stati sospesi i pagamenti dei mutui così come i licenziamenti legati alla crisi del Coronavirus. Sono stati stanziati, inoltre, 600 milioni di euro per rafforzare i servizi sociali, incentivata le cassa integrazione e le linee di credito agevolate per le imprese mentre le lavoratrici domestiche riceveranno un contributo straordinario. A giorni dovrebbe essere approvato un reddito minimo temporale di 500 euro per gli individui con un reddito mensile inferiore ai 200 euro di durata trimestrale in attesa dell’attivazione di un reddito vitale permanente. Nonostante gli sforzi, comunque, non mancano le critiche: secondo il Sindacato degli Inquilini di Barcellona, il decreto del Governo spinge gli affittuari all’indebitamento. Le due deputate della Cup (partito della sinistra indipendentista catalana) ritengono, invece, che si sarebbe dovuto procedere a una sospensione dei pagamenti dei servizi essenziali come luce, acqua e gas e procedere a nazionalizzazioni. Chi, comunque, per ragioni opposte ha mostrato la completa contrarietà a queste misure e complessivamente a tutta la gestione della crisi da parte del Governo, è l’opposizione di destra.
I nemici del Governo rosso-viola
L’atteggiamento della destra spagnola è stato di sciacallaggio, irresponsabilità e diffusione di notizie false. Nonostante il primo decreto di dichiarazione di stato d’allerta sia stato votato anche da Partito popolare e Vox (ma quest’ultima non ha votato il terzo decreto di proroga), sin da subito i due partiti hanno dato all’esecutivo la responsabilità dei decessi e del quasi collasso del sistema sanitario, in un paese in cui la sanità è competenza esclusiva delle Comunità Autonome, anche in stato d’allerta. Il Governo è stato accusato da Pablo Casado, Presidente del Pp, di «negligenza», «ritardi» e addirittura, da parte della Presidentessa della Comunità di Madrid, di aver bloccato l’acquisto di materiale sanitario. E quando si è dovuti passare dalla solidarietà a parole ai fatti, il Pp e Vox hanno votato contro le misure sociali approvate dal Governo. D’altronde Casado, da buon allievo dell’ex presidente José María Aznar, è stato chiaro sul futuro: meno tasse e nessun investimento particolare verso la sanità pubblica. La linea della destra, insomma, è quella di sempre. Il Partito Popolare ha, comunque, seguito la linea tracciata da Vox, che con una sapiente campagna virale ha intossicato e radicalizzato il dibattito pubblico. Il partito di Santiago Abascal ha diffuso alacremente bufale soprattutto attraverso WhatsUp e Twitter, tra cui soprattutto quella secondo cui il Governo «socialcomunista» avrebbe nascosto agli spagnoli la verità sul Coronavirus per settimane prima di decretare lo stato d’allarme, il tutto per consentire la manifestazione dell’8 marzo, dando alito, quindi, a una reazione che va ben oltre le questioni sanitarie ma che prende spunto dal machismo profondo di una parte della società spagnola. La campagna ha avuto il suo effetto, anche se dopo settimane Twitter ha proceduto alla sospensione di 300 account legati alle campagne dell’estrema destra.
L’altro fronte politico che ha rifiutato l’invito all’unità e che ha attaccato su tutto il Governo di Pedro Sánchez, è quello del Governo catalano e delle forze che ne fanno parte, soprattutto la Junts per Catalunya. Il nazionalismo catalano ha vissuto molto male lo stato d’allarme (che pure ha accettato inizialmente votando a favore della promulgazione del decreto), la centralizzazione di competenze conseguente e la presenza di militari nella gestione della crisi. Soprattutto, è stata rispedita al mittente la richiesta di unità lanciata da Sánchez, tentando di politicizzare al massimo la questione. Dapprima da Bruxelles, Carles Puigdemont ha denunciato il «virus per tutti» che sarebbe stato diffuso dal Governo spagnolo. Poi, il giorno dopo, il Presidente della Generalitat, Quim Torra, si è rifiutato di firmare un documento di Governo e Comunità Autonome che impegnava a un coordinamento comune, denunciando un processo di centralizzazione in corso, continuando a chiedere il confinamento per la Catalogna anche dopo la dichiarazione di stato d’allarme e il confinamento nazionale. In seguito, proprio come da parte delle massime autorità della Comunità di Madrid (in mano al Pp), il Governo catalano ha diffuso notizie false o incomplete, come quella del sequestro di mascherine per inviarle a Madrid o, orrore, che studenti di medicina catalani sarebbero stati inviati nella capitale (la cui Comunità presenta 13mila casi più che la Catalogna). Infine, si è dedicata a parlare coi mezzi di comunicazione internazionali per denunciare le mancanze dell’esecutivo spagnolo e le virtù di quello catalano. La preoccupazione dell’indipendentismo è stata quella di non abbassare la tensione politica in una fase in cui il Covid-19 avrebbe potuto far pensare di trovarsi di fronte a un problema comune a tutti e rivendicare, ancora una volta, che la soluzione principale ai problemi sanitari e sociali che si attendono è l’indipendenza della Catalogna.
Il ruolo di Unidos Podemos
Unidos Podemos e il suo leader, Pablo Iglesias, hanno dovuto impegnarsi per conquistare uno spazio nel caminetto decisionale della crisi, riuscendoci solo in parte. Nessuno dei ministri facenti parte del gruppo di coordinamento (Salute, Interni, Difesa, Trasporti) sono membri della coalizione di Iglesias e la positività al virus di Irene Montero ha tolto un pilastro fondamentale all’area di sinistra del governo. Iglesias può dalla sua affermare di aver spinto a fondo per dichiarare la quarantena e per l’approvazione di alcune misure espansive che vedevano la contrarietà di Nadia Calviño, ex alta funzionaria della Commissione europea. Soprattutto è fondamentale il lavoro della Ministra del Lavoro, Yolanda Díaz, sindacalista e dirigente di Izquierda Unida, che ha disegnato le principali misure di protezione sociale per i lavoratori. Eppure sul fronte sanitario (la riapertura), su quello europeo (totalmente in mano a Calviño, che in parte ha mollato il fronte guidato dall’Italia) e su altre proposte strategiche inizialmente portate avanti da Iglesias (su tutte, la nazionalizzazione dell’industria elettrica), l’impressione è che Unidos Podemos incida molto poco e abbia perso alcune battaglie.
Sulla riapertura delle attività non essenziali il Governo e il paese si giocano moltissimo e, oltre a un’ulteriore sciagura umana, un nuovo aumento dei casi potrebbe generare il collasso del Governo. L’esecutivo catalano ha già avvisato che Sánchez ne sarebbe l’esclusivo responsabile mentre la destra si sfrega le mani in attesa del disastro pur avendo sostenuto la riapertura. Il mito dell’incapace governo «socialcomunista» responsabile di un massacro, è già in costruzione, con nere prospettive all’orizzonte.
*Nicola Tanno è laureato in Scienze Politiche e in Analisi Economica delle Istituzioni Internazionali presso l’Università Sapienza di Roma. Vive e lavora da anni a Barcellona.
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