Le primarie Usa virano a sinistra
Anche all'interno dello spettacolo mediatico, a cui il Partito democratico americano ha appaltato il dibattito tra i candidati alla Casa Bianca, è impossibile nascondere che a sinistra si sta muovendo qualcosa
Il dibattito televisivo di martedì sera verso le primarie ha mostrato le contraddizioni all’interno del Partito democratico americano nel modo più chiaro visto dall’inizio della campagna elettorale. Da un lato c’erano Bernie Sanders e Elizabeth Warren a difendere politiche redistributive ed espansive come il Medicare for All, il Green New Deal e la tassa sui super-ricchi. Dall’altro lato c’erano le cifre e le tabelle dei candidati centristi, capaci solo di ripetere indistinguibilmente lo stesso mantra: «no, non possiamo».
Nonostante i moderatori della serata abbiano fatto i salti mortali per dare peso a questi argomenti anemici e mediocri, la realtà è che niente nessuno ha potuto fermare le argomentazioni di Warren e Sanders. È ormai chiarissimo che l’energia e il dinamismo in queste primarie del Partito Democratico stanno da una parte sola: a sinistra.
Il dibattito è cominciato con una lunga discussione sulla politica sanitaria, che ha finito per diventare il binario lungo cui ha corso il discorso per tutto il resto della serata, poiché ha messo da subito Bernie e Liz contro tutti. I moderatori hanno riciclato stanchi argomenti contro il Medicare for All, battendo ancora una volta sull’idea che il piano comporterebbe un «innalzamento delle tasse della classe media», con l’idea bizzarra che l’elettorato preferisca dare i soldi alle compagnie di assicurazione piuttosto che al governo. Il candidato John Delaney ha rispondo sfoderando quella che evidentemente i centristi credevano essere la propria carta vincente: sostenere che il Medicare for All annullerebbe le prestazioni sanitarie offerte dai sindacati. Ma il fatto che si siano ributtati su questo argomento rivela in realtà quanto sia debole la loro posizione. Il tasso di sindacalizzazione negli Stati Uniti è di poco superiore al 10% e la stragrande maggioranza dei lavoratori non ha un piano sanitario sindacale. In effetti, negli ultimi dieci anni i repubblicani hanno mietuto non pochi successi con la loro strategia di generare risentimento nei confronti dei lavoratori sindacalizzati «garantiti». Ma Delaney e compagnia sembrano convinti che il modo per farsi strada verso la Casa Bianca sia continuare a sbandierare l’esistenza di questi privilegi in faccia al resto dei lavoratori, continuando a impedire che questi ultimi possano mai ottenerli. In molti, anche negli Stati Uniti, probabilmente non avranno mai sentito parlare di Delaney prima di questo dibattito, ma alla fine in pochi avranno avuto dubbi sul perché continui a correre per la presidenza nonostante secondo i sondaggi non superi il 2% dei voti.
Di fronte a questa ipocrisia Sanders e Warren non hanno avuto pietà. Warren ha fatto notare, giustamente, che chi usa lo spauracchio del Medicare for All che toglie le assicurazioni agli americani sta usando esattamente la strategia dei repubblicani. Sanders ha puntato alla giugulare: quando Delaney ha vantato la sua esperienza di dirigente sanitario, Sanders ha perso il controllo: «Forse l’hai fatto, e forse hai fatto soldi con l’assistenza sanitaria, ma il nostro lavoro non è fare soldi, ma gestire un sistema sanitario senza scopo di lucro». E dopo l’ennesima ridicola domanda sulle tasse da parte dei moderatori, Sanders ha ricordato al pubblico che «[l’industria sanitaria] farà pubblicità [durante il dibattito] usando questa discussione».
Le battaglie per l’assistenza sanitaria hanno rappresentato senza dubbio la parte più interessante della serata, in quanto questo è il tema in cui emergono maggiormente le differenze ideologiche tra i candidati. Per quanto riguarda l’immigrazione o il controllo delle armi, invece, le posizioni sono più sfumate. I moderatori hanno fatto del loro meglio per fomentare il conflitto, usando per esempio la tecnica di citare dichiarazioni generiche di un candidato che diceva che i suoi avversari non stavano facendo questo o quello e chiedere poi a un altro candidato se pensava fosse vero. Si è trattato di tentativi artificiosi di suscitare battibecchi violenti quanto effimeri.
Ma questa tecnica ha anche rivelato qualcosa di importante a proposito di questi dibattiti televisivi per le primarie. Ovvero che, in fondo, i dibattiti non sono davvero gestiti dal Partito democratico ma dalla Cnn. E la preoccupazione principale della Cnn non è generare un’autentica discussione o cercare di garantire che vinca il miglior candidato. La preoccupazione della Cnn è massimizzare le entrate pubblicitarie attirando il maggior numero possibile di spettatori. Questo, in ultima analisi, è il motivo per cui gli spettatori hanno assistito a logiche da reality show per alimentare il conflitto tra i candidati. Ed ecco perché anche a una nullità politica come John Delaney ha avuto la possibilità di parlare più volte: perché i produttori del programma sapevano che il suo centrismo austero sarebbe stata la chiave per creare conflitti sul palco.
Il Partito Democratico rimane un veicolo completamente aziendale, felice di appaltare il processo di selezione dei suoi candidati a gigantesche società di media. Eppure, anche all’interno di questo spettacolo mediatico è impossibile negare che a sinistra si sta muovendo qualcosa. Con la loro energia e ambizione Sanders e Warren hanno dominato il dibattito, mentre i centristi come Delaney o John Hickenlooper sono rimasti al palo cercando di suscitare entusiasmo per i loro progetti di grandi opere. Mentre quelli che hanno scelto di giocare la parte dei candidati non ideologici, come Pete Buttigieg o Beto O’Rourke, sembrava quasi avessero sbagliato evento.
Insomma, dopo la notte scorsa, la conclusione è inevitabile: la sinistra sta vincendo.
*Paul Heideman è ricercatore in studi americani presso la Rutgers University – Newark. Questo articolo è uscito su Jacobinmag. com. La traduzione è di Riccardo Antoniucci.
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