L’estrattivismo verde nel nord del Cile
Lo sfruttamento delle terre di Antofagasta dura da oltre un secolo. Oggi più che mai, questa regione è schiacciata tra miniere di rame, enormi aree industriali, la produzione di litio e nuovi megaprogetti di «transizione ecologica»
I giga impianti di idrogeno verde, gli sterminati campi di pannelli fotovoltaici e le pale eoliche rappresentano, oggi, da un lato la nuova frontiera di sviluppo nel deserto più arido del mondo, dall’altro l’ennesimo processo di sfruttamento a cui verrà sottoposta la regione. All’estremamente inquinante industria dell’estrazione di materie prime si affiancheranno quindi nuovi processi di occupazione territoriale e di sfruttamento delle acque. L’obiettivo sembra quello di convertire questa industria estrattivista nel colosso dell’estrazione verde globale, integrando in questo miraggio la prospettiva di aprirsi a un nuovo mercato, quello dell’energia.
Un territorio di sacrificio
La regione di Antofagasta ha una lunga storia di estrattivismo che risale all’epoca coloniale e che ha visto una significativa intensificazione nel corso del XX secolo. Le sue risorse minerarie, tra cui rame, litio, oro e salnitro, hanno attirato investimenti e portato a intensivi processi di sfruttamento da parte di compagnie nazionali e internazionali.
Il territorio di Antofagasta è quindi stato sacrificato già molto tempo fa. Le miniere di rame hanno svolto un ruolo cruciale nello sviluppo economico del Cile. La miniera di Chuquicamata, vicino a Calama, ad esempio, è una delle più grandi miniere di rame al mondo e ha oltre un secolo di storia. Parallelamente, negli ultimi decenni, il litio è diventato particolarmente importante: in un primo tempo per la produzione di armamenti nucleari, poi per l’IT e oggi sempre di più per la produzione di motori elettrici e tecnologie di stoccaggio dell’energia.
Il litio è la materia prima del presente, così come il salnitro (nitrato di sodio) è stato il materiale del passato, storicamente usato per la produzione di fertilizzanti ed esplosivi. L’impatto di tali attività estrattive sull’ambiente e sugli abitanti del territorio è sempre più esteso, a partire dal forte degrado del suolo e delle risorse idriche fino ad arrivare a un’economia completamente subordinata alle lobby dell’estrazione.
Tuttavia oggi, invece di allentare la presa sulle risorse essenziali di un territorio già tanto sacrificato e sotto pressione, la regione di Antofagasta vive una nuova fase di espansione e sviluppo in funzione del modello energetico della transizione. L’area si trova infatti al centro del dibattito pubblico nazionale per via dei nuovi accordi tra governo e imprese che da decenni operano nel Gran Salar de Atacama estraendo principalmente acqua dolce, litio+acqua salata (salmoria) e potassio. L’intenzione è quella di espandere l’attività di estrazione del cosiddetto «oro bianco» ai territori adiacenti, andando così a impattare anche su altri Salares.
Dai dati forniti dal Ministerio de Mineria, quasi un terzo dei territorio (in rosso) della Regione di Antofagasta risulta di fatto in concessione, sacrificato a essere o a diventare un territorio estrattivo.
Fig. Mappa della Regione di Antofagasta elaborata da dati nazionali aggiornati al 2021, in rosso le concessioni minerarie (di Chiara Braucher).
Nulla cambia: la transizione estrattivista
Ci troviamo nel deserto più arido del mondo, dove il sole splende 360 giorni l’anno e dove, da enormi conche di acqua preistorica o da rocce sedimentate da millenni, nei pressi di ecosistemi fragilissimi, si estraggono materie prime di ogni genere. Questo processo è in espansione continua, per l’estrazione di materie prime, come il litio e il rame, ma anche per i nuovi progetti «green». Queste nuove progettualità sono meno famose e discusse dei dannosi processi di estrazione di materie prime, ma sono destinate a trasformare profondamente e irrimediabilmente il territorio di Antofagasta. Sono previsti mega impianti di desalinizzazione dell’acqua marina, numerosi parchi eolici e fotovoltaici e alcuni progetti per la produzione di idrogeno verde. Per produrre idrogeno «verde» sono necessarie due «risorse»: acqua ed energia (che deve essere ottenuta da impianti di energia rinnovabile per potersi definire «verde»). Per attivare queste ambiziose progettualità il governo cileno ha quindi bisogno di costruire una fitta rete di progetti profondamente interdipendenti l’uno dall’altro, andando a trasformare questo territorio in un hub strategico per l’estrazione energetica. La regione arriverebbe a produrre tre volte il fabbisogno energetico nazionale e, di nuovo, anche la transizione verso un’industria più sostenibile graverebbe in modo asimmetrico su chi abita questi territori che da ormai molti decenni sono stati sacrificati all’accumulazione e all’estrazione di valore.
I progetti di idrogeno verde, considerati necessari al processo di transizione in corso, per poter funzionare, necessitano di parchi solari ed eolici e impianti dissalatori dell’acqua marina. Ovviamente questi processi hanno diversi impatti che andranno a influenzare l’ambiente, l’economia e le comunità locali.
Da una prospettiva ecologica già l’occupazione di territorio, i processi di cementificazione e la trasformazione per l’installazione di mega impianti di rinnovabili impattano sugli ecosistemi fragili trasformando le rotte migratorie degli uccelli e mettendo flora e fauna in pericolo di estinzione. Ciò nonostante, l’impatto più forte di un impianto per la produzione dell’H2 verde è il consumo sinergico di acqua e energia, che ovviamente rappresenta un tema importante nel deserto più arido del mondo.
La quantità di acqua consumata entro il processo di produzione di idrogeno verde risulta controversa. In alcune stime, la domanda di acqua per la sintesi dell’idrogeno verde potrebbe rappresentare il 5% della produzione attuale di acqua desalinizzata annua. Tuttavia, Ramírez e altri studiosi, in un lavoro del 2023 dichiarano, guardando al processo completo, che questa percentuale potrebbe aumentare fino ad almeno il 10% dell’acqua desalinizzata in tutto il Cile. Infatti, se l’acqua utilizzata per il processo di elettrolisi è di circa 9-10 litri per chilo di idrogeno, è necessario però considerare che anche i processi di purificazione e raffreddamento utilizzano grandi quantità d’acqua, circa 10-20 litri; le stime si aggirano quindi intorno ai 20-30 litri d’acqua per chilo, raddoppiando il fabbisogno di acqua desalinizzata per la produzione di idrogeno verde rispetto a stime più conservative.
La Strategia Nazionale per l’Idrogeno Verde è stata lanciata dallo Stato cileno nel novembre 2020. L’aspettativa originale era di avere 300 GW di capacità di generazione associata all’idrogeno verde entro il 2050 (Ministerio de Energia, 2020. I dati ad aprile 2024 riportano solo 34 GW di capacità installata nel Sistema Elettrico Nazionale, di cui il 45,1% costituito da fonti di energia rinnovabile non convenzionale, come energia geotermica, biomassa, energia marina e solare. Nel 2021 è stata approvata l’iniziativa Ventana al Futuro e nel 2023 il Piano d’Azione per l’idrogeno verde, mentre il rapporto finale è stato pubblicato ad aprile 2024. Questo documento ha l’obiettivo di dettagliare la struttura di governance dell’idrogeno in Cile, priorizzare le linee di azione e definire diverse finestre di implementazione delle misure. Contestualmente il programma Ventana al Futuro ha decretato un periodo eccezionale di assegnazione diretta dei terreni, senza gara pubblica, a condizione che vengano utilizzati per produrre energia destinata alla produzione di idrogeno verde, localizzando 12 dei 16 progetti di idrogeno verde a livello nazionale nella regione di Antofagasta.
Diversi organismi finanziari e politici internazionali hanno svolto un ruolo di primo piano nell’influenzare le prospettive di sviluppo dell’industria dell’idrogeno verde e dei suoi derivati in Cile, così come le aspettative di fattibilità finanziaria a medio e lungo termine. Gli attori principali che hanno contribuito alla definizione di questo piano sono la Banca Mondiale, l’Unione europea e le agenzie di sviluppo spagnola e tedesca, con l’obiettivo di importare energia verde entro i confini europei e rispettare gli accordi internazionali sulla decarbonizzazione. Questo diventa quindi l’ennesimo processo di estrazione intensiva ed estensiva da un territorio che produce un beneficio solo per imprenditori e governi locali che si relazionano con potenze internazionali. Nella figura che segue si nota come i cerchi rosa, che si riferiscono alle applicazioni internazionali, siano più grandi dei cerchi verdi, che si riferiscono all’uso domestico: gran parte dei prodotti di questa industria saranno dunque dedicati all’esportazione.
Fig. Grafico che mostra lo sviluppo previsto delle applicazioni dell’idrogeno verde e la loro evoluzione nel tempo (Estrategia Nacional de Hidrógeno verde 2020).
La transizione verde può quindi riprodurre o aggravare dinamiche di sfruttamento proprie dei processi estrattivisti. In questo senso l’estrattivismo trova nuove strategie per riprodurre sé stesso e aumentare il proprio capitale, ridistribuendo i costi di questo processo di sfruttamento sugli abitanti del territorio e sulle popolazioni originarie Licanantay o Changa.
Il contesto ipersfruttato e le ferite che riporta il territorio di Antofagasta parlano degli effetti che i processi estrattivisti producono sui territori: danni ambientali, radicale trasformazione culturale, costruzione di processi di interdipendenza tra gli abitanti e gli stessi processi estrattivisti. Non si riesce a uscire, a transitare fuori dall’estrattivismo, ma solo a riprodurre un medesimo sistema, una transizione estrattivista.
A fronte di un’enorme progettualità e di una narrazione pubblica pervasiva, si sa ancora molto poco del processo di transizione nel nord del Cile. Solo pochi progetti sono effettivamente a uno stadio in cui si comincia a comprendere dove saranno e quale sarà il loro reale impatto: l’impianto a Paposo, l’impianto che verrà costruito a Calama e l’impianto per la produzione di idrogeno e ammoniaca verde di Volta a Mejillones. Nella mappa è indicata in blu la centrale fotovoltaica che fornirà l’energia per produrre idrogeno e ammoniaca verde per l’impianto di Mejillones. In celeste sono evidenziate le colonie conosciute di sterna peruviana, una specie classificata come «in pericolo».
Fig. Immagine che mostra il progetto di idrogeno e ammoniaca verde di Volta a Mejillones, nella regione di Antofagasta (di Gabriela Cabana).
Oggi però, davanti a queste minacce che aprono a nuove frontiere dello sfruttamento in nome di una transizione verde, alcuni alzano la voce contro l’aumento delle quantità estraibili di litio, l’espansione dell’estrazione ad altri salares, ma anche contro i mega impianti di rinnovabili e di produzione dell’idrogeno verde. La zona di Sacrificio di Antofagasta, nel nord del Cile, sta affrontando oggi un conflitto socio ambientale molto profondo a causa del modello energetico-estrattivista, che, secondo EJAtlas, che pochi giorni fa ha inserito una voce su questo conflitto, «rappresenta un’ingiustizia ambientale per lo sviluppo locale dei territori, colpendo in modo particolare il Popolo Chango». Questi sono solo alcuni esempi di una battaglia viscerale, a volte intestina e complessa per la difesa di un territorio tanto fragile quanto remoto e complicato da abitare.
* Chiara Braucher, lavora presso l’Università di Trento, dottoranda in scienze sociali si occupa di processi estrattivisti, transizione energetica, e pratiche socio-ecologiche. Scrive per alcune testate di informazione e divulgazione. Gabriela Cabaña è sociologa e dottorata in antropologia. Attualmente è ricercatrice presso Fundación Tantí, dove sta conducendo uno studio sugli impatti della nascente industria dell’idrogeno verde nella regione.Questo articolo nasce da una collaborazione con Fundación Tantí, un’organizzazione che si dedica alla tutela degli ecosistemi da una prospettiva situata, focalizzandosi in particolare sulle zone umide, di San Pedro de Atacama, Regione di Antofagasta, Cile.
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