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L’idea del “socialismo azionario”

Matt Bruenig 11 Giugno 2019

Bernie Sanders fa tornare d'attualità le proposte di socializzazione delle azioni delle imprese. Idee che aiutano a rimettere al centro la questione della proprietà

Jeff Stein del Washington Post ha rivelato che Bernie Sanders sta lavorando su una proposta che obbligherebbe le compagnie a rilasciare azioni i cui dividendi possano finanziare dei fondi di proprietà dei lavoratori:

«Sanders ha detto che il suo team sta lavorando a un progetto che obblighi le grandi aziende a contribuire regolarmente con una fetta delle loro azioni a un fondo controllato dai lavoratori, che a sua volta emetterebbe regolarmente dividendi a questi ultimi. Alcuni modelli di questo fondo incrementano la quota di proprietà dell’azienda in mano ai lavoratori, rendendoli azionisti influenti con diritto di voto. L’idea è solo agli inizi e il portavoce non ha rilasciato informazioni ulteriori».

I dettagli precisi del progetto di Sanders non sono ancora noti, ma è comunque interessante sapere che il senatore sta pianificando di correre alle primarie sostenendo il socialismo azionario, il più promettente percorso riformista per socializzare importanti pezzi di capitale.

Il socialismo azionario fu introdotto nel 1910 da Rudolf Hilferding e più tardi ripreso da economisti socialisti nella metà del secolo, come Sir Arthur Lewis, James Meade e, più notoriamente, dall’economista del sindacato svedese Rudolf Meidner. Si basa sull’osservazione per cui le proprietà di capitale non sono più formate da un individuo che presiede un impero, ma da famiglie benestanti proprietarie di portafogli diversificati, con beni immobiliari e titoli finanziari come azioni e obbligazioni. La socializzazione di queste risorse in fondi di proprietà gestiti dai lavoratori o dalle aziende fornirebbe perciò un percorso che scivolerebbe in modo relativamente semplice verso una sorta di socialismo di mercato.

Nel corso del tempo, il progetto del socialismo azionario è stato presentato in forme diversificate. Alcuni, come gli Inclusive Ownership Funds del Labour Party, richiedono che i fondi siano istituiti a livello aziendale, con i dividendi dei fondi diretti ai lavoratori dell’azienda e quelli in eccesso diretti alla società tutta. Altri, come il Meidner Plan in Svezia, hanno richiesto che i fondi siano costituiti a livello di settore, utilizzando i dividendi per l’acquisto di ulteriori azioni per accelerare il ritmo della socializzazione. Poi ci sono fondi, come l’Alaska’s Permanent Fund, l’American Solidarity Fund proposto da People’s Policy Project, il Gpfg in Norvergia, la cui proprietà è istituita al livello aziendale con i ricavi che vanno alla società nel suo insieme attraverso dividendi sociali o altri programmi di benessere collettivo.

Per come la vedo io, per realizzare il socialismo azionario, la strada migliore è attraverso un fondo di benessere sociale con proprietà, gestione e proventi a livello aziendale. Ma esistono forme diversificate di queste proposte e dovrebbero tutte essere benvenute nella famiglia del socialismo azionario, con energici dibattiti pro e contro in un clima amichevole.

Nel contesto americano, l’avvicinamento di Sanders al socialismo azionario aumenta la distanza ideologica tra lui e, come le ha definite da Shawn Gude, le tendenze Neo-Brandesiane di Elizabeth Warren e dei suoi simpatizzanti. Negli ultimi anni, organizzazioni come il Roosevelt Institute hanno definito un modello teorico chiamato «stakeholder capitalism» [capitalismo dei portatori di interesse, ndr] che sostiene non sia necessario mutare la proprietà delle imprese e del capitale, ma che sia invece indispensabile che nella gestione dell’azienda venga data una maggiore priorità ai lavoratori, ai consumatori e alle comunità interessate, diminuendo l’attenzione verso gli azionisti e i possessori di titoli.

Il modello dello «stakeholder capitalism» ha diversi elementi programmatici interessanti anche per i socialisti: rappresentanza dei lavoratori nei consigli, sindacati più forti, regole più rigide e controllo. Ma si trattiene enfaticamente dal dire che dobbiamo socializzare la proprietà delle imprese, arrivando fino al punto di sostenere che in realtà nessuno possiede le imprese e che cambiando le dichiarazioni di scopo aziendale includendo impegni a favore della società, si allontanerebbe in maniera sostanziale l’economia dall’estrazione, passando dal capitalismo degli azionisti a un capitalismo responsabile degli stakeholders.

La mossa di Sanders, insieme alla sue riconosciute prese di posizione a difesa delle cooperative dei lavoratori e altre forme di proprietà pubbliche e collettive del capitale, lo mette nella posizione di poter dire che invece la proprietà conta. Per lui, non è sufficiente mettere regole alle imprese o promuovere istituzioni che ne controbilancino l’azione. Se vogliamo modificare il sistema arrivando al centro della sua corruzione e inaugurare veramente un mondo egualitario, dobbiamo sfidare chi possiede le proprietà e i profitti dei beni capitali della nazione.

*Matt Bruenig è il fondatore diPeople’s Policy Project. Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Matteo Boccacci.

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