L’invasione
Ancora oggi, la maggior parte dei monumenti di nuova inaugurazione è dedicata a soldati e forze armate. Un'ulteriore forma di militarizzazione dello spazio pubblico
A Vicenza si sta facendo gran parlare, sulla stampa locale, di un monumento che sarà inaugurato questo weekend, con tre giorni di celebrazioni: un’enorme penna nera, simbolo degli Alpini, piazzata al fianco di una sfera in acciaio di un metro e mezzo, su una rotonda in prossimità della stazione. Forse, se non fosse stato per le polemiche, sarebbe stato inaugurato proprio il 4 novembre, ma sembra che nessuno ne senta davvero il bisogno, e che anzi a molti non piaccia. Poco male, il Comune concederà la cittadinanza onoraria agli alpini e l’inaugurazione, volenti o nolenti, si farà. D’altronde siamo circondate e circondati da monumenti che ricordano i caduti delle guerre, i martiri, il milite ignoto. Questo lo sappiamo bene. Come altrettanto bene sappiamo che da qualche tempo è in atto un lento ma evidente sdoganamento della presenza militare nelle città e nelle Tv. L’operazione «Strade Sicure», che dal 2008 ha portato diversi contingenti militari a stanziare nelle maggiori città italiane come non accadeva da decenni; il copioso impiego di metafore belliche nella narrazione della pandemia sui media; la nomina del generale Figliuolo a commissario straordinario per l’emergenza Covid, gestita sempre in abiti e insegne militari e mai in abiti civili, sono solo alcuni esempi di una tendenza che certo non accennerà a rallentare con il nuovo governo.
Ma lo sdoganamento passa anche per altre vie, alcune meno note. Una di queste riguarda la quantità e qualità di inaugurazioni di monumenti «militari» negli ultimi sei mesi in Italia, numeri che tradiscono una tendenza tutt’altro che scontata. E che ci sembra meriti attenzione.
Il fenomeno
Dal 1 maggio al 3 novembre, dunque per sei mesi, abbiamo censito i monumenti che venivano inaugurati in Italia, all’interno di una ricerca più ampia. La metodologia seguita è stata piuttosto semplice: abbiamo impostato su Google Alert l’invio di notifiche per le chiavi «inaugurazione della statua», «inaugurazione del monumento», «inaugurata la statua» e «inaugurato il monumento». Leggendo i comunicati stampa, gli articoli su testate online e su blog e video youtube che riferivano di queste inaugurazioni abbiamo quindi potuto contarne 115 (compresi anche massi di pietra, grosse targhe e cippi definiti «monumento», con requisito imprescindibile che siano su suolo pubblico accessibile a tutti). Nonostante la parzialità dei dati, abbiamo ricostruito un quadro significativo e piuttosto completo, anche se è molto probabile che siano stati inaugurati altri monumenti nel lasso di tempo considerato. Durante questa ricerca un dato ci è balzato agli occhi tanto da meritare un’analisi preliminare a parte: un terzo di questi 115 totali è dedicato alle forze armate o di polizia o ad eventi militari. Opere in genere pagate dalle sezioni locali di associazioni che uniscono appartenenti o ex appartenenti alle varie forze, che nella maggior parte dei casi celebrano anniversari.
Nel dettaglio, 34 dei monumenti inaugurati sono dedicati alle forze armate o alle forze di polizia.
- 8 agli alpini: si trovano ad Avigliana (To), San Giovanni Bianco (Bg), Castano Primo (Mi), Villa Santa Maria (Ch), Pieve di Cadore (Bl), Pesaro, Marano Ticino (No) e Bioglio (Bi). Inoltre l’Ana, Associazione Nazionale Alpini, ha sponsorizzato anche altri 2 monumenti al milite ignoto, uno a Porto Ceresio (Va), uno a Roncà (Vr).
– 5 sono invece dedicati ai carabinieri, si trovano a Olgiate Olona (Va), Illasi (Vr), Susa (To), Villanova Mondovì (Cn) e uno a Montevarchi (Ar) in memoria del Vicebrigadiere Foggi. Inoltre l’Anc, Associazione Nazionale Carabinieri, ha sponsorizzato anche 1 monumento ai Caduti di Nassirya a Santena (To).
-3 sono poi dedicati agli aviatori (due a Galatina (Le) e uno a Porto Empedocle (Ag), in memoria di due ufficiali dell’Aeronautica morti durante un’esercitazione, 1 ai marinai caduti della Vallecamonica a Montecampione (Bs) e 1 ai Caduti del Mare a Fiumicino (Rm).
– 2 ai bersaglieri: uno a Crespino (Ro) e uno a Ferentino (Fr), 1 ai lagunari caduti per la patria San Donà di Piave (VE), 1 ai Paracadutisti ad Asti, 1 ai carristi (Modena), 1 ai finanzieri caduti durante la Grande Guerra a Montebelluna (Tv).
A questo primo gruppo gruppo ne vanno aggiunti 1 dedicato all’orso soldato dell’esercito polacco a Venafro (Is) e 3 al Milite ignoto sponsorizzati da associazioni o enti non legati alle forze armate, uno a Scheggino (Pg), uno a Pasturo (Lc), uno a Spoleto (Pg), 1 al capitano di cavalleria austroungarica Arnold Wimholzel a Susegana (Tv), sponsorizzato dal Museo del Piave Vincenzo Colognese e imprenditori locali, 1 ai caduti di Marzanello a Vairano Patenora (Ce), 1 ai soldati della Divisione Acqui Vittorio Barilaro e Paolo Guido a Finale Ligure (Sv), uccisi nel 1943 a Cefalonia, voluto dell’associazione Costituzione e Democrazia. Infine 1 monumento è dedicato alle forze di polizia: il cippo per la guardia di pubblica sicurezza Clemente Martone a Benevento (Bn).
Parlando di eventi militari, non sono mancate le inaugurazioni di monumenti alla Resistenza: tre in totale. L’Anpi è coinvolta nella realizzazione di due: uno alla resistenza e ai martiri di tutte le guerre a Vado Ligure (Sv), uno ai deportati sestresi a Sestri Levante (Ge). A questi si aggiunge il monumento dedicato alla banda partigiana Felice Cascione ad Alto (Cn), voluto da Nicola Nante in memoria del padre partigiano.
In questa lista non inseriamo, per semplicità e chiarezza, le situazioni in cui le varie associazioni di ex combattenti erano presenti alle inaugurazioni di monumenti non direttamente o esplicitamente connessi a esse.
Non è stato possibile, coi tempi e mezzi disponibili, comprendere quanto il numero di inaugurazioni annuali sia in aumento o costante negli anni. Ipotizziamo l’aumento ci sia stato, non foss’altro perché dal 2005 in poi sono state molte le inaugurazioni di monumenti all’evento militare più recente, i caduti di Nassirya (che, sui 34 degli ultimi sei mesi, sono rappresentati solo una volta). Ma riteniamo in ogni caso ci sia qualcosa di spiazzante in questi dati. Ognuno di noi sa che ogni parrocchia, ogni città, ogni quartiere, ogni frazione ha un monumento ai caduti delle guerre, peraltro di norma ben noto e onorato in date come quella del 4 novembre o del 2 giugno – a volte, con notevole torsione, anche del 25 aprile (i monumenti ai caduti della Grande Guerra realizzati su commissione civica tra il 1917 e il 1940 sono stimati 12.000 da un censimento condotto dal Ministero dei Beni Culturali). Mentre molti meno sono, ad esempio, i monumenti che riguardano figure di oppresse e oppressi di vario genere, o legate alla resistenza, o a vicende storiche non celebrate dallo Stato.
Come si arriva a questi numeri
I processi che portano all’erezione di questi monumenti nello spazio pubblico sono quasi sempre interamente gestiti dalle associazioni combattentistiche e d’arma o da altri enti privati che se ne fanno promotori. Sta a loro ogni scelta che concerne la realizzazione del monumento e dunque del messaggio che va a occupare lo spazio pubblico. Spesso non c’è un vero coinvolgimento della comunità che si troverà a ospitare l’opera: a volte le scuole partecipano alle inaugurazioni e spesso c’è la benedizione del prete locale, ma mancano avvisi pubblici e bandi. Quando un dibattito pubblico si avvia per motivi abbastanza casuali, come quello di Vicenza citato in apertura, peraltro il monumento viene rigettato dalla comunità. Le amministrazioni comunali che concedono lo spazio pubblico presenziano sempre alle inaugurazioni e non mancano mai rappresentanti in divisa della forza armata che si celebra, impegnati in discorsi, parate e fanfare. Le occasioni in genere sono piuttosto labili, si tratta di inaugurazioni contestuali di nuove sedi o, più spesso, di anniversari della presenza sul territorio.
I discorsi inaugurali ripetono senza grosse variazioni un repertorio che include l’importanza della memoria e dei valori intrinsechi da trasmettere alle nuove generazioni, l’impegno di onorare il sacrificio degli uomini che hanno servito la patria e il legame tra l’arma in questione e il territorio.
«Dedicare una delle rotatorie all’Arma Azzurra significa innanzitutto dare forma e sostanza al profondo legame che esiste tra noi e il territorio salentino» (Galatina, 2 agosto). «Grazie ad iniziative come questa si mantiene vivo nelle nuove generazioni il sentimento di riconoscenza e gratitudine verso chi ci ha preceduto» (Asti, 1 luglio). «Un modo per ricordare la storia e trasmetterla alle nuove generazioni che non devono mai dimenticare i fatti storici, che sono fondamentali per comprendere il nostro presente» (Villa Santa Maria, 25 luglio). Il repertorio è costante. O ancora, «la straordinaria evoluzione intrapresa nel tempo dagli alpini non deve passare inosservata. Di qui, l’idea di realizzare la sfera del globo con i vari Stati e la piccola Italia da dove è partito l’alpino» nel caso del monumento vicentino posato il 1 novembre. Si arriva anche a inaugurazioni di monumenti celebrativi degli alpini in cui il presidente della sezione locale chiarisce che «gli Alpini non sono gente che si autocelebra».
Il territorio viene in effetti marcato da quella che si può definire autorappresentazione, ma che nei fondi stanziati dal Ministero della difesa viene definita promozione sociale. Le associazioni combattentistiche e d’arma, che in molti casi sono responsabili di questi monumenti, attingono infatti a fondi stanziati dal Ministero della difesa per le loro attività di promozione sociale dal 1998. Contributi rinnovati ogni anno fino ai 1.702.918 euro per l’anno 2022, in cui sono ripartiti con «una metodologia uguale sia per le Associazioni Combattentistiche e Partigiane sia per le Associazioni d’Arma, di Categoria e di Specialità, metodologia fondata sulla selezione dei progetti di attività assistenziali, promozionali e divulgative presentati da ciascuna associazione». Fra i progetti cui sono rivolti i fondi è scritta anche espressamente l’erezione di nuovi monumenti. In molti casi si tratta quindi di opere pagate con fondi pubblici, ma non attraverso bandi gestiti dalle amministrazioni locali, che si limitano ad avvallare o opporsi all’erezione.
Celebrazione, un cippo alla volta
Naturalmente, ogni caso è diverso. A volte si celebra un giovane locale morto in guerra, a volte un battaglione molto amato sul territorio, più spesso un corpo armato. Il fenomeno è complesso e non si discute qui il valore delle persone morte in guerra o in servizio che vengono ricordate da questi monumenti, né l’importanza storica delle forze armate e il loro ruolo nella costruzione delle comunità territoriali che oggi ospitano questi memoriali.
Ma che oggi, nel 2022, la quota più abbondante di inaugurazioni riguardi proprio monumenti dedicati alle forze armate e ai caduti, spesso caduti di una guerra persa nel 1943, lascia quantomeno perplessi. Può avere a che fare con i bilanci delle varie associazioni di combattenti, con un’accondiscendenza delle amministrazioni comunali o con una superficiale replica dell’esistente piuttosto che una più complessa ricerca di qualcosa di innovativo. Ma di fatto ciò che ne otteniamo è una ulteriore militarizzazione dello spazio pubblico, senza alcun vero dibattito esistente a riguardo, e senza un’evoluzione della rappresentazione pubblica della guerra e delle forze armate. Va sempre ricordato che i monumenti non sono per i morti, ma per i vivi: vengono pensati dai vivi e sono portatori di messaggi per i vivi. La chiave per comprendere i loro messaggi è proprio la committenza che intende celebrare sé stessa e affermare sullo spazio pubblico il proprio sistema valoriale.
Molte di queste opere saranno dimenticate, semplicemente superflue. Eppure sono spesso i pochi monumenti «contemporanei» di cui un territorio si dota. Passo passo, con opere spesso sconnesse dal territorio e dalla comunità, a quanto pare l’autocelebrazione delle armi arriva anche nei più sperduti quartieri e parchi.
Domani, 4 novembre, in vista della grande manifestazione per la pace del 5, dobbiamo chiederci se tutto ciò sia salutare per il nostro spazio pubblico e le nostre comunità presenti e future.
*Leonardo Bison è dottore di ricerca in Archeologia all’Università di Bristol. Collabora con Il Fatto Quotidiano e Finestre sull’Arte ed è attivista dell’associazione Mi Riconosci. Ludovica Piazzi è dottoressa di ricerca in Storia dell’arte all’Università di Bologna e attivista dell’associazione Mi Riconosci, per la quale ha curato il censimento dei monumenti femminili italiani.
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